La colonizzazione della Siberia venne utilizzata come “contenitore etnico” per molti dei gruppi nazionali deportati, un’operazione che ufficialmente era un proseguimento dell’opera di industrializzazione del paese ma nei fatti si trattò di una condanna all’isolamento e una lotta durissima contro gli stenti e la fame. L’utilizzo delle deportazioni organizzate dallo stato centrale seguendo le direttive di Stalin fu uno strumento per rimediare al caso generato dal repentino cambio della politica nei confronti delle nazionalità e delle esigenze economiche legate alla realizzazione dei piani quinquennali. Stalin vedeva nell’affermarsi in Europa del regime nazista in Germania, dello stato fascista in Italia e nella vittoria di Franco nella guerra civile spagnola i segnali di un imminente conflitto e cambiò radicalmente la politica interna, inasprendo la repressione del dissenso interno al partito e nella popolazione. Era necessario accelerare l’industrializzazione attraverso le requisizioni e combattere con ogni mezzo l’arretratezza delle regioni orientali dello stato sovietico. Inoltre, con il riaffermarsi del carattere nazionale russo, pose le basi per il sentimento patriottico russo sovietico che avrebbe accompagnato l’Unione Sovietica nel conflitto mondiale, alimentando così il fattore decisivo della Guerra Patriottica estremamente fondamentale per la vittoria sovietica.
Ho letto con attenzione gli articoli di Pascale sull’Urss di Stalin [rintracciabili facilmente cliccando qui], diciamo con l’attenzione di uno che una trentina di anni fa era abbastanza aggiornato con la storiografia diciamo di tendenza “eurocomunista” (Boffa, Elleinstein, Spriano, Procacci, soprattutto Roy Antonovic Medvedev). La “terza puntata” e soprattutto la quarta dello scritto di Pascale mi hanno convinto molto meno delle precedenti. Poiché non sono uno specialista dell’argomento (a suo tempo ho cercato di studiare la problematica delle riforme economiche nel “socialismo reale”, poi mi sono occupato di altro), le mie argomentazioni saranno senz’altro parziali e superate, ma lo stesso avanzo alcune osservazioni.
b) L'industrializzazione pianificata e la collettivizzazione forzata dell'agricoltura
“Per eliminare i kulak come classe non è sufficiente la politica di limitazione e di eliminazione di singoli gruppi di kulak. Per eliminare i kulak come classe, è necessario spezzare con una lotta aperta la resistenza di questa classe e privarla delle fonti economiche della sua esistenza e del suo sviluppo (libera utilizzazione della terra, mezzi di produzione, affitto, diritto di ingaggiare mano d'opera salariata, ecc.). In questo appunto consiste la svolta verso la politica di liquidazione dei kulak come classe. […] Senza di questo, non è concepibile nessuna collettivizzazione seria, e tanto meno una collettivizzazione integrale della campagna.”
(Stalin, Sul problema della politica di liquidazione dei kulak come classe, 21 gennaio 1930)
5. Il difficile equilibrio tra realismo politico e progetto utopista
“La XVII° Conferenza del nostro partito ha affermato che uno dei compiti fondamentali per l'attuazione del secondo piano quinquennale consiste nel distruggere le sopravvivenze del capitalismo nell'economia e nella coscienza degli uomini. È un concetto assolutamente giusto. Ma possiamo dire di aver già superato tutte le sopravvivenze del capitalismo nell'economia? No, non possiamo dirlo. E tanto meno […] nella coscienza degli uomini. Non possiamo dirlo […] anche perchè esiste ancora un accerchiamento capitalistico, che si sforza di ravvivare e di stimolare le sopravvivenze del capitalismo nell'economia e nella coscienza degli uomini nell'URSS, e contro il quale noi bolscevichi dobbiamo tener sempre le polveri asciutte. È chiaro che queste sopravvivenze non possono non costituire un terreno favorevole per rianimare, nella testa di singoli iscritti al partito, l'ideologia dei gruppi antileninisti battuti.”
(Stalin, Problemi della direzione politica e ideologica; 26 gennaio 1934)
4. Il PCUS e le tre fasi dell'epoca staliniana
“Credo che la sfiducia nella vittoria dell'edificazione del socialismo sia l'errore fondamentale della nuova opposizione. Questo errore è, secondo me, fondamentale, perchè da esso derivano tutti gli altri errori della nuova opposizione. Gli errori della nuova opposizione circa le questioni della Nep, del capitalismo di Stato, della natura della nostra industria socialista, della funzione della cooperazione in regime di dittatura del proletariato, dei metodi di lotta contro i kulak, della funzione e del peso specifico del contadino medio, tutti questi errori derivano dal primo errore fondamentale dell'opposizione, dalla sfiducia nella possibilità di condurre a termine l'edificazione di una società socialista con le sole forze del nostro paese.”
(Stalin, dall'opera Questioni del leninismo, lezioni tenute all'Università Sverdlov nell'aprile 1924)
La costruzione del socialismo tra le macerie e i fascismi
“Voi sapete che abbiamo avuto in eredità dal passato un paese arretrato dal punto di vista tecnico, un paese povero e rovinato. Un paese rovinato da quattro anni di guerra imperialista, rovinato più ancora da tre anni di guerra civile, un paese con una popolazione semianalfabeta, con un basso livello tecnico, con qualche oasi industriale isolata, sommersa in un mare di piccole aziende contadine: ecco il paese che abbiamo ricevuto in eredità dal passato. Il problema consisteva nel far passare questo paese dal binario del medioevo e delle tenebre al binario dell'industria moderna e dell'agricoltura meccanizzata. Problema importante e difficile, come vedete. La questione si poneva in questi termini: o risolviamo questo problema entro il termine più breve e consolidiamo il socialismo nel nostro paese, o non lo risolviamo, e allora il nostro paese, debole tecnicamente e arretrato dal punto di vista della cultura, perderà la sua indipendenza e si ridurrà a essere una posta del gioco delle potenze imperialiste.”
(Stalin, Discorso nel palazzo del Kremlino per la promozione degli allievi dell'accademia dell'esercito rosso; 4 maggio 1935)
Il problema ideologico alle origini dell'URSS
“Che cosa è dunque, in ultima analisi, il leninismo? Il leninismo è il marxismo dell'epoca dell'imperialismo e della rivoluzione proletaria. Più esattamente: il leninismo è la teoria e la tattica della rivoluzione proletaria in generale, la teoria e la tattica della dittatura del proletariato in particolare. Marx ed Engels militarono nel periodo prerivoluzionario (ci riferiamo alla rivoluzione proletaria), quando l'imperialismo non si era ancora sviluppato, nel periodo di preparazione dei proletari alla rivoluzione, nel periodo in cui la rivoluzione proletaria non era ancora diventata una necessità pratica immediata. Lenin invece, discepolo di Marx e di Engels, militò nel periodo di pieno sviluppo dell'imperialismo, nel periodo dello scatenamento della rivoluzione proletaria, quando la rivoluzione proletaria aveva già trionfato in un paese, aveva distrutto la democrazia borghese e aperto l'era della democrazia proletaria, l'era dei Soviet. Ecco perchè il leninismo è lo sviluppo ulteriore del marxismo.”
(Stalin, dall'opera Questioni del leninismo, lezioni tenute all'Università Sverdlov nell'aprile 1924)
Con il seguente articolo inizieremo una serie di nove pubblicazioni su Stalin e l'Unione Sovietica. L'intento dell'autore è quello di affrontare in maniera critica una delle pagine più strumentalizzate della storia del comunismo, cercando di mettere da parte umori e pregiudizi per lasciare posto ad una seria analisi ed interpretazione storica. Il lavoro sarà così articolato:
Premessa
1. Il problema politico-storiografico
2. Il problema ideologico alle origini dell'URSS
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