3. La costruzione del socialismo tra le macerie e i fascismi
4. Il PCUS e le tre fasi dell'epoca staliniana
5. Il difficile equilibrio tra realismo politico e progetto utopista
a) I Filosofi-Re e l'etica razionale tra potere e Terrore
b) L'industrializzazione pianificata e la collettivizzazione forzata dell'agricoltura
c) Il progetto operaista e il disprezzo per il lavoro intellettuale
d) Il consenso popolare al regime
6) La politica estera tra internazionalismo e difesa degli interessi dell'URSS
Premessa
“Anche negli annali universali dell'umanità vi sono addirittura molti secoli, che, si direbbe, andrebbero cancellati e annullati, come superflui. Molti errori si sono compiuti a questo mondo, tali che, si direbbe, ora non li farebbe neppure un bambino. Che strade tortuose, cieche, anguste, impraticabili, lontane dal giusto orientamento, ha scelto l'umanità nel suo conato di pervenire alla verità eterna, mentre pure aveva innanzi tutta aperta la retta via, simile a quella che conduce alle splendide stanze, destinate all'imperatore in una reggia! [...] Ora tutto appare chiaro alla generazione che passa, e si meraviglia degli errori, ride della semplicità dei suoi antenati, e non vede che un fuoco celeste irradia tutti questi annali, che grida da essi ogni lettera, e che di là, penetrante, un dito s'appunta proprio su essa, su essa, la generazione che passa. Ma ride la generazione che passa, e sicura di sé, orgogliosa, dà inizio a una nuova serie di errori, sui quali a loro volta rideranno i posteri.” (Nikolaj Vasil'evič Gogol')
Nella presentazione del “Stalin” di Adam B. Ulam ho trovato scritte queste righe che mi sembrano spiegare molto del dibattito così aspro sull'URSS e su Stalin in particolare: “vi son due modi di considerare Stalin: quello di chi si sente partecipe dello scuotimento rivoluzionario della nostra epoca, e dunque vede in lui un elemento interno della propria storia, un organo di essa o anche un morbo e un tumore; quello di chi concentra la sua attenzione sui modi in cui il potere staliniano si costituì e si dilatò. Entrambe le prospettive sono legittime: al centro della prima vi è la questione dei fini, al centro della seconda l'analisi dei mezzi”.
Pur sentendomi senz'altro personalmente partecipe ed idealmente legato ad una stagione in cui vi furono uomini che tentarono di realizzare un progetto di emancipazione universale dell'umanità ho cercato di mantenere un approccio il più possibile neutro e critico, cercando di spiegare, descrivere e comprendere i comportamenti di Stalin, evitando il più possibile di formulare un giudizio morale, cosa che viene lasciata al giudizio del lettore. Il compito mi è stato facilitato senz'altro dal fatto di non essere né uno “stalinista” né un “trockista”, divisioni con cui ancora molti oggi tendono a definirsi creando da un lato non pochi sconquassi politici all'interno delle precarie organizzazioni comuniste rimaste, dall'altro notevoli risate tra chi comunista non è e guarda questi eventi con un misto di compassione e divertimento.
Io mi sento invece “comunista” in senso ampio, accettando cioè tutta la storia che si riconduce a questo termine, nel bene e nel male, senza rifiutarne aprioristicamente delle parti perché non consone con la mia idea particolare di comunismo. Sono d'altronde abbastanza fiducioso sul fatto che anche questo lavoro non riuscirà a creare unanimità e concordia su un personaggio e su una stagione che come poche altre si sono prestate e si prestano tuttora alla diversità più radicale di giudizi e polemiche. Quello che ho capito chiaramente facendo questo lavoro, spulciandomi più di una ventina di opere della storiografia più recente e aggiornata, è che di Stalin e di URSS ce ne sono tanti quanti gli autori che vi hanno dedicato tempo. La loro presentazione tiene sempre conto solo di alcuni dati e aspetti escludendone altri. Per questo per qualcuno fu un tiranno sanguinario e pazzo, per altri il grande trionfatore del nazifascismo esente da difetti.
La complessità sta nel riuscire a mettere assieme tutti i dati e saperli inquadrare nel quadro complessivo, il che è tremendamente difficile, e non può essere altrimenti, anche se questa è stata l'arrogante pretesa di questo piccolo lavoro che auspico possa essere utilizzato come dispensa per l'insegnamento scolastico oltre che per la formazione politica giovanile delle organizzazioni che richiamandosi al comunismo, ancora oggi non sono riuscite a costruire una cultura politica comune nemmeno sui fatti ed eventi risalenti ormai a quasi un secolo fa. Una cosa però è certa: quando leggete un libro di storia, politica, economia, filosofia, cultura sappiate che c'è sempre il rovescio della medaglia e che qualcuno ha scritto dello stesso argomento in maniera completamente opposta. Il che non vuol dire che la verità non esista, ma che bisogna relativizzare le opinioni (non i fatti) e lanciarsi nell'avventura di leggere il più possibile per raggiungerla e farla propria.
1. Il problema politico-storiografico
“Ma vuol forse dire, questo, che la lotta sia finita e che l'ulteriore offensiva del socialismo possa esser lasciata cadere, come qualche cosa d'inutile? In nessun modo. Vuol forse dire che nel partito tutto proceda per il meglio, che non vi si manifesterà più nessuna deviazione e che, per conseguenza, si possa ora riposare sugli allori? No, niente affatto. Abbiamo sconfitto i nemici del partito, gli opportunisti di tutte le tinte, i fautori di deviazioni nazionaliste d'ogni specie; ma i residui della loro ideologia non sono ancora usciti dalla testa di singoli membri del partito e non di rado si fanno sentire. Non si può considerare il partito come qualche cosa di staccato dagli uomini che lo circondano. Il partito vive e combatte nell'ambiente che lo circonda. Non c'è da stupirsi che dall'esterno penetrino non di rado nel partito delle tendenze malsane.”
(Stalin, Problemi della direzione politica e ideologica; 26 gennaio 1934)
Affrontare criticamente e storicamente la figura di Stalin è ancora oggi impresa ardua, perfino nella storiografia di tendenza marxista, che spesso al tentativo di comprendere questa personalità e la “sua” URSS preferisce condannarlo aprioristicamente, accettando senza troppe remore i dipinti tracciati dalla sovietologia di marca liberale (le opere di Robert Conquest, Hannah Arendt e Francois Furet ne sono solo alcuni esempi), volti a lanciare accuse di totalitarismo, di pazzia, di affinità elettive con Hitler, di antisemitismo. Una delle naturali conclusioni di questo filone è stata quella di criminalizzare l'intero comunismo e di costruire lo stereotipo di uno Stalin furioso omicida assetato di sangue (sia borghese che proletario), totalmente incapace di accettare la pur minima dialettica e critica all'interno del partito e quindi volenteroso di sterminare ogni tipo di opposizione.
La questione è un po' più complessa in realtà. In primo luogo occorre tenere conto che la demonizzazione di Stalin non è stata soltanto figlia della vittoria politica, economica e ideologica ottenuta nel 1991 dall'Occidente capitalistico sull'opposto versante comunista. Essa è stata bensì favorita soprattutto all'interno dello stesso mondo comunista, sia da parte della storiografia di matrice trockista, sia da parte di quella post-stalinista, ben propensa ad assegnare ad una sola persona le responsabilità di tutti gli errori ed orrori di cui si è macchiato il socialismo reale. È oggi opinione pressoché unanime tra gli storici che molti aspetti del famoso rapporto Chruscev (presentati al XX° Congresso del PCUS del 1956) furono inventati, ingigantiti o falsati. Laddove invece si procedeva a raccontare la verità dei fatti più crudi si omettevano le corresponsabilità proprie e del partito, decontestualizzandole totalmente in modo da farle apparire atti di ferocia gratuita. Occorrerebbe quindi analizzare il “rapporto” in maniera “critica”, senza accettarne in toto i contenuti come fatto in passato.
Se all'epoca lo shock indotto, appesantito da enormi conseguenze politiche, impedì un'analisi di questo tipo, oggi occorre inquadrare l'azione di Chruscev come un atto politico nel quadro di una lotta di potere all'interno del PCUS, avente come obiettivo la delegittimazione della “vecchia guardia stalinista” costituita dai vari Molotov, Berja e Malenkov, garantendo così a Chruscev di superare la fase di direzione collegiale del partito che era seguita alla morte di Stalin nel 1953. Inoltre Chruscev aveva i suoi motivi personali per voler distruggere la figura politica di Stalin, essendo stato per un certo periodo preso di mira nel contesto delle purghe in cui rischiò di perdere la vita. Prima però di affrontare la questione dell'autocrazia staliniana occorre fare un grande passo indietro.