Lunedì, 28 Dicembre 2015 00:00

I migliori venti album del 2015

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I migliori venti album del 2015

Si chiude il 2015, un anno musicalmente valido che ha visto l'uscita di un serie di ottime prove, in ambiti e generi molto diversi fra loro. Sugli scudi il cantautorato al femminile, nelle sue numerose sfaccettature. Fra i lavori più convincenti non possiamo non menzionare il meraviglioso pop avanguardistico di Julia Holter, la gothic rock opera di Chelsea Wolfe, il pop rarefatto e narcotico di Lana del Rey, l'indie rock psichedelico di Courtney Barnett, l'elettronica pop camaleontica di Grimes e quella più folk di Susanne Sundfor, senza dimenticare l'atteso ritorno di Joanna Newsom.

Anche il cantautorato maschile però ha portato alla pubblicazione di ottimi dischi, sopratutto in ambito indie, fra cui occorre segnalare almeno il folk intimista di Sufjan Stevens e il sorprendente esordio soul di Benjamin Clementine, oltre ai buoni lavori di Father John Misty e Tobias Jesso Jr.
Se la scena indie britannica latita, tutte le spinte innovatrici della elettronica emerse dalla frammentazione della drum'n'bass e dubstep dello scorso decennio, continuano a produrre lavori orientati alla ricerca di linguaggi espressivi sempre più ibridi. Quest'anno Synkro ci propone una post-debstep estetizzante come non mai, mentre il talentuoso producer Jamie xx prova a ricomporre il puzzle di queste schegge musicali impazzite, sull'ambizioso "in Colour".
Anno fondamentale anche per l'hip hop con la pubblicazione dell'acclamatissimo ritorno di Kendrick Lamar, capace di dare continuità al processo di reinvenzione di un genere musicale, che ha saputo, anche grazie al suo contributo, sviluppare una dimensione critica finora sconosciuta per portata e profondità di analisi. Infine, si assiste al ritorno in grande stile di un post-punk granitico e ossessivo, con i lavori dei Viet Cong, Soft Moon e Protomartyr.
Anno ricco anche per le pubblicazioni made in Italy: da segnalare almeno il ritorno dei Verdena con il doppio volume di Endkadenz, il cantautorato indie di Iosonouncane e Colapesce, il freschissimo indie pop di Any Other e il cinematico nuovo lavoro dei Calibro 35 con S.P.A.C.E.
Ecco la classifica dei migliori 20 album dell'anno:

20. Lana del Rey - "Honeymoon": Honeymoon porta il dream pop postmoderno, plastico e disturbato di Lana del Rey verso territori sempre più languidi e narcotici.  Il suo è un noir pop sofisticato ed estetizzante in cui emerge tutta l'angoscia della vita contemporanea, fra noia, violenza repressa e confusione emotiva.

19. Synkro - "Change": passato piuttosto inosservato, in realtà Change è la miglior opera in ambito (post)dubstep dell'anno. Complessità compositiva, strutture eleganti, atmosfere urbane, grande senso estetico definiscono un lavoro di classe influenzato da Burial ma personale e autentico.

18. Beach House - "Depression Cherry": a firma Beach House quest'anno sono usciti ben due album ed entrambi di buona qualità, ma alla fine quello che merita una menzione fra i migliori venti è il primo ad essere uscito, Depression Cherry, un elogio alla dissolvenza e all'impalpabilità in un trionfo di suoni filtrati e sommessi. I Beach House si confermano così i migliori interpreti contemporanei del dream pop più soffuso e riverberato.

17. Hop Along - "Painted Shut": brillante e fresca la proposta Hop Along, che con questo ultimo lavoro danno un deciso taglio anni novanta al loro sound. Fra freak folk, alternative pop e grunge, Painted Shut è un piccolo gioiellino che sa essere nervoso e romantico, obliquo e cristallino allo stesso tempo.

16. Verdena - "Endkadenz Vol. 1": i portabandiera dell'alternative rock italiano non sbagliano mai un colpo. Non è bastato il doppio "Wow" ad appagare le ambizioni artistiche dei Verdena che quest'anno escono con un altro disco diviso di due volumi, stavolta pubblicati l'uno a distanza di alcuni mesi dall'altro. Ed é sopratutto il primo volume di Endkadenz a convincere pienamente: sono qui contenute composizioni complesse, nervose, cariche di una tensione emotiva negativa e scura in cui schegge indie, post grunge, psichedeliche, alternative trovano la loro coerenza e coesione.

15. Kendrick Lamar - "To Pimp a Butterfly": sono passati solo 5 anni dalla pubblicazione di "My Beautiful Dark Twisted Fantasy" di Kenye West. Quel disco ha rappresentato simbolicamente un grande punto di svolta. L'hip hop degli anni dieci cambia marcia: dopo le accuse di "falsa coscienza" da parte di critici dal calibro di Simon Reynolds, dopo l'aumento delle disuguaglianze e il ritorno della questione razziale negli Stati Uniti, l'hip hop sessista e machista tutto macchinoni e soldi facili è costretti a ripensarsi. Kendrick Lamar rappresenta l'animo critico di questo nuovo corso dell'hip hop, ormai diventanto conscious e pronto a mettere in discussione le proprie categorie. Fra video con ballerine obese (King Kunta) e neri assassinati dalla polizia (Alright), su "To Pimp a Butterfly" Kendrick Lamar ricostruisce la dark side della sua America, elevando il rigurgito rap a flusso di coscienza e il semplice beat a unità minima su cui costruire composizioni complesse e policrome. Esaltato dalla critica specialistica, è disco dell'anno per Pitchfork, Spin, Consequence of Sound e Rolling Stone.

14. Susanne Sundfør - "Ten Love Songs": attiva dal 2007, la Norvegese Susanne Sundfør è nota fuori dai confini nazionali per le sue collaborazioni con Bjork, M83 e Royksopp, ma il suo brillante intreccio di pop orchestrale ed electro meriterebbe maggiore riconoscimento internazionale. Vivaci e poliedriche, le ballate contenute su "Ten New Songs", mostrano un'artista che sa esaltare i suoni volumetrici e ricchi del barocco senza cadere nello stucchevole, in un tripudio di eccentrica creatività sempre in bilico fra pop e avanguardia.

13. Majical Cloudz - "Are You Alone?": Majical Cloudz è il progetto generato dall'incontro fra il cantautore Devon Welsh e il producer Matthew Otto. i due giovani canadesi, attivi dal 2010, toccano il loro vertice artistico con "Are You Alone?", un album di pop elettronico atmosferico e sommesso, dalla grande intensità emotiva. Dolore intimista e dolente rassegnazione son i sentimenti che stanno dietro a un disco idealmente affine alla narcotica malinconia dell'ultimo Damon Albarn e dello slow-core più spoglio di Red House Painters e Low.

12. Girlpool - "Before The World Was Big": l'esordio sulla lunga distanza del duo californiano al femminile è una delle grandi sorprese di questo 2015. La loro proposta indie folk- pop da cameretta, fondata su una rigorosa estetica lo-fi, col solo ausilio di voce, chitarra e basso, è diretta, incisiva, perfetta nella sua semplicità. Gemme quali Chinatown o Ideal World sono il perfetto punto di incontro fra lo slacker rock di Beat Happening e Pavement con la vena poetica e minimalista di Smog.

11. Soft Moon - "Deeper": l'universo sotterraneo allucinato, nevrotico, ossessivo e tormentato di Luis Vasquez non accenna a trovare neppure il minimo spiraglio di luce. Anche sull'ultimo "Deeper", Deliri EDM e industriali sovrastano sonorità post-punk nervose e martellanti per uno dei viaggi più angoscianti nel cuore di tenebra della sua musica. Lavoro oscuro affascinante e immaginifico.

10. Jamie xx - "In Colour": Jamie Smith, produttore e DJ delle icone indie the xx, lancia alla grande la sua carriera solista con l'ambiziosissimo "In Colour", un tripudio policromatico in cui la post-dubstep, già di per sè ibrida e contaminata, viene spinta verso territori sempre più aperti ed inediti. Ne esce un dance pop visionario in cui uk garage, dreambeat, drum'n'bass, electro, dub, cultura rave, beat balearici, si intrecciano e meticciano all'inverosimile, proiettandosi verso il futuro.

09. Ah! Kosmos - "Bastards": Ah!Kosmos è il moniker dietro il quale si nasconde la giovane artista turca Basak Günak. Il suo album d'esordio è il sorprendente "Bastards", un calderone sintetico di sonorità sognanti e oscure, arricchite da stratificazioni sonore e dense campionature. L'album vive di una visionarietà tutta sua, con una dream-tronica orientata allo spazio aperto e alla natura inesplorata, impreziosita da echi kosmische e dolenti passaggi post-dubstep. Il disco è una fascinazione continua col suo gioco di synth liquidi e persi nel vuoto e con la sua infinita delicatezza.

08. Courtney Barnett - "Sometimes I Sit and Think And Sometimes I just Sit": uno degli esordi più chiacchierati e apprezzati in ambito indie è sicuramente quello della australiana Courtney Barnett. Tipica ragazza acqua e sapone con la maglietta a righe o camicia a scacchi, Courtney attinge a piene mani dal cantautorato rock al femminile per realizzare un'opera di folk-rock obliquo e psichedelico dal grandissimo impatto e impreziosito da testi degni di una abile cantautrice. Irresistibili gli schizzi indie folk di Elevator Operator e An Illustration of Loneliness e i mantra acid-rock di Depreston e Kim's Caravan.

07. 2814 - "Atarashii ni~tsu no Tanjou": rievocazioni orientaleggianti per i due misteriosi artisti che stanno dietro il moniker 2814, progetto di musica ambient elettronica di base a Londra. Uscito in sordina all'inizio dell'anno, il disco si sta già meritando il titolo di manifesto della vaporwave, grazie alla sua elettronica in stile anni ottanta fumosa e rallentata. Si tratta di un'opera estremamente evocativa, piena di soundscapes malinconici e intrisa di un languore straziante. La copertina, in cui è raffigurata una Tokyo iper-moderna coperta da luci al neon viola, richiama suggestioni distopiche e alienanti. Opera meravigliosa ed estetizzante, su Atarashii ni~tsu no Tanjou c'è il nostalgico riverbero chitarristico di Fennesz, la dolente dreamtronica di Tycho e l'abbandono alla vuota contemplazione dei Boards of Canada.

06. Chelsea Wolfe - "Abyss": L'artista californiana Chelsea Joy Wolfe raggiunge con Abyss l'apice estetizzante del suo neo-folk apocalittico: mai la sua proposta musicale è stata tanto elaborata e ricca delle più variegate suggestioni. I battiti dispari, le chitarre metalliche, le cacofonie industriali, i droni funerei, concorrono a creare un ibrido musicale avvolgente e inquietante, un costrutto melodico pieno di sfumature e sovrapposizioni. Retto da strutture granitiche e spigolose come non mai, Abyss è il suo lavoro più dark e rumoristico e conferma la Wolfe come regina del gotico underground contemporaneo.

05. Grimes - "Art Angels": Art Angeles è l'apoteosi dell'estetica art-pop camaleontica e schizofrenica dell'artista canadese Claire Boucher, in arte Grimes. Si tratta di un album molto eterogeneo, volutamente frammentario che lei stessa definisce "per metà pop e per metà strano", ma che in realtà è spesso tutte e due le cose insieme. Esuberante ed eccitante, Art Angels parla un linguaggio diretto ma non per questo banale, crea una dance cinematica e affascinante, scolpisce un'opera aliena ed entusiasmante. Disco dell'anno per il New Musical Express e Stereogum.

04. Benjamin Clementine - "At Least For Now": La rivisitazione della tradizione soul tramite coordinate pop contemporanee è una delle grandi tendenze degli ultimi anni. Per vie diverse, Amy Winehouse e Adele hanno riportato questo genere in cima alle classifiche mondiali. Troppo più complesso dal punto di vista compositivo invece quello di Benjamin Clementine per aspirare a questi risultati di vendite, ma decisamente superiore dal punto di vista qualitativo. La voce tenorile, stupenda, è al servizio di un soul alternativo, piena di contrappunti e cambi di ritmo, metriche irregolari e frammentate, tutto intramezzato da frequenti passaggi di spoken word. Appassionato e intimo, più movimentato e variegato di quello di Anthony (& the Johnsons), il soul contaminato e impuro di At Least for Now, è un disco trascinante e stimolante, un numero di grande classe per un musicista che mostra di avere già un grande spessore artistico.

03. Viet Cong - "Viet Cong": L’omonimo "Viet Cong", primo album del complesso canadese di Calgary (prima si chiamavano "Sister") è un trionfo di sapienza compositiva, il posto dove ossessioni apocalittiche e cupezze claustrofobiche vengono continuamente squarciate da effimeri ma accecanti raggi di sole, dove compattezza ed ecletticismo, articolazione e minimalismo vanno a braccetto. Apprezzato dalla critica quando uscì a gennaio, ma poi assurdamente snobbato quando si è tratto di stilare le classifiche di fine anno da parte di molte riviste musicali, "Viet Cong" è senza dubbio un disco post punk entusiasmante, capace di creare una sintesi virtuosa fra dark wave degli esordi con quella attuale e in grado di creare articolati giochi sonori caratterizzati da lunghe contrazioni e da improvvise distensioni melodiche.

02. Sufjan Stevens - "Carrie & Lowell": L'arte del cantautore americano Sufjan Stevens è passata attraverso notevoli mutazioni ed evoluzioni ma, alla fine, a prevalere è stata la dimensione fragile e intimista, legata all'esigenza di immediatezza comunicativa che è spontaneamente emersa in un Sufjan lacerato dalla dolorosa perdita della madre, lutto che ha sicuramente segnato profondamente quest’ultimo lavoro del cantautore. Si tratta infatti di un album personale ed intimo, quasi autoreferenziale, in cui se proprio si può rintracciare un pubblico, esso è costituito unicamente dalle due persone alla quale l’album è dedicato: Carrie & Lowell ovvero rispettivamente la madre e il patrigno, in un mistico colloquio a distanza, senza struttura e senza filtri affettivi, un flusso di desolante bellezza e lacerante lirismo. Armato di sola chitarra, piano e voce, con una strumentazione di contorno minima, Sufjan riscopre il folk e, rinunciando del tutto all’esuberanza corale o ai baccanali avant pop, si rinchiude in un universo di foglie autunnali e di malinconia disarmante. Carrie & Lowell regala, con la sua straordinaria intensità lirica e la sua sofferta malinconia, una delle pagine più dolenti e commoventi del cantautorato americano contemporaneo. Disco dell'anno per Rockerilla e Il Mucchio Selvaggio.

01. Julia Holter - "Have You In My Wilderness": L'ennesima conferma che Julia Holter è una delle più grandi personalità del pop avanguardistico degli ultimi anni arriva con "Have You in My Wilderness", l'album della definitiva consacrazione artistica e fondamentale punto di svolta nella sua produzione musicale. Si tratta infatti di un disco, che senza rinunciare a costruire impalcature strumentali complesse e avanguardistiche, prova a diradare le impenetrabili nubi esoteriche e le pesanti e labirintiche formule musicali degli esordi, per giungere a un cantautorato più dinamico ed accessibile. Le abilità compositive della Holter, già in grande evidenza nelle prove precedenti, toccano con questo quarto album vertici di stupefacente inventiva. Ci sono vari momenti da antologia del rock da camera contemporaneo in questo disco che si regge su un miracoloso equilibrio lirico e ritmico. Risulta impossibile non perdersi nelle terre selvagge dipinte a tinte leggere da Julia Holter, così come risulta impossibile non restare disorientati e forse un po' frastornati dalla ricchezza del materiale musicale proposto, di una bellezza che probabilmente non ha eguali nel panorama musicale, almeno di quest'anno. Disco dell'anno anche per Mojo e Uncut.

Ultima modifica il Domenica, 27 Dicembre 2015 17:37
Alessandro Zabban

Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all'arte in tutte le sue forme.

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