Giovedì, 10 Dicembre 2015 00:00

Prima della Scala: Giovanna d’Arco di Giuseppe Verdi

Scritto da
Vota questo articolo
(2 Voti)

Inaugurata nel 1845 e ripresa fino al 1865 la Giovanna d’Arco di Giuseppe Verdi mancava al Teatro alla Scala da ben 150 anni. Ci se n’era dimenticati senza troppo sforzo, giudicandola senza entusiasmo e con molte critiche, ed ora torna alla ribalta con un allestimento eccezionale: sul podio il maestro Riccardo Chailly e sul palco niente meno che Anna Netrebko, Francesco Meli e Carlos Alvarez.

A volere una ripresa tanto coraggiosa è stato proprio Chailly, che inaugura ufficialmente la sua prima stagione da Direttore principale del Teatro. Il maestro milanese aveva già diretto Giovanna d’Arco al Comunale di Bologna, nel 1989, nella storica produzione di Werner Herzog, e oggi vi ritorna con l’ausilio dei registi Moshe Leiser e Patrice Caurier, in debutto alla Scala.

Giovanna d’Arco era stata in realtà allestita altre volte nel ‘900, sia in forma di concerto che scenica, con il contributo di voci eccelse come quelle di Renata Tebaldi, Katia Ricciarelli e Monserrat Caballè, ma è indiscutibile quanto sia pesante il giudizio storico su un’opera che, per quanto apprezzabile, non riesce proprio a reggere il paragone con i capolavori verdiani.

La scarsezza delle esecuzioni, delle registrazioni e delle interpretazioni ci consegna una tradizione di critica impietosa. Il giudizio di Massimo Mila, architrave della musicologia italiana, è tranciante e la inserisce senza dubbi tra le “opere brutte” di Verdi. Oggigiorno la tenacia dei riscopritori come Riccardo Chailly impone ai critici maggiore prudenza: è così che il prof. Emilio Sala ci avvisa “il problema del “brutto”, così come quello del “melodrammatico”, mi appaiono più interessanti da dipanare se ricollegati alla poetica dell’effetto (o, se si vuole, dell’effettaccio)”.

A chi vi ha già assistito, e a chi avrà la fortuna di assistervi, Giovanna d’Arco apparirà densa di contraddizioni narrative e musicali: la storia del libretto fa acqua da tutte le parti, le scelte stilistiche della composizione creano assurdi effetti di straniamento. In una situazione tanto difficile da reggere i due registi hanno pensato bene di cogliere l’occasione per inscenare la cronistoria di un delirio, come se l’opera altro non fosse che il sogno nevrotico di una pazza inferma.

Questa versione in opera della storia della pulzella di Orléans ha molto poco a che vedere con quelle storiche o agiografiche. Molto dello sdegno che investì l’opera fu dovuto anche alle eccessive invenzioni narrative (che le valsero tra l’altro una pesante censura negli allora domini pontifici e altre revisioni, ricostruite in edizione critica dalla Ricordi nel 2008).

La trama è desunta da Schiller, che il librettista Solera però riadatta e ricostruisce secondo le esigenze del melodramma e con la stretta collaborazione di Verdi: i personaggi su cui ruota il dramma sono di fatto ridotti a tre (i classici soprano, tenore e baritono) e Giovanna cede alle tentazioni d’amore addirittura con il Re di Francia Carlo VII. Una provocazione ardita contro la religione e contro la morale politica.

Temistocle Solera però non riesce a cesellare le scene con la dovuta perizia e i continui spostamenti di luogo e di tempo, le ellissi narrative, i cambi di registro lessicale si sommano alla generale debolezza, e insensatezza, della fabula. Ciò che ci racconta l’opera è ampiamente inspiegabile e ingiustificabile da un punto di vista logico e narrativo. La terminologia utilizzata, infine, è decisamente troppo arcaicizzante persino per i gusti ottocenteschi.

La musica è ugualmente altalenante: accanto a momenti decisamente interessanti e coinvolgenti sono giustapposti brani quasi fuori luogo. In Giovanna d’Arco abbiamo scorci di tutti gli elementi del Giuseppe Verdi che ritroviamo nella sua parabola artistica, come il gusto nazionalpopolare, la rifinitura psicologica, la ricorrenza di temi musicali, la potenza del ritmo e dell’orecchiabilità, il ruolo primario del coro, il rifiuto del protagonista assoluto, la tendenza al “wagnerismo”, il richiamo alla battaglia, ecc…, accanto a quelli che l’ultimo Verdi dei capolavori più famosi abbandonerà o rielaborerà a suo modo, come la divisione strettamente tradizionale in numeri chiusi (il cosiddetto “codice Rossini”) e i fraseggi belcantistici della voce di soprano. Numeri chiusi che però vengono spesso intercalati da un coro assai invadente e multiforme e una parte di soprano che, per quanto scritta per una tessitura molto ampia, con passaggi di notevole difficoltà tecnica e con frasi di indubbia bellezza, non primeggia mai adombrando le altre voci alla maniera di una qualsiasi primadonna.

Un’opera giovanile, degli “anni di galera”, che, fatte proprie le fondamenta dei primi successi, contiene in nuce alcuni presagi degli sviluppi successivi (Requiem, Don Carlos, Aida, Rigoletto, Macbeth,..). Dopo quest’opera, per alcuni un fiasco, per altri un successo, Verdi non mise più piede al Piermarini per circa vent’anni.

Leiser e Caurier decidono di prescindere da ogni velleitaria rappresentazione realistica. Non è “vero” ciò che il libretto racconta e ugualmente “falsa” deve essere la sua realizzazione: una nuova coerenza viene messa in scena. Giovanna d’Arco è il delirio di una malata mentale rinchiusa nella sua stanza in stile vittoriano che sogna deliri spirituali e mistici in cui Dio, la Madonna, la Chiesa e gli Angeli fronteggiano la carne, il fuoco, la morte e l’inferno.

A partire dal letto in cui vaneggia circondata dai suoi cari, il padre Giacomo e il marito Carlo, Giovanna immagina le prodezze che l’opera fa rivivere sfondando le pareti della stanza. La guerra incombe devastando le pareti della camera, quella sul fondo divelta e quelle laterali letteralmente trafitte da lunghe e funeste lance. Il soffitto si anima attraverso proiezioni video e luminose di immagini evocative e simboliche degli stati d’animo raccontati: dai vividi e nudi corpi che si seducono in amplesso ad una serena e limpida volta celeste.

Stanno a questo gioco ugualmente i costumi. In sobrio stile ottocentesco quando è in scena la follia di Giovanna, da medioevo delle miniature amanuensi quando sul palco vivono i sogni della vergine combattente. I tre personaggi principali hanno ciascuno però la propria peculiarità: Giacomo, il padre, rimane sempre ancorato alla realtà con il suo pastrano a lutto di taglio borghese, Carlo non sveste mai la corazza dorata da re gigliato, Giovanna è l’unica che si cambia in scena indossando tanto gli abiti da massaia quanto spada e corazza da battaglia. Il coro segue, incalza o precede Giovanna.

La trovata è d’effetto e la soluzione registica risulta vincente. L’opera acquista un senso nuovo, ma non difforme da quel che ci si aspetta da un’interpretazione delle vicende di Giovanna d’Arco, sempre descritta come esaltata da un’ispirazione folle. Del resto Giovanna non muore sul rogo, che però è rappresentato da esalazioni sulfuree e lampi di rosso fuoco, ma nella battaglia: per Solera sul campo, per Leiser e Caurier nell’anima al culmine della pazzia.

Centrale sulla scena il letto, sul quale la malattia mentale costringe Giovanna e che incombe anche nello spazio onirico dei deliri. È sul letto fisico o su quello vaneggiato che si compie (o non si compie) il peccato d’amore con Carlo? Solo l’immaginazione può rispondere.

Gli abiti delle scene di rievocazione medievale ricordano i colori sgargianti, e allegorici, dei codici benedettini. Oro, argento, bianco, blu e rosso si sprecano nelle tonalità più sgargianti, per un’apoteosi della dissonanza sinestetica. D’effetto la schiera di demoni grotteschi e animaleschi, travestiti da gargoyles, come nelle incisioni fiamminghe o negli affreschi apocalittici.

Di semplice, efficace e diretta simbolicità anche gli oggetti di scena: le statue goticheggianti dei cavalli su cui armeggiano Carlo e gli altri combattenti e la fedele copia della cattedrale di Reims inclinata e poi inghiottita sembrano illustrazioni semimoventi del racconto delirante cui assiste, rapita e assente a se stessa, la vivida mente di Giovanna.

Una regia in cui trionfano la celebrazione della finzione teatrale e la rappresentazione della follia. Certamente una scelta più felice rispetto alla leggenda della vergine combattente per la Nazione nel nome di Dio, emblema del fanatismo religioso e nazionalista di cui l’umanità ancora non sa disfarsi.

La direzione di Chailly è tutta improntata ad esaltare ogni nota del canto e della musica, nel suo stile di ricostruzione filologica e reinterpretazione storica. Se da un lato la carenza di esecuzioni consegna una tradizione pressoché intatta da consunzioni interpretative e stratificazioni stilistiche, è pur vero che ricostruire e reinventare la Giovanna d’Arco che voleva Verdi è lavoro di ingrata fatica, a partire dal recupero degli spartiti e del libretto originali che Riccardo Chailly non aveva potuto del tutto compiere nel 1989 a causa della insufficienza delle fonti.

Riccardo Chailly si rifà alle indicazioni stesse di Verdi e alle sue scelte nelle esecuzioni coeve, in cui il disegno mentale, metafisico, del compositore bussetano trova traduzioni strumentali specificate per iscritto in diverse occasioni. Il risultato è senza dubbio di grande valore e fornisce l’ennesima prova della straordinaria capacità del maestro Chailly. La “tinta verdiana” secondo il direttore milanese è una sinfonia di musica e coro colorata di armonie ardite e di inflessioni inaspettate, in cui le note e le parole si fondono ma non si confondono grazie ad un attento dosaggio di dinamiche e melodie.

Grandiosi gli interpreti che abbiamo potuto ascoltare in Prova Generale.

Anna Netrebko, Giovanna d’Arco, soprano di fama mondiale e già nel novero delle dive del canto, magnifica nel ruolo difficilissimo. La sua notevole tessitura, la sua mirabile, e miracolosa, gestione dei colori, dei timbri e delle espressioni, hanno deliziato il Teatro che l’ha ricoperta di numerosi e calorosi applausi. Dizione perfetta, tecnica ineccepibile e una voce sempre piena e potente. Il temperamento tenace ed energico della bella e simpatica cantante e la sua passione che sempre infonde nei ruoli più disparati la rendono una Giovanna d’Arco eccezionale, in grado di trasmettere in sommo grado ogni sensazione che il libretto, la musica e la regia suggeriscono. Pazza, innamorata, religiosa: Anna Netrebko è carnale, battagliera e devota, distrutta dal dissidio interiore e logorata dai conflitti che vede fuori di sé e che vive nella sua mente. Attrice capacissima e soprano di qualità sublime, ha saputo mettere tutta se stessa a disposizione di un personaggio unico nel suo genere. Bravissima Anna!

Ugualmente in pienissima forma il tenore Francesco Meli, il Re Carlo VII, che corona una carriera in ascesa e di meritatissima notorietà. Il suo esordio da protagonista alla Prima della Scala è senza dubbio di grande successo: Meli non solo è entrato perfettamente a suo agio nel ruolo, straordinariamente ambiguo e inafferrabile rispetto agli altri protagonisti maschili verdiani, ma è riuscito a farlo con una destrezza notevole. Le sue indubbie capacità tecniche e vocali lo distinguono come tenore duttile, lirico e impetuoso, in grado di intonare a mezzaria le parti più difficili senza mai mancare di espressione, colore e potenza, con fluidissimi salti di registro, squillante e drammatico senza soluzione di continuità. Un’ottima perla per l’opera italiana.

Non è stato possibile ascoltare in spettacolo il baritono Carlos Alvarez, che a causa di un raffreddore ha saltato la Prova Antegenerale, la Prova Generale e l’Anteprima Giovani. Confidiamo in una sua buona esibizione alla Prima del 7 dicembre.

A sostituirlo il bravissimo Devid Cecconi, che ha cantato in abiti civili a lato del proscenio, mentre Alvarez provava sul palco la recitazione, per una esibizione di alta qualità, che ha consentito al baritono di dimostrare le proprie capacità tecniche ed espressive in un’occasione tra le più ambite ed esclusive al mondo. Cecconi è stato un ottimo tertius in discordia nel triangolo conflittuale che Giovanna d’Arco inscena con Carlo: convincente nel ruolo del travagliato padre Giacomo che contro ogni propria convinzione tradisce la figlia e la Patria, per poi restarne afflitto e desolato. Un personaggio che non ha eguali nel melodramma e che assomiglierebbe al classico antagonista della coppia tenore-soprano se non fosse che qui è il padre del soprano, e non il suo pretendente.

Molto bene anche Dmitry Beloselskiy e Michele Mauro, nei ruoli secondari di comandanti delle truppe inglese e francese. Il basso Dmitry Beloselskiy ha interpretato un Talbot convincente, sufficientemente deciso ed energico, di buona espressività nella breve parte che gli compete in concerto col coro e con Giacomo. Il tenore Michele Mauro ha fornito ottima prova di sé nei panni di Delil, generale di Re Carlo, spesso accanto al suo Re, con voce sempre ben calibrata e densa di espressività, non fredda e chiara come di solito è consueto ascoltare in ruoli simili, ma con un timbro da personaggio di prim’ordine.

Ottimo il coro, ora schiera di spiriti angelici, ora folla popolare, ora insieme di armigeri inglesi e poi francesi, ora stuolo di demoni satanici. Versatile nei ruoli, magnifico, puntuale ed espressivo negli interventi. Il maestro Bruno Casoni ne ha rifinito la preparazione ad un livello altissimo, con una gestione delle dinamiche in perfetta sintonia con l’economia dell’opera. Un Coro invasivo ma non invadente, sempre pronto ad intromettersi senza mai imporsi o sovrapporsi.

Il soggetto, così come raccontato nel programma di sala del Teatro alla Scala:

Un coro di militari e borghesi si lamenta del cattivo andamento della guerra e maledice gli inglesi che hanno invaso la patria altrui. Anche Orléans è stata posta sotto assedio e sta per cadere. Entra il re Carlo VII, afflitto e mesto, e annunzia la propria intenzione di arrendersi ai nemici. Poi racconta di aver sognato una voce che gli diceva di deporre l’elmo e la spada ai piedi dell’immagine della Vergine dipinta in una rustica cappella in mezzo alla foresta. Il coro dei borghesi osserva, non senza stupore, che quell’immagine esiste davvero in una radura selvaggia e lugubre dei dintorni. Il re decide di recarvisi, mentre il coro tenta invano di dissuaderlo.

Nella radura della foresta, in un’atmosfera paurosa e sinistra, entra Giacomo, padre di Giovanna, che segue la figlia di soppiatto sospettando addirittura che costei abbia concesso la sua anima alle forze del Male. Giunge Giovanna e, come ogni giorno, si inginocchia davanti all’immagine della Vergine. Ella chiede alla Madonna una sola grazia: armi per poter combattere per la sua Patria. Indi si addormenta. Giunge infine Carlo che, dopo aver deposto l’elmo e la spada davanti alla cappelletta, si inginocchia e prega. A questo punto attaccano le “voci”, che agitano il sonno di Giovanna e che solo lei può sentire: prima un coro di demoni accompagnato dalla banda e dal triangolo, poi un coro di angeli accompagnato dall’arpa e dall’armonium. Giovanna si sveglia di soprassalto e, indossate le armi di Carlo, intona una cabaletta piena di entusiasmo guerriero cui si uniscono pure il re e Giacomo: il primo pieno di stupore e ammirazione, il secondo in preda allo sdegno e alla collera.

La scena si sposta nel campo degli inglesi sconfitti dall’esercito francese guidato da Giovanna. Arriva Giacomo in uno stato di estrema agitazione: egli promette agli inglesi di consegnare loro l’audace e colpevole Giovanna.

Giovanna è uscita all’aperto per sottrarsi ai festeggiamenti che sono in corso nella reggia. È innamorata del re e il suo stato di turbamento è espresso dalle voci angeliche e demoniache che avevamo già sentito nel prologo, e che intervengono ora simultaneamente. Nel momento stesso in cui Giovanna prende la decisione di abbandonare la corte per tornare nell’umile paese natale dal padre, entra Carlo e i due si dichiarano il loro amore, mentre le voci misteriose tormentano l’animo dell’eroina.

Il popolo si accalca per vedere la cerimonia dell’incoronazione. Dopo la marcia trionfale che accompagna il passaggio della processione regale, Giacomo manifesta il suo proposito di denunciare la colpevolezza di Giovanna davanti a tutti. Dalla cattedrale si sente un inno che annuncia la fine della cerimonia e poco dopo esce Giovanna, seguita dal re, che cerca di placare la sua agitazione. Quando Carlo invita il popolo a rendere omaggio alla redentrice di Francia, Giacomo prorompe nella sua terribile accusa: Giovanna è impura e sacrilega. Nello sconcerto generale, Carlo invita Giacomo a fornire le prove di quanto afferma. Allora il padre incalza per tre volte la figlia intimandole di respingere, se può, la sua accusa: non è forse vero che ella è rea? Frastornata, Giovanna tace e il suo silenzio è preso come una prova della sua colpevolezza.

Nella sua prigione, Giovanna, incatenata, sente il rumore della battaglia che si svolge nelle vicinanze e invoca Dio perché le conceda di correre per l’ultima volta in soccorso dei francesi. Giacomo, entrato non visto, ascolta la preghiera di Giovanna e capisce di averla accusata ingiustamente. Il padre libera la figlia e si riconcilia con lei, offrendole anche la propria spada. Giovanna esce precipitosamente incontro alla battaglia, che è raccontata in diretta da Giacomo secondo lo schema della ticoscopia. Dopo questa scena, entra Carlo nuovamente vittorioso grazie all’intervento di Giovanna, ma poco dopo arriva anche la notizia della morte dell’eroina, la cui salma viene portata davanti a tutti al suono di una marcia funebre. In realtà Giovanna non è ancora morta, e canta le sue ultime parole in un clima di rapimento estatico e di apoteosi collettiva.

Giovanna d’Arco si potrà vedere a Milano: Teatro dal Verme, Muba Museo dei bambini - Rotonda della Besana, Ottagono della Galleria Vittorio Emanuele II, Casa Circondariale di Milano San Vittore (ingresso riservato), Triennale - Salone d'Onore, Auditorium Gaber della Regione Lombardia, Refettorio Ambrosiano (ingresso riservato), Auditorium Valvassori Peroni, Spazio Oberdan, Wow Spazio Fumetto, Circolo Mondini, ATIR Teatro Ringhiera,  Opera Cardinal Ferrari,  Barrio's - Piazza Donne Partigiane, MUDEC,  Spazio Teatro 89, Teatro Rosetum, Teatro IN-Stabile interno alla II Casa di reclusione di Milano Bollate,  Casa delle Associazioni e del Volontariato, Teatro della Cooperativa presso Salone 4 marzo 1894, MIC Museo Interattivo del Cinema.

In TV: in Italia RAI 5, ARTE CHANNEL in Francia e Paesi europei di lingua francese, Paesi oltreoceano di lingua francese (Guadalupa, Polinesia, Martinica, Mayotte, Riunione, Guayana Francese), ZDF in Germania, Austria, Svizzera di lingua tedesca, ČESKÁ TELEVIZE in Repubblica Ceca, VGTRK - THE RUSSIAN STATE TELEVISION AND RADIO BROADCASTING COMPANY in Russia, NHK TV in Giappone.

Nei cinema: 01 DISTRIBUTION (Italia), CÔTÉ DIFFUSION (Francia), CASTELAO PICTURES (Spagna), 20TH CENTURY FOX (Germania), SD KOREA (Repubblica di Corea), SONY LIVESPIRE (Giappone), ABRAMORAMA (Usa), PALACE ENTERTAINMENT (Australia).

In radio: RAI-RADIO3 (Italia), RADIOFRANCE (Francia) e attraverso il Circuito Euroradio sulle seguenti emittenti: Catalunya Música – Barcellona, Corporación de Radio y Televisión Española S.A. – Madrid, World of Opera – Davidson (USA), Hrvatska Radiotelevizija – Zagabria, ABC Classic FM – Sydney, Bayerischer Rundfunk – Monaco di Baviera, Rádio e Televisão de Portugal – Lisbona, Societatea Română de Radiodifuziune – Bucarest, Bâlgarsko Nationalno Radio – Sofia, Latvijas Radio – Riga, Saarländischer Rundfunk – Saarbruecken, Radiotelevizija Srbije – Belgrado, Rossijskoe Teleradio All-Russian State TV and Radio Broadcasting Company – Mosca, Eesti Rahvusringhääling - Estonian Public Broadcasting – Tallin, Radiotelevizija Slovenija – Liubljana, Polskie Radio SA – Varsavia, Norddeutscher Rundfunk – Amburgo, Deutschlandradio Kultur – Berlino, Fuldmaegtig, DR Kultur / P2 Programmer, DR – Copenhagen, Oesterreichischer Rundfunk – Vienna.

 

 

 

Ultima modifica il Mercoledì, 09 Dicembre 2015 11:57
Devi effettuare il login per inviare commenti

Free Joomla! template by L.THEME

Questo sito NON utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti.