Il White Album dei Weezer
Dopo quello blu, quello verde e quello rosso, non poteva mancare un White Album per i Weezer, disco che più che un nuovo inizio, rappresenta piuttosto una piacevole riconferma dopo la buona prova del precedente Everything Will Be Alright in the End (2014). Così Rivers Cuomo e soci si lasciano definitivamente alle spalle i passi falsi dei primi anni duemila, segnato da prove mediocri che hanno caratterizzato il punto più basso della oltre che ventennale carriera del gruppo di Los Angeles. Ora, il declino può dirsi totalmente interrotto per uno dei progetti musicali più di culto degli anni novanta.
Aiuta un atteggiamento ottimistico (in apertura si declama a gran voce "Wind in our Sail" ) e un ritrovato ed apprezzabile esercizio di modestia: consapevoli dei propri limiti e senza strafare, si rafforza il ritorno a quel linguaggio college rock semplice ma efficace, che i Weezer hanno contribuito a coniare, fra chitarre taglienti e melodie dirette in un baccanale power pop, con increspature grunge, gustoso e adrenalinico.
Eterni portavoce del disagio nerd, prototipi dell'onnipresente senso di inadeguatezza post-adolescenziale, Cuomo e soci, ormai troppo "in là" con gli anni per riproporre l'ennesima collezione di piccole tragedie esistenzial- amorose da college, tracciano un policromatico affresco della loro west coast, gironzolando fra comunità Hare Krishna e Sikh su roller blades e passando il tempo a bighellonare con i colleghi di altri gruppi locali. In un disco che suona come un amaro ma sincero tributo alla California ("California Kids", "L.A. Girlz"), si rincorrono sinistre storie di dipendenza ("Do You Wanna Get High") e ironiche riflessioni sui moderni sistemi di online dating come Tinder ("Thank God for the Girls").
Permeata da una patina di nostalgia anni novanta volta a riportare i Weezer allo stile alternative rock del celebre Blue Album e ai devastanti singoli "Buddy Holly" e "Say It Ain't So", il nuovo lavoro si destreggia con armonia fra irruzioni punk-pop ("King of The World"), grunge-pop ("Do You Wanna Get High"), ammiccamenti emo ("Wind in Our Sails") e concedendosi persino un indie-folk un po' Elliott Smith ("Endless Bummer"). Sullo sfondo, la solita, ingombrante presenza del pop solare e sofisticato dei giganti Beach Boys permea tutto il disco.
Se il 2014 è stato l'anno della resurrezione dei Weezer col bel lavoro di Everything Will Be Alright in the End, il 2016 verrà ricordato come l'anno della conferma di un ritrovato stato di forma che sembrava ormai una chimera anche per i fan più ottimisti. Questo White Album segna anche il definitivo ritorno al loro stile originario, alla loro sapiente miscela di punk pop, indie e grunge. Nonostante ciò comporti un suono più canonico e prevedibile, i Weezer tornano a fare ciò che sanno fare meglio e la scelta paga.
voto: 6,5/10