Lo schivo e scontroso Kozelek, che ha fatto la storia recente del folk-rock/slow core più intimistico, non è nuovo a collaborazioni con artisti provenienti da diversi background musicali, e quella con Jesu, appare il passo successivo nel suo tentativo di spingere ulteriormente avanti le proprie coordinate stilistiche.
La scommessa funziona per aggregazione: ognuno fa ciò che sa fare meglio. Broadrick, imbastisce dense e pesanti strumentazioni, delineando atmosfere opprimenti e rallentate; Kozelek inventa linee vocali intense e passionali, drammatizzando alla perfezione le liriche oscure e strazianti scritte ad hoc.
Da questo punto di vista, i testi di Kozelek si fanno più personali, senza quella propensione a lanciarsi su tematiche piuttosto evanescenti (come era avvenuto sull'autoreferenziale Universal Themes del 2015), ma c'è il ritorno alla più posata e coinvolgente urgenza comunicativa e immediatezza intimistica dell'acclamato Benji (2014). Fra passaggi spoken word in cui vengono declamate passi di lettere inviate dai fan e acuti vocali volti ad assecondare una strumentazione rock aggressiva, la narrazione è un collage di piccole impressioni, posti visitati, recenti situazioni di vita quotidiana vissute in prima persona, e, dietro tutto, lo spettro della morte, leitmotiv dell'intero disco insieme all'amore, con cui forma una coppia in perenne antitesi dialettica.
Senza filtri ("le metafore sono strazianti e noiose" – ha detto Kozelek nell’ultima intervista concessa a Rainn Wilson – "Quando hai fatto metafore per dieci, quindici anni, è ora di passare a qualcos’altro"), nelle dense liriche le circostanze luttuose si moltiplicano e intrecciano, dal figlio di Nick Cave, la figlia di Mike Tyson, fino alle persone più vicine a lui come lo zio Lenny, la cugina Carissa o i genitori della sua ex Katy, già ampiamente decantata e musa ispiratrice di alcuni dei suoi capolavori.
L'omonimo Jesu/Sun Kil Moon regala dieci tracce lunghe e dall'intreccio complesso, da scuola post rock. L'inizio, più scuro e oppressivo, sembra essere dominato dai tempi dispari e dai riff chitarristici ridondanti orchestrati da Jesu (l'accoppiata "Good Morning My Love"/ "Carondelet" e "A Song of Shadows" che viaggiano sui desolanti terreni dei maestri Slint e Russian Circles)mentre poi le pesanti e dense nubi strumentali sembrano lentamente diradarsi, lasciando il campo all'indie rock dei Sun Kil Moon, per una volta spigoloso e muscoloso come raramente prima. Emergono melodie sanguigne ed epidermiche (il folk progressivo e crepuscolare "Last Night I Rocked The Room Like Elvis And Had Them Laughing Like Richard Pryor", lo slow-core da manuale della bellissima e malinconica "Fragile") ed una elettronica elegante e atmosferica (la dimessa e a suo modo dolcissima "Father's Day" o il finale sperimentale, aperto e vasto, di una lacerante "Beautiful You", fra suggestioni Kosmische Musik e ossessioni Velvet Underground).
Jesu/Sun Kil Moon è un progetto perfettamente riuscito, un sodalizio ben amalgamato fra due spiriti artistici diversi ma non per questo incompatibili. Vario e intenso, questo lavoro si propone come una delle più solide uscite discografiche di questo inizio di 2016.
voto: 7,5