Da questo punto di vista può darsi che la “critica attuale” sottovaluti il “contesto storico” degli anni della nascita dello stalinismo; non certo gli autori che ho citato, che anzi pongono gli aspetti “emergenziali” (forse soprattutto la cultura sedimentata dalla guerra civile) a fondamento di quella che si solito hanno interpretato come la degenerazione stalinista della società e dello stato post-rivoluzionario.
Una osservazione generale è che per Lenin (ma per la maggior parte del vecchio gruppo dirigente bolscevico, abituato alla dialettica delle socialdemocrazie continentali) i “contrasti interni” erano parte della dialettica rivoluzionaria, non una pericolosa insidia da evitare a tutti i costi. La “segretezza” della clausola che vietava le frazioni testimonia della eccentricità della soppressione della dialettica aperta; anche il “centralismo democratico” aveva un significato molto diverso da quello che progressivamente assunse negli anni di Stalin, altrimenti non si capirebbe come mai Zinovev continuò a far parte del gruppo dirigente bolscevico, con altissimi incarichi, pur avendo, pochi giorni prima della Rivoluzione d’Ottobre, pubblicamente denunciato sulla stampa la prospettiva rivoluzionaria di Lenin.
Vado a memoria, ma che nel 1927 vi sia stato un tentato golpe durante le celebrazioni dell’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre mi sembra veramente esagerato, anche se sarà stato sostenuto dalla propaganda di Stalin; a quel che ricordo i trotzkisti (o l’”opposizione unita”?) provarono a volgere a proprio favore le manifestazioni previste, con un risultato miserrimo. Un golpe è un’altra cosa. Anche sul “ribaltamento” del Pcus (o si chiamava ancora PCR(b)?) sostenuto da Trotzki avrei dei dubbi: mi sembra che in generale, almeno fino all’esilio, abbia tentato di ribaltarne la linea, ma non di contrapporvi un proprio partito, cosa che del resto sarebbe stata ridicola.
La teoria della doppiezza trotzkista mi sembra anch’essa alquanto dubbia. Trotkisti in origine erano Pjatakov e Preobrazhenskij, anti-Nep al tempo di Bucharin, e poi cooptati da Stalin a capo dell’apparato di pianificazione. Il ribaltamento anti-buchariniano della Nep fu un colpo da maestro di Stalin, che non poteva non servirsi del personale politico preparato nel campo della gestione economica, che era prevalentemente trotzkista (e del resto molti trotzkisti consideravano Bucharin il loro vero antagonista, non lo scialbo Stalin). Semmai Stalin esasperò la “vertigine del successo” accrescendo fantasiosamente i target del primo piano quinquennale (poi piano dei sette anni) con una intensificazione fuori misura della pressione sulle campagne e sull’utilizzazione del surplus per l’investimento industriale. Trotzki, che prima di Stalin aveva propagandato l’uscita dalla Nep fu spiazzato dalla decisione e ampiezza con cui Stalin seguì il suo stesso auspicio, e la sua residua base politica gli fu abilmente sottratta da Stalin.
In sostanza mi sembra di capire che la tesi di Losurdo accolta da Pascale è che negli anni Trenta la situazione eccezionale (che secondo gli storici eurocomunisti motivava alcune scelte di Lenin su cui si costruì la nascita dello stalinismo) dei primi anni Venti si prolungò lungo tutto il decennio successivo e “giustificò” (che è cosa diversa da “motivò”) la deriva certo sanguinaria dello stalinismo. Il fatto è che la “guerra civile-religiosa” fu promossa, e non subita, da Stalin. Ne furono vittime non solo gli avversari politici trotzkisti e buchariniani, ma anche coloro che si erano “convertiti” allo stalinismo, molti che si erano “ritirati a vita privata” e alla fine moltissimi quadri di formazione e tendenza staliniana. Al di là delle motivazioni semplicistiche (condensate nel proverbio “quando si abbatte il bosco le schegge volano”) o complottarde (erano tutti agenti di Trotzkii - tutti? Il 70% del Comitato Centrale del Pcus eletto in piena era staliniana? - le cifre sono, mi sembra non smentite, nel rapporto Krusciov al XXII congresso, che è più approfondito del “rapporto segreto” del XX)), a me era sembrata convincente l’ipotesi di una strage preventiva di quadri che avrebbero potuto convergere (mi sembra di ricordare che queste tesi siano state sviluppate soprattutto da Boffa), probabilmente intorno a Kirov, su una fase di allentamento della tensione (e della necessità per il potere staliniano di mantenere un clima di allarme permanente per mantenere quelli strumenti del potere).
Infine, le grandi purghe indebolirono secondo molti (Medvedev in particolare) le capacità di difesa dell’Unione Sovietica, eliminando una componente decisiva dei quadri militari formati nella Rivoluzione e dopo (e alimentando le radici di quello che poi sarà un vasto collaborazionismo al momento in cui la guerra ci fu davvero – la cui estensione fu fortunatamente limitata solo dall’ottuso razzismo dei nazisti). La reazione di Stalin all’entrata in guerra di Hitler fu tardiva e impreparata, come la dislocazione delle unità da combattimento, non certo quella di uno che si aspettava da un momento all’altro l’invasione. Anche le precise segnalazioni dell’agente segreto Sorge, che operava in Giappone, furono deliberatamente ignorate, come moltissimi segnali dell’imminente attacco di Hitler. Certo che almeno fino alla guerra di Finlandia e a Monaco la preoccupazione principale di Stalin era l’aggressività nazista, ma a questo seguì un periodo di ingiustificata rilassatezza verso l’esterno, quanto di ripresa delle repressioni all’interno. Anche in riferimento alla guerra di Spagna va ricordato che la maggioranza dei quadri comunisti rientrati in Urss fu perseguitata o fucilata da Stalin (come poi successe in Polonia e Cecoslovacchia), sulla base di accuse apparentemente assurde, che ritrovano una logica solo nella volontà di eliminare qualsiasi potenziale alternativa, incarnata nelle persone che avevano una esperienza rivoluzionaria complessa e cosmopolita.
Oggi però sappiamo che la riduzione della complessità riduce sempre le possibilità di sopravvivenza di un organismo sociale; e così purtroppo è stato.
In generale infine, se mi si perdona l’attitudine schematica, direi un po’ zdanoviana, eviterei l’uso di categorie costruite da un ideologo reazionario come Carl Schmitt. Comunque attendo le prossime puntate del lavoro di Alessandro.