Il Progetto Sorge nasce proprio dalla volontà di questi due artisti di sperimentare formule musicali sempre in sintonia con un art-rock di matrice letteraria e avanguardistica, ma con una strumentazione molto più ridotta all'osso rispetto a quella dei Massimo Volume: sull'album di esordio "La Guerra di Domani", per l'etichetta indipendente "La Tempesta", la musica è il prodotto delle minimali note al pianoforte di Clementi e dei synth malinconici di Caldera. Come ricorda lo stesso Clementi: «di colpo ho preso a considerare il piano per quello che è, una possibilità espressiva. Ho cominciato allora a registrare semplici linee melodiche e a girarle a Marco, il quale si è impegnato ad arricchirle, a dargli una struttura, un ritmo, creando un paesaggio su cui poi sono nati i testi».
Nella tappa del 12 Marzo del tour a supporto del loro primo lavoro, al Glue di Firenze, emergono con decisione i punti forti di questo nuovo esperimento: le atmosfere elettroniche esaltano lo stile recitativo di Clementi che a tratti (soprattutto su "Noi facciamo ciò che siamo") sfiora ritmiche hip-hop, mentre il visual a supporto dell'ascolto, semplice ma diretto, immerge l'ascoltatore nell'universo chiaroscurale e decadente dei Sorge.
Con classe e semplicità, Clementi, elegante e dimesso, rende dal vivo al pieno la tragicità e il carattere irrequieto e agitato delle sue liriche funeree, esaltandone la poetica. Sullo sfondo, le linee sintetiche scarne e nostalgiche di Caldera, vicine a quelle frammentate e spastiche di Notwist e Hood, definiscono un'architettura claustrofobica e intima. Anche dal vivo, la scaletta è mantenuta quasi identica a quella del disco, con poche variazioni d'ordine, preservando la compattezza concettuale dell'esperienza sonora.
Come nel caso dei lavori dei Massimo Volume, i Sorge devono parte del successo della loro proposta musicale ai testi, degni di un cantautorato di altissima qualità. L'esistenzialismo di Clementi, espresso al meglio anche nella sua carriera come scrittore di racconti e romanzi, resta estremamente ispirato e regala momenti di altissimo songwriting.
Soprattutto, "La Guerra di Domani" ritrova la poetica del bordo, ne riscopre i contenuti più metafisici e psicologici. Bordo che è innanzi tutto confine temporale fra un presente affannoso in cui ci si barcamena fra i mille problemi della quotidianità e un futuro incerto, pieno di interrogativi e apprensioni ansiogene che si tenta di esorcizzare. Sul bordo, ci logora l'attesa più che la paura per ciò che c'è al di là: con immagini che vengono direttamente dall'immaginario di Tabucchi e Coetzee, nell'ultimo album dei Massimo Volume "Aspettando i Barbari" (2013), la vita scorre inesorabile e lenta per chi aspetta il cataclisma, il caos. Ora, sul nuovo "La Guerra di Domani" a firma Sorge si evocano scenari futuri turbolenti e inquietanti non meno catastrofici. Ma questo è solo il clima socio-esistenziale entro cui le vicende umane si dispiegano e gli eventi si rincorrono: perché protagonisti sono i personaggi evocati dai testi taglienti e frammentari di Clementi, personaggi che provano a barcamenarsi in un mondo pericoloso e in declino, sempre navigando a vista che del doman non v'è certezza e nemmeno il presente rassicura.
Come sul disco capolavoro del 1995 allora la vita continua a scorrere, anonima e miserabile, "Lungo i Bordi", lasciando la scena, la centralità, alle "banali svolte del destino" che ne sanciscono, ciecamente, le traiettorie. Testi popolati di personaggi, si diceva, ma personaggi che più che persone sono sagome - come quella raffigurata sulla copertina del nuovo disco - coi loro solchi sul viso che paiono "sorrisi amari". Si possono allora annoverare, nel complesso catalogo umano di Clementi, sagome di vario tipo che assumono spesso carattere autobiografico ma in cui vi figurano tanto miserabili schiacciati da un esistenza meschina e scevra di opportunità ("mia nonna bruciava i polli nel garage sotto la rosticceria/ Ti ricordi la puzza che facevano? Sapeva di inverno, sapeva di fame, sapeva di unto, sapeva di cose tenute insieme male" recita la lacerante "In Famiglia") quanto esseri meschini, vili e grotteschi ("Mio cugino Adolfo tutti dicono che sia l'unico col cervello a posto/Ha fatto soldi con la differenziata, gioca in borsa e nei giorni festivi vola in Polonia a sparare alle lepri con gli amici/ Suo fratello Ugo invece tira coca e avvita rubinetti/ Ha assoldato una squadra di moldavi che lo farebbe volentieri a pezzi").
Ma tutte questi personaggi condividono un ruolo di decentramento: non sono protagonisti della loro parabola esistenziale, ma sono rimossi da ogni centralità. Una vita che scorre lenta lungo i bordi significa anche pensare a una moltitudine indifferenziata che non ha alcun potere di plasmare la realtà in cui è immersa ma che si limita ad attraversarla per poi uscirne, senza aver lasciato alcuna traccia.
In questa realtà svilente e claustrofobica, attraversata da una pletora di disperati e squallidi figuri, il minimo comun denominatore è dunque l'essere in balia dell'esistenza, mossi dalle circostanze. Clementi afferma allora con tono grave e tragico "Noi facciamo ciò che siamo": non c'è possibilità di reinvenzione e cambiamento. È questo il tema centrale del disco è che forse aiuta a capire la decisione dei due artisti di adottare l'appellativo di "Sorge". Come spiega infatti lo stesso Clementi in una recente intervista:
«leggendo una vecchia rivista di storia, mi sono imbattuto in Richard Sorge, la spia sovietica impiccata dai giapponesi durante la seconda guerra mondiale. Più che la scaltrezza e il coraggio, di Sorge mi ha colpito la capacità quasi sovrumana di interpretare fino alla morte il ruolo a lui più odioso, quello del nemico nazista. I pezzi scritti non parlano di lui, ma è come se si muovessero nell’ombra tracciata dalla sua vicenda umana, in quella faglia tra ciò che si è e ciò che la vita ci conduce a essere».
Questo ultimo è un concetto che apre timidamente anche a un tema politico di fondo che è quello della miseria dell'esistenza nell' epoca contemporanea, la presa di coscienza di un'iper-realtà sfuggente e olografica ("mia madre non vede più nessuno, dice alla gente che passa da casa che il mondo si è appannato/ Che l'occhio buono l'ha tradita e l'altro le fa un male cane"). Ma al dramma non sembra esserci rimedio e la rassegnazione per un esistenza senza certezze sembra assolutizzante: "accetto il male, accetto il peggio, il libro chiuso, il tempo perso [...] accetto l'odio e la Monsanto [....] Accetto la plastica, il polietilene, le coperture in eternit, il polistirene [....] Accetto il mondo, non ho scelta, oltre la morte Dio c'assolva. Spero non sia stanotte" è l'urlo disperato che accompagna il vagito di "Accetto tutto", che più che una resa va forse letta come una nuova consapevolezza di un mondo che, recita Clementi, "si è rotto".
La Guerra di Domani è un brillante lavoro che unisce la sempre molto ispirata poetica esistenzialista di Clementi con la fascinazione di una strumentazione elettronica minimale e malinconica, regalando un art-rock intimistico e coinvolgente che viene esaltato dalla performance dal vivo, dove si viene risucchiati nell'atmosfera di elegante ed estetizzante rassegnazione posta in essere dai Sorge.