Mitski, la sorpresa dell'anno
Recensione del folgorante Puberty 2, solidissimo pasticche di cantautorato indie
Una delle sorprese più piacevoli del 2016 è il sanguigno e febbrile Puberty 2, piccola grande gemma di cantautorato rock alternativo che impone Mitski Miyawaki come la stella in ascesa di un movimento di musiciste indie, prevalentemente americane, che negli ultimi anni ha partorito lavori di ottima qualità, dal gothic rock ruvido di Chelsea Wolfe, al dream folk vittoriano di Marissa Nadler, passando per l'alt-rock muscoloso di Angel Olsen e la wave artistoide di St. Vincent. Ciò che è stupefacente è che rispetto a questo ampio e variegato ventaglio di artiste, Puberty 2 ha la presunzione di porsi proprio alla convergenza stilistica fra queste varie anime del cantautorato contemporaneo, riuscendo di fatto a intercettare sensibilità e approcci variegati per ricollocarli entro una proposta forse non estremamente originale, ma tremendamente stimolante e solida.
Si può allora parlare di un mash up di influenze e di tendenze che trovano il minimo comun denominatore nell'approccio diretto e sofferto di una Mitski espressionista e irrequieta come non mai che si spoglia di ogni patina di mistero per mettere completamente a nudo le sue angosce e paure e i suoi desideri più reconditi che affondano nella disperata ricerca di una felicità che non si riesce mai ad afferrare. Sebbene si tratti già del quarto lavoro dell'artista nippo-statunitense, la freschezza, l'immediatezza, la spontaneità e la densità musicale presente in questo disco farebbero pensare a un esordio tanto ispirato quanto fulmineo.
Puberty 2 rappresenta una seconda adolescenza almeno in due sensi. Innanzitutto, la musicista problematizza in maniera più matura e profonda le trasformazioni che si accompagnano all'età adulta, mettendo in luce contraddizioni, stati d'animo, contrasti fra sogni e responsabilità, momenti di debolezza e coraggiose decisioni di autonomia. D'altro canto, la maturità non è solo personale ma anche e soprattutto artistica laddove si ha una nuova presa di coscienza che influenza profondamente sia i testi, che si elevano decisamente dalla media di quelli delle cantautrici indie contemporanee, sia anche la musica stessa che raggiunge livelli di consapevolezza e rifinitura eccellenti.
Che questo lavoro rappresenti un cambio di ritmo notevole nella produzione artistica della 26enne Mitski è stato messo in luce da più parti e rimarcato dagli elogi della critica specializzata. Così, meritatamente, sembra proprio che la carriera di questa giovane ragazza sia arrivata a un momento di rottura decisivo che dal semi-anonimato dei primi tre lavori, porta dritto al relativo successo che il music business alternativo può offrire a un cantautorato che ha molto più da spartire con i Pixies e Lisa Germano che non con Bob Dylan o Joan Baez.
La propensione di Mitski alla contaminazione emerge lampante fin dai primi ascolti. Il disco si apre con la dichiarazione di intenti di "Happy" che in realtà è un lacerante resoconto di una brutale storia di abbandono, geniale numero di scuola wave e art rock alla St. Vincent, un sofferto mid-tempo dalle splendide linee melodiche intervallate da synth vigorosi e dolenti intermezzi di sax. La tensione nervosa va persino aumentando nella splendida cavalcata adrenalica indie pop di "Dan The Dancer". Gettate la coordinate, non resta che abbandonarsi al resto del disco che si prodiga meravigliosamente tanto nei meandri di un rock raccolto, dimesso e dolente ("Once More to See you": Lisa Germano filtrata attraverso Anna Calvi e Julia Holter), quanto in quelli di un indie rock ruvido e spigoloso (la corrosiva e isterica "My Body is Made of Crushed Little Star", bel numero grunge fra le Hole e Kate Bush e sopratutto "Your Best American Girl" prodigioso momento di sofferta epicità alla Car Seat headrest che è anche un memorabile inno di autoaffermazione).
Passando fra sognanti elegie notturne ("Fireworks", la più vicina all'eleganza folk senza tempo di Marissa Nadler e sopratutto "A Burning Fire", commovente commiato che richiama a gran voce la dolce solennità di Hope Sandoval) e languide giornate spese ad autocompatirsi ("Crack Girl", fra Lana del Rey e i Portishead), si arriva al capolavoro del disco che è l'elegante e straziante ballata "I Bet On Losing Dogs", momento di delicato abbandono e serena rassegnazione che si colloca fra i migliori pezzi del 2016.
Con Puberty 2 Mitski si impone come una delle più rappresentative cantautrici contemporanee. Nella sua ricerca di un equilibrio fra il suo animo folk e la sua vena indie, sta la grandezza di questo disco. Le doti vocali innegabili, i testi irrequieti e la spiccata ricerca melodica fanno il resto, elevando nell'olimpo delle grandi una ragazza di appena ventisei anni che ha ancora margini di miglioramento.
voto: 8,5/10