Sabato, 02 Giugno 2018 00:00

Quarant'anni con il Boss in The darkness on the edge of town

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Quarant'anni con il Boss in The darkness on the edge of town

Un disco che scende a patti con la disperazione, persone che cercano di aggrapparsi alla propria dignità in mezzo a un uragano. Parla di gente che tenta di liberarsi. Darkness on the edge of town sostanzialmente dice "Arrivi dove vuoi andare e torni indietro e ritorno di nuovo, perché è solo l'inizio... Ci arrivi... sei tutto contento... e d'un tratto senti un senso di terrore che sovrasta tutto quello che fai" (Bruce Springsteen)

Il 2 giugno per noi italiani è la Festa della Repubblica. Esattamente quaranta anni fa nel 1978 veniva pubblicato un disco amatissimo dai fan più puri del Boss: "Darkness on the edge of town". Il tour fu uno dei lunghi e intensi della carriera del Boss (179 date da oltre 3 ore!). L'album è stato inserito alla posizione 151 della lista dei 500 migliori album secondo Rolling Stone. Per me è molto, ma molto più in alto.

L'analogia con l'Italia non è una sciocchezza. È un album neorealista fatto di testi maturi. Al centro ci sono operai, perdenti, le radici della famiglia Springsteen (per metà di origine irlandese e per metà italiana), il lavoro usurante che spreme le persone, l'insoddisfazione, le urla interiori e sequenze cinematografiche da film noir in bianco e nero. Insomma Springsteen ha osservato il mondo, le persone intorno a lui. È un disco genuino, sincero che fotografa alla perfezione stati d'animo, cambiamenti d'umore in un mondo in continua evoluzione (o involuzione?). In questi dieci pezzi ci si può facilmente riconoscere: infatti chi vi scrive molti dei temi di questo disco li ha vissuti sulla propria pelle. E quando la musica fa questo non si può che applaudire. La E-Street Band è una rock machine che non conosce sosta: le chitarre stridono e urlano come se rappresentassero la malinconia dell'uomo, la batteria di Weinberg non è mai stata così incisiva, il piano di Bittan si eleva con maestria nei momenti caldi, la voce roca e cavernosa del Boss dà senso alle storie da raccontare.

Un disco rock 'n roll riflessivo, viscerale, potente, vibrante, corposo, compatto, drammatico, sincero e intenso. Sulla scia di "Born to run", quest'opera porrà le basi per il successivo capolavoro chiamato "The River". Non è un disco molto allegro: qui ci sono anche frustrazione, paure irrisolte, infelicità e l'onnipresente tema della fuga. L'America di allora vide il cambio della guardia al vertice (dal repubblicano Nixon al democratico Carter), ma i problemi per la gente comune rimanevano gli stessi: tirare a campare, far quadrare i bilanci familiari, la perdita del posto di lavoro. L'ottimismo era solo apparente, era più una speranza. Anche lo stesso Springsteen, nonostante il successo di "Born to run" che lo aveva fatto diventare una rockstar, non se la passava benissimo (era in corso la causa con l'ex manager Peter Appel per riappropriarsi dei diritti delle sue canzoni). Ammise che era esageratamente concentrato sul suo lavoro. Proprio per questo motivo la cosa si avverte e ritengo questo disco un must. La carica, la rabbia che c'è dentro, la voglia di lottare che mi ha trasmesso non trova eguali. Nei momenti più difficili queste canzoni sono state molto importanti. Dopo quaranta anni sono ancora tremendamente attuali.

Quando ascolto questo album in auto mi sembra che il Boss sia sul sedile posteriore. "Darkness on the edge of town" è una montagna russa di emozioni ed è il cardine della poetica del rocker del New Jersey. La narrativa cinematografica del rocker poeta è palese spaziando dal film d'esordio di Terrence Malick, "La rabbia giovane" (ma in lingua originale si chiama Badlands come la canzone apripista), fino a "Quel pomeriggio di un giorno da cani" di Sidney Lumet (protagonista uno strepitoso Al Pacino). E poi c'è "Taxi Driver" di Scorsese. Sì perché Robert DeNiro qualche anno prima improvvisò il monologo allo specchio (lo trovate qui) dopo aver assistito al "Born To Run Tour". E in effetti è vero: il Boss si rivolge (quasi) in quel modo al suo pubblico con domande retoriche prima di attaccare con una massiccia dose di adrenalina.

Adesso prendete fiato. Fate un bel respirone e continuate a leggere. Dimenticate di abbassare il finestrino con il vento che inizia a farvi il solletico ai capelli. Qui il rock scorre a fiumi, ma serpeggia la malinconia. C'è gente in trappola che lotta per rimanere a galla. "Spesso per cambiare occorre arrivare allo stremo delle forze" - dice Springsteen nella sua autobiografia. E ha ragione. In questo disco c'è tanta roba forte che lo testimonia. Inizia fortissimo con un pezzo devastante (anche il concerto di Firenze 2012, sotto il diluvio, iniziò così...). E da lì inizia una sorta di viaggio su un auto che ci trascina fino a destinazione in mezzo a strade di fuoco, terre promesse e gente che va sulla collina ad urlare il suo dolore, prima di trovare realizzazione ai propri sogni. Poi a tratti il motore fa meno giri con pezzi più intimi e riflessivi, ma piuttosto forti e delicati allo stesso tempo. Ed ecco che si spazia dall'estenuante ricerca di splendore, sesso e bellezza di "Candy's room", la descrizione dei bassifondi e della classe operaia perdente e annoiata (Something in the night, Badlands, Racing in the street, Darkness in the edge of town), la ricerca della lotta, la voglia di battersi e di non arrendersi mai. Il sogno americano è effimero e non bisogna rincorrerlo: qui c'è la delusione di vedersi strappare dalle mani quel poco che si è ottenuto. Ma ci sono anche tanti riferimenti biblici: su tutti la terra promessa, il rapporto padre/figlio come Adamo e Caino.

Dopo l'incredibile successo di "Born to run" (1975), tutto il mondo aspettava la conferma da Springsteen. Il materiale però Bruce l'aveva già quasi pronto. Il decennio 1975-1985 è il periodo dove il rocker del New Jersey sforna un capolavoro dietro l'altro, in particolar modo la trilogia Born to Run (vedi qui) - Darkness on the edge of town e The river (vedi qui). Come dimostrato solo nel 2010, Bruce aveva pronta una miriade di canzoni. Tanto che otto anni fa venne pubblicato "The promise" (per maggiori informazioni andate qui), doppio album in cui compaiono ventuno pezzi del 1978, tra cui la memorabile title track. Una canzone unica che parla del tema della disillusione della gente comune dopo aver inseguito (vanamente) i propri sogni. Una delle mie canzoni preferite in assoluto (ascoltatela questa incredibile versione live, credo che entrerà ben presto nella vostra playlist).

La maturità di Bruce, musicalmente parlando, era tale e non aveva ancora trent'anni. Purtroppo ci furono attriti e una causa giudiziaria tra il cantante e il suo manager Mike Appel per via di dissidi sul contratto discografico. John Landau (quello che disse "ho visto il futuro del rock e il suo nome è Bruce Springsteen") a breve sarebbe diventato il guru di Bruce e della E-Street Band. Il quarto disco del Boss rimase fermo per oltre un anno. L'attesa si fece estenuante, ma ne valse la pena. Per farla ancora più forte nei studi Columbia/Sony ci fu anche un incredibile regalo che Bruce fece alla "sacerdotessa del rock" Patti Smith. Era convinto che il singolo fosse perfetto per una donna (e francamente era più adatto alla sensibilità del gentil sesso). Sto parlando ovviamente del brano "Because the night" (qui trovate un'imperdibile versione live con Patti Smith, il Boss e gli U2). Il singolo di lancio del disco di Springsteen era già pronto ed era fortissimo (Badlands, pezzo di inestimabile bellezza sul rapporto rabbia interiore/ senso di libertà). Patti non aveva un singolo trainante per il suo "Easter" e quel "love is a ring, the telephone" cambiò in maniera totale la descrizione dell'amore per diversi anni (non solo a livello musicale). Ma non era l'unico regalo che Springsteen fece: Robert Gordon ebbe Fire, Southside Johnny ebbe Heart of stone, Gary U.S. Bonds ebbe This Little Girl e gli Knach ebbero la magnifica Don't look back. Detto questo, veniamo ad un'analisi accurata del disco, come al solito traccia per traccia.

Badlands 

"poor man wanna be rich
rich man wanna be king
and a king ain’t satisfied
till he rules everything"

Basterebbero questi versi per descrivere l'essere umano e l'individualismo odierno. Questa immensa canzone è stata costruita tutta sul concetto del titolo: ovvero i bassifondi. Bruce aveva visto "La rabbia giovane" di Terrence Malick (film di altissimo livello) e ne era rimasto affascinato. Il titolo originale del film era proprio Badlands. Questa pellicola influenzerà Springsteen nella stesura del disco successivo, "Nebraska" (1982). Molti però non sanno che Bruce ha "scippato" il riff di tastiere e chitarre agli Animals (quelli di "House of rising sun", che prende il nome da un bordello di New Orleans). Il pezzo è una sorta di inno, di coro da stadio per coloro che vivono le difficoltà nelle periferie, nel lavoro dei campi (con la schiena bruciata dal sole) e nelle strade. La rabbia, lo stomaco in subbuglio, la testa che scoppia e l'amore come elemento salvifico ("I believe in the love that you gave me"), uniti a un'inesauribile voglia di libertà. Il Boss vuole che ognuno prenda in mano la propria vita ribellandosi alla paura, facendo sì che i sogni diventino realtà ("talk about a dream and try to make real, you wake up in the night you feel with a fear so real").


Adam raised a Cain

"In the Bible Cain slew Abel
and East of Eden he was cast
you’re born into this life paying
for the sins of somebody else’s past"

Dopo un inizio folgorante, ecco il pezzo di rottura. Una canzone che parla dell'educazione cattolica che Bruce ha ricevuto dai suoi genitori. Il rapporto conflittuale con il padre Doug è stato oggetto di tantissime canzoni. Paragona lui e suo padre rispettivamente a Caino e Adamo (sulla scia della lezione del film "La valle dell'Eden" di Elia Kazan con James Dean nei panni del figlio ribelle). Infatti ci sono tantissimi riferimenti alla religione e alla Bibbia: dal suo battesimo alla storia di Caino e Abele, ma anche al rapporto tra genitori e figli (inclusa la loro educazione). La critica del Boss alla religione è piuttosto aspra e punta il dito a tutti coloro che vanno in Chiesa perché "hanno la pistola del cattolicesimo puntata contro". Il riferimento è diretto anche ai suoi familiari.

Something in the noght

"You’re born with nothing
and better off that way
soon as you’ve got something they send
someone to try and take it away"

Siete in macchina da soli, di notte? Ecco, non pensate e mettete questa canzone. Il piano di "The professor" Roy Bittan crea l'atmosfera giusta. La voce del Boss inizia a scorrere potente. Alzate il volume. Bang! Vi sembrerà di essere sulla Kingsley, pronti a inseguire ... something in the night. Anche se quel qualcosa non si sa cos'è. Questa canzone ha il dono di dire in pochi minuti cose che per spiegarle servirebbe l'intera giovinezza. Ecco un pezzo sconosciuto ai più che a me fa decisamente impazzire. La canzone, ambientata ad Asbury Park, parla di giovani "che si consumano come qualcosa nella notte", senza alcun valore e voglia di fare. Intorno a loro c'è il nulla perché "le cose che amavamo erano distrutte ed agonizzanti nella polvere" . Lo scenario di distruzione e violenza già stava serpeggiando. Già 40 anni fa si vedevano i primi segni di decadimento che oggi sono all'ordine del giorno. Come in "Cadillac Ranch" (1980), anche qui l'auto è una sorta di metafora della vita e del disagio giovanile.

Candy's room 

"We kiss, my heart’s rushes to my brain
the blood rushes in my veins
fire rushes towards the sky
we go driving driving deep into the night
I go driving deep into the light in Candy’s eyes"

Eccoci a un pezzo libidinoso e godereccio, ma anche rattristante perché emana un "infelice destino di prostituzione". Come Adam raised a cain, un altro pezzo di rottura. È un'incursione solitaria nel sesso torrido come unico piacere a un mondo desolante e vuoto. La canzone parla di Candy, una donna elegante e piena di gioielli, circondata da uomini che le regalano tutto ciò che vuole. Una canzone che è un inno all'amore selvaggio con il cuore che batte all'impazzata e il sangue che arriva veloce e fluido al cervello. Questo è un brano rock dal ritmo serrato, dominato dal piano di Roy Bittan, da assoli di chitarra ruvidi. E poi merita di essere citata l'atmosfera magistrale creata dai piatti sfrigolanti della batteria di "Mighty" Max Weinberg che regala probabilmente la sua performance più maniacale, sentita e pirotecnica. Se amate queste note, sappiate che a Pesaro esiste un bed and breakfast che si chiama come questo pezzo (vedi qui).

Racing in the street

"some guys they just give up living
and start dying little by little, piece by piece
some guys come home from work and wash up
and go racin’ in the street"

Narrativamente parlando, è la canzone più cinematografica e raffinata del disco. Ancora una volta le auto sono protagoniste e sono come delle persone con i suoi dubbi, i tormenti interiori (donne comprese). Tutte le macchine vanno da una città all'altra per gareggiare e fare soldi. Ma ad un certo punto il presente lascia spazio al passato (ai bei tempi che furono) e poi, inevitabilmente quando si diventa vecchi, al futuro, alle macchine di nuova generazione. Le strade diventano infuocate e ci sono due tipi di uomini: "ci sono quelli che rinunciano semplicemente a vivere e iniziano a morire lentamente, un poco alla volta e quelli che rientrano a casa dal lavoro, si rinfrescano e poi vanno a gareggiare in strada". Racing in the street sarà una sorta di antifona di "Atlantic City" (da "Nebraska" del 1982) in cui il Boss lascia uno spazio al futuro nonostante le difficoltà (Everything dies, baby, that's a fact, but maybe everything that dies someday comes back).

The promised land

"I’ve done my best to live the right way
I get up every morning and go to work each day
but your eyes go blind and your blood runs cold
sometimes I feel so weak I just want to explode
explode and tear this whole town apart
take a knife and cut this pain from my heart
find somebody itching for something to start"

Eccoci arrivati alla terra promessa, in salsa folk rock stile Dylan. L'armonica scorre potente e forte, come i riferimenti biblici. Sulla scia dell'omonimo pezzo di Chuck Berry, Springsteen omaggia la comunità del New Jersey, luogo dove è nato e cresciuto. Mentre lavora al pezzo, il rocker è confuso, intrappolato dalla causa contro l'ex manager Appel. Il pezzo è un inno disilluso a un'America che non ce l'ha fatta a dare ai suoi cittadini condizioni di vita ottimali. La terra promessa è un miraggio, il malessere è tangibile. "Vorrei trovare qualcuno che muoia dalla voglia di iniziare qualcosa" è il motore di quei pochi che ancora oggi combattono per raggiungere i loro obbiettivi, senza rassegnarsi.

Factory

"Men walk through these gates with death in their eyes"

Quando andare a lavoro è una guerra. Springsteen esalta le contraddizioni del lavoro usurante che è una morsa che cambia le persone. Questa canzone è una ballata country che parla della grigia e ripetitiva vita da fabbrica, che distrugge l'uomo per poi dargli da mangiare. Un ossimoro difficile da digerire. La ciclicità del lavoro, il solito suono della sirena non sono il bene dell'uomo. Bruce dice che tutto ciò non è vita. Queste vite sempre uguali e queste generazioni condannate a ripeterle saranno il primo nucleo di quel capolavoro che è "The River".

Streets of fire

"I live now, only with strangers
I talk to only strangers
I walk with angels that have no place
streets of fire"

Rieccoci alle strade infuocate. Una fiaba rock n roll basata sul film "Strade di fuoco" di Walter Hill (sì cari cinefili il regista de "I guerrieri della notte"). Il protagonista è un uomo deluso dalla vita. Le menzogne e l'ipocrisia della gente lo divorano dentro. Si sente tradito e disperato. Qui c'è solo amarezza e poca voglia di riscatto. Ma c'è anche l'incapacità dell'essere umano di dialogare con i suoi simili. Questa solitudine oggi è ancora più marcata di quarant'anni fa.

Prove it all night

"they made their choices and they’ll never know
what it means to steal, to cheat, to lie
what it’s like to live and die"

La vita non è facile, ma questa giovane coppia fa di tutto per stare insieme. Lui sta per terminare il suo turno a lavoro, prima di partire in un viaggio con la sua amata. Durante il tour, c'è una sorta di ottimismo che il domani sarà migliore. Intanto sullo sfondo c'è un mondo chiuso che non permette all'amore di crescere. Questa canzone è un cavallo di battaglia dei concerti del Boss.

Dakness on the edge of town

"Tonight I'll be on that hill 'cause I can't stop
I'll be on that hill with everything I've got
Well, lives on the line where dreams are found and lost
I'll be there on time and I'll pay the cost
For wanting things that can only be found
In the darkness on the edge of town"

Live è la canzone più bella del Boss, sicuramente tra le più potenti e coinvolgenti. Parla della sensazione di stare bene e male nello stesso momento, di urli di liberazione. Il disco termina con uno dei miei pezzi preferiti in assoluto. E c'è un motivo narrativo dietro questa scelta: tutte queste anime perse nel cammino all’età adulta cadono inevitabilmente e dolorosamente nella trappola dell'innocenza, "figlia di spietate “Badlands” che in pochi hanno il coraggio di lasciarsi davvero alle spalle" (Fonte: storiadellamusica.it). Partendo dalla passione del Boss per il cinema e per i film noir, la canzone si tinge di "darkness". I nostri eroi lottano contro un mondo ostile. "Il luogo per la trasformazione personale si trova solo quando si è allo stremo delle forze" - ha raccontato Springsteen. Ancora una volta ci sono i sogni e la loro difficile attuazione. Qualora vorrete "tonight I'll be on that hill with everything I got". Perché dietro a ogni scelta c'è un prezzo da pagare. Sempre che vogliate continuare a correre e, di conseguenza, a vivere.

Fonti:
Badlands di Alessandro Portelli
Born to run - L'autobiografia
Classic Rock - Speciale Bruce Springsteen
1000 dischi fondamentali del Rock- Eddy Cilia e Federico Guglielmi
Tutte le canzoni - Bruce Springsteen di Paolo Giovanazzi
Long Playing Stories di Paola Maugeri (Virgin Radio)


Darkness on the edge of town 
Bruce Springsteen


• Bruce Springsteen - Voce, chitarra, armonica 
• Roy Bittan - Pianoforte
• Clarence Clemons - Sassofono, percussioni
• Danny Federici - Organo
• Garry Tallent - Basso
• Steve Van Zandt - Chitarra, cori
• Max Weinberg - Batteria
ascolta l'album qui 

1 Badlands
2 Adam raised a cain
3 Something in the night
4 Candy' s room
5 Racing in the street
6 The promised land
7 Factory
8 Streets of fire
9 Prove it all night
10 Darkness on the edge of town


 

Immagine di copertina liberamente tratta da www.monmouth.edu
Ultima modifica il Venerdì, 01 Giugno 2018 18:09
Tommaso Alvisi

Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant'altro.

Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.

Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.

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