Il libro è un racconto di viaggio, su e giù per lo Stivale, inframezzato da ricordi sul “Pierangeli” e da riflessioni a tutto campo sulla vita, la religione, il mestiere dell'artista ed il rapporto con il pubblico e con le piazze, che tutte, a prescindere da quanto siano affollate, meritano il rispetto, l'impegno e il lavoro sincero dell'artista. Un viaggio che parte e ritorna sempre a Sassuolo, inizio, fine e cuore della storia artistica e umana della “bottega Bertoli”.
Non si tratta però di un viaggio in solitaria, Alberto non è un artista maledetto, è un percorso che l'autore compie con gli amici e colleghi del “gruppo del Nord” e del “gruppo del Sud”: Ferdinando, Nico, Sasà, Antonio, Danilo, Moreno, Giambattista...
Un racconto denso di aneddoti, dal primo incontro con la chitarra alla musica metal... mecaneg, come la chiamava Pierangelo, agli incontri, alcuni divertenti altri toccanti, ma tutti vissuti con la lente di una insopprimibile emilianità, fondo interiore di entrambi i Bertoli.
Come un uomo è anche un'immersione, nel mestiere di scrivere canzoni, del “partorire parole”, e di come vada fatto con cura, scegliendo bene ogni vocabolo e pensando sempre con la propria testa (ed è forse questa l'eredità umana più profonda che Pierangelo sembra aver lasciato ai propri figli) per non farsi condurre “dal branco al macello”. La storia è, dunque, il viaggio, fisico e metaforico, dell'Alberto musicista e dell'Alberto uomo, che, come la nostra Emilia, “cammina, cade, sta in piedi e vive come un uomo”.