Eva Pevarello e Samuel dei Subsonica avevano lo stesso aspetto di un cameriere che porta la bistecca ai tavoli in un ristorante vegano. Erano improponibili rispetto a quelli dopo e francamente credo che le loro esibizioni non abbiano fatto cambiare idea alla maggioranza del pubblico presente. Sono proprio questi eventi che fanno capire che in Italia siamo parecchio indietro, siamo fermi al palo. Samuel si è scusato ripetutamente con il pubblico. Al suo posto dovevano esserci i Cranberries. La colpa ovviamente non è sua, ci mancherebbe. Il tour europeo della band irlandese è stato annullato a causa di problemi di salute della cantante Dolores O'Riordan. Verrebbe da dire Dolores di nome e di fatto.
Fino alle 20.30 il caldo e la noia sono i veri protagonisti della serata. Fortunatamente venti minuti dopo arriva quel pazzo irlandese di Glen Hansard. Per me una piacevole scoperta. Non l'avevo mai visto esibirsi. Lo conoscevo solo perché nel 2008 ha vinto l'Oscar come miglior canzone per il film "Once". Più avanti vi dirò il titolo del pezzo che è stato eseguito durante il concerto di Vedder. Quando ha preso il via con la chitarra, sembrava che nemmeno un fulmine potesse abbatterlo. L'esibizione di Hansard è stata compatta, sanguigna, viscerale: da buon irlandese, insomma. Il pubblico lo ha percepito e gli ha tributato un lunghissimo applauso.
Sono circa le 21.45 quando Glen si congeda. Segue un'ora francamente insopportabile per l'afa e per l'attesa. La macchina organizzativa si inceppa. Il motivo di tutto ciò è la concomitanza dei fuochi d'artificio previsti per le 22. Come sapete il 24 giugno è San Giovanni, il patrono di Firenze. Francamente reggere in quella bolgia era veramente insopportabile. Il pubblico prende posto, a occhio ci sono oltre 50000 persone pigiate in attesa che Vedder salga sul palco della Visarno Arena. Ore 22.30. Finiscono i fuochi. Cominciano i cori da stadio.
"EDDIE OLE' OLE' OLE' EDDIE"
"GNAMO EDDIE SI GELA!"
Era evidente che qualcuno aveva paura del colpo di freddo. 22.40. Ci siamo. Il frontman dei Pearl Jam sale sul palco. La gente impazzisce di gioia. Nonostante l'incredibile folla presente, sembrava di essere con un gruppo di amici intorno a un falò sulla spiaggia. Quello con la chitarra era il più bravo di tutti, naturalmente. Gli altri un gruppo di scalmanati assetati di emozioni e di voglia di stare insieme. L'ambiente è fondamentale e anche Vedder capisce che non sarà una notte come le altre. E infatti il concerto è veramente folle, magico. Anche il cantante ha dovuto ammettere che fare un concerto nel Belpaese è qualcosa di unico. "È il mio primo show da solo in Italia ed è il più grande che ho fatto così. Grazie per essere tutti qui con me stasera". E poi ringrazia il nostro Paese perché è a Milano che ha conosciuto la sua attuale moglie, la modella Jill McCormick. A testimoniare l'affetto per l'Italia, bisogna dire che ha chiamato la figlia primogenita Olivia. Lo dico e lo affermo da diverso tempo: gli italiani (quando vogliono) non li batte nessuno per orgoglio, entusiasmo e passione. Basta riaccendere quella miccia che ultimamente è parecchio corta. Ma torniamo al concerto.
Sul palco c'è solo Eddie e i suoi strumenti. Inizia un concerto armonico al massimo livello che ondeggia tra chitarre elettrica e acustica, l’ukulele e il mandolino. Rock, blues, country, folk. Non manca niente. L'inizio è travolgente con il pezzo indie "Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town", pezzo dei primi Pearl Jam. Il coro sul ritornello fade away da parte del pubblico è da pelle d'oca. Subito dopo a ruota ecco risuonare la chitarra elettrica in "Whishlist" e "Immortality", dal vasto repertorio della band di Seattle. A questo punto Eddie omaggia San Giovanni, patrono di Firenze. Apre una bottiglia di Chianti e se la beve di gusto alla sua salute. Da chiantigiano approvo. Il pubblico è già pazzo di lui.
"Sono da solo, ma non mi risparmierò" - promette il buon Eddie. Le sensazioni sono ottime, il bello deve ancora venire. Partono le cover di alcuni pezzi notevoli. "Trouble" di Cat Stevens e "Brain Damage" dei Pink Floyd proseguono la ricca serata. Dopo questa parentesi, il vocione di Vedder inizia a diventare qualcosa di mai ascoltato prima. Avevo la sensazione che qualcosa mi prendesse dall'alto e mi portasse via. Sometimes, I'm mine da brividi. Poi una breve pausa. Eddie presenta al pubblico l'ukelele, una piccola chitarra di origine hawaiiana. Arrivano Can't keep e Sleeping by myself. A questo punto Vedder tributa lo sfortunato Christopher McCandless, ovvero il protagonista del meraviglioso film di Sean Penn "Into the wild". Il pubblico capisce che stanno arrivando i pezzi di una colonna sonora leggendaria. Far Behind, Setting Forth e le splendide Guaranteed e Rise.
Avevo gli occhi lucidi già a metà concerto, non sapendo che le sorprese erano appena cominciate. La fatica e il sudore cedono il posto alle emozioni. La testa non mi rispondeva più. Di nuovo una cover spiazzante: The Needle and the Damage Done di Neil Young che tornerà a rivisitare più tardi. Poi di nuovo il repertorio dei Pearl Jam. Tutto d'un fiato. Ed ecco una pazzesca Unthought Known (una delle mie preferite) con il pubblico che urla a più riprese "Nothing left, nothing left, nothing there, nothing here". La domanda vera che emerge dal testo è questa: pensa al percorso di ogni giorno, quale strada stai prendendo? Respira forte…. e prendi il meglio. Si, questa è la vita. Beh credo ci sia poco da dire. A ruota ecco altri due pezzi dei Pearl Jam: Lukin e Porch. Nel mezzo c'è perfino "Black" (tratto dal cd "Ten" del 1991). Vedder omaggia il "fratello maggiore" Chris Cornell (leader dei Soundgarden), suicidatosi il 18 maggio scorso a Detroit. Questo pezzo è da overdose emozionale. Gli occhi diventano lucidi, i cuori battono forte, la pelle trema. Una cosa indescrivibile. Il pubblico canta a squarciagola a tempo con il vocione di Vedder.
Il momento più toccante è stato vedere il cantante in lacrime, mentre urla al cielo “come back” (torna presto Chris Cornell). Ma non sarà l'ultimo momento, anzi diciamo che è solo l'inizio di una serie di momenti altamente passionali. I deboli di cuore stiano a casa. Dopo il già citato pezzo "Porch", arriva una sorpresona: la mia canzone preferita in assoluto. Vedder è noto per i suoi duetti nel mondo del rock. Bruce Springsteen, REM, Tom Morello, Chris Martin, The Doors, Soundgarden, The Who, Rolling Stones, Ben Harper, Tom Petty e soprattutto Roger Waters. Proprio con quest'ultimo è nata la rivisitazione del capolavoro "Comfortably Numb", tratto dall'indimenticabile cd "The Wall".
Vedder (in versione acustica al piano) regala un'interpretazione matura, senza sbavature con la sua voce vibrante che manda in estasi la Visarno Arena. Io nel frattempo ero già a cantare a squarciagola su un altro pianeta. Non ricordo francamente dove. Le emozioni si erano impadronite di me. Subito dopo ecco il tributo viscerale e sentitissimo a John Lennon e Yoko Ono. Il pubblico appena parte la prima nota capisce che c'è "Imagine". Le luci degli accendini e dei telefonini formano un impatto visivo unico. L'atmosfera è da pelle d'oca. Applausi scroscianti. Non poteva essere altrimenti. La buona musica non conosce soste. Ecco "Better Man" dei Pearl Jam e la cover "Last kiss" di Wayne Cochran. Subito dopo "Untitled" e "MFC" concludono la fase 1 del concerto. Per intendersi quella dove Vedder suona da solo. Eddie riprende fiato, beve parecchino e inizia ad essere un po' brillo. La cosa buffa è che quando parla sembra non avere più voce, poi quando parte la musica il timbro vocale aumenta esponenzialmente senza scalfirsi. Una roba mai vista in anni e anni di concerti.
Ma proprio in quel momento Eddie chiama sul palco Glen Hansard. Da quel momento in poi avrei voluto rotolarmi sul prato come i cani. Avevo un'adrenalina a mille. Macché dico mille, parecchio più alta. Il cinema diventa protagonista nell'ultima mezz'ora. Ecco "Falling Slowly", il pezzo di cui vi parlavo all'inizio dell'articolo. Per intendersi quello che ha dato l'Oscar a Hansard. I due insieme sono un cocktail di autorevolezza, professionalità e carica. Segue un altro pezzo di Hansard, "Song of Good Hope". Subito la mia testa mi ricorda che sono un cinefilo incallito. Mentre il pensiero rimbalza nel mio unico neurone rimasto, i miei timpani sentono le note di "Society". Ancora una volta Into the wild torna a bussare alla mia porta. Perché la nostra società è una razza folle. Abbiamo un'avidità con la quale abbiamo accettato di convivere. A quel punto sentivo sulla schiena che mi stavano spuntando le ali. Mi sentivo leggero come raramente mi è capitato. Il pezzo successivo suggeriva lo stato d'animo di molti: ecco "Smile" dei Pearl Jam, cantata con un Glen Hansard implacabile. A quel punto pensi che tutto sia quasi finito. E invece mancano i due pezzi forti della serata. Prima la monumentale cover di "Rockin in a free world" di Neil Young. Pietra miliare del rock, ancora fortemente attuale per la sua totale adesione al pacifismo. Il pubblico era impazzito e i due cantanti sul palco pure. Hansard poco prima si era quasi scolato una bordolese di Chianti senza prendere fiato davanti a 50000 persone con il fiato sospeso. I due salutano affettuosamente il pubblico. Eddie non si trattiene e si infila tra la gente nel pit sotto il palco. Il concerto finisce qui. Ovviamente il tutto è la solita pagliacciata per farsi richiamare sul palco. E così succede.
Poco dopo accade quello che diversi ricorderanno probabilmente per sempre. Vedder attacca "Hard Sun", il pezzo più noto della colonna sonora di Into the wild. Risultato: delirio allo stato puro (se non mi credete guardate qui). Un pezzo che dal vivo è di una bellezza sconcertante. Tutti cantano, tutti piangono, tutti esultano e tutti ridono allo stesso tempo. L'entusiasmo prende il sopravvento. Tutti dimenticano per un attimo i problemi quotidiani. E improvvisamente tutti si ricordano che la nostra vita è fatta anche di bellezza. Dopo quasi 2 ore e mezzo di concerto, capisci che non era una serata come le altre. E poi torni a casa consapevole che il rock ti ha dato l'ennesima lezione di vita.
Ed ecco che " Unthought known" (guarda qui) torna a bussare alla porta. Pensa al percorso di ogni giorno, quale strada stai prendendo? Respira forte… e prendi il meglio. Si, questa è la vita.
Immagine tratta da: http://firenze.repubblica.it/