Esempio famoso è quello di Cosimo il Vecchio, il quale, mecenate della arti e “patrono” di molti degli artisti, scultori e architetti più in voga dell’epoca, commissionò i lavori di molte delle principali basiliche di Firenze, tra cui quello della Chiesa di San Lorenzo, progettata dal Brunelleschi. Proprio qui, sotto una lastra tombale realizzata dal Verrocchio, posta all’incrocio tra il transetto e la navata centrale, davanti alla tribuna fu sepolto il Medici, che quindi in qualche modo finì per fare tutt’uno con l’edificio stesso, diventando una parte di esso. Altro esempio famoso di leggende edilizie è quello dei cosiddetti “ponti del diavolo”. Si narra che fosse frequente che il mecenate o il capomastro tendesse a fare una sorta di patto col diavolo per garantire il buon esito dei lavori e la stabilità del ponte. Spesso in cambio dell’aiuto demoniaco si prometteva al diavolo l’anima del primo essere che avrebbe attraversato il ponte. Accadeva sovente che però la prima creatura a passare fosse un animale, un cane o un gatto ad esempio, così che il diavolo restava gabbato, dato che non veniva specificato che l’anima dovesse essere quella di un essere umana. L’associazione col diavolo probabilmente deriva dal fatto che la costruzione di ponti o altri edifici richiedeva grandi competenze tecniche e abilità, tanto che essa pareva qualcosa di prodigioso, che avrebbe richiesto un ingegno non umano. Non era cosa facile garantire la buona riuscita del lavoro, dunque l’iperbole dell’aiuto del maligno esprimeva tutta la complessità e le difficoltà che costruzioni simili richiedevano, talmente grandi da sembrare quasi fuori dalla portata delle capacità umane. Nell’immaginario (o comunque a livello simbolico, metaforico) solo un intervento soprannaturale avrebbe potuto propiziare una costruzione ritenuta così prodigiosa e assicurarne l’eternità.
Uno di questi ponti è il Ponte Gobbo (o, appunto, “Ponte del diavolo”) di Bobbio, in provincia di Piacenza, che attraversa il fiume Trebbia. Pare che il maligno avesse contattato San Colombano promettendogli la costruzione del ponte in una sola notte, a patto di avere in cambio la prima anima mortale che lo avesse attraversato. La mattina seguente, mentre il diavolo era appostato all’estremità del ponte, bramoso di ricevere il proprio premio, San Colombano gli inviò un cagnetto, così il demonio rimase beffato dovendosi accontentare di prendere l’anima di un cane; anzi, fu doppiamente turlupinato, in quanto ad averlo gabbato fu proprio un Santo. Il ponte di Bobbio presenta inoltre una particolarità degna di nota, che ha ispirato una variante alla leggende edilizia di San Colombano: le arcate che compongono il ponte sono totalmente disomogenee, alcune più alte, altre più corte... Quasi da farlo sembrare una sorta di elettrocardiogramma. La motivazione leggendaria di questa irregolarità architettonica pare attribuita al fatto che dopo il patto con San Colombano il diavolo avesse affidato la costruzione del ponte a una squadra composta da tanti suoi diavoletti, ciascuno dei quali avrebbe costruito un’arcata. Dato che però i diavoletti erano di statura diversa le arcate non risultarono di dimensioni omogenee e regolari, cosa che spiega dunque la gibbosità e la “schizofrenia” della struttura.
In Italia ad ogni modo le leggende edilizie legate a costruzioni di ponti o basiliche o monasteri sono abbastanza soft, senza molti spargimenti di sangue. Se però ci spostiamo nell’est Europa, ci accorgiamo che queste leggende cominciano a tingersi di rosso e ad assumere sapori un po’più crudi e macabri.
Caso esemplare è quello che riguarda il Monastero di Cutea de Arges, situato in un municipio della Romania, nella storica regione della Muntenia. La leggenda vuole che Manole, maestro costruttore a cui era stata affidata la realizzazione del monastero, sognò che per rendere stabile e incrollabile il suo monumento, avrebbe dovuto sacrificare e murare all’interno dell’edificio la moglie che il giorno seguente avesse portato per prima il pranzo al proprio marito che lavorava al progetto. Accadde però che Manole si lasciò sfuggire questo sogno rivelatore a uno dei suoi operai che non ci mise certo molto a spargere la voce a tutti gli altri. I lavoratori allora si premunirono di avvisare le mogli intimando loro di restarsene a casa. L’unica all’oscuro di tutto, era proprio la moglie di Manole, che dunque fu la prima (nonché l’unica) a portare il pranzo al marito il giorno successivo al fatidico sogno. Sicuramente con estremo dolore Manole fu perciò costretto a immolare e murare nell’edificio proprio la sua consorte, ottenendo però in cambio la stabilità imperitura della sua chiesa. La storiella in realtà si conclude male anche per lo stesso Manole. Quando infatti il leggendario principe di Muntenia, Negru Voda, passò davanti all’edificio rimase sbalordito da tanta mirabile bellezza e diede l’ordine che nessun altro edificio avrebbe dovuto esser più costruito, non potendo superare quell’opera in perfezione. Pronunciate tali parole fece smontare l’impalcatura, senza sapere che l’ignaro Manole si trovava ancora sul tetto. Questi provò a salvarsi costruendo delle ali in legno, che riecheggiano il mito di Icaro che provò a raggiungere il sole bruciandosi le ali. Proprio come l’antecedente greco, però, anche Manole tentando il “folle volo”, precipitò a terra morendo sul colpo. Una lieve speranza o consolazione è regalata comunque dal finale della fiaba: la Terra commossa, lasciò scivolare una lacrima e si dice che da questa sorse una fontana che ancora segna il punto di caduta del disgraziato Manole.
Sacrifici edilizi perdurarono anche nell’ottocento, benché si trattasse di sacrifici animali, in particolare era frequente l’uso di uccidere un gallo per propiziare il buon esito dei lavori e la stabilità della costruzione.
Un’altra leggenda degna di rilievo è legata al ciclo arturiano e riguarda la fortezza di Dinas Emrys (“Fortezza d’Ambrosio”), sita nel Galles del nord. Secondo la Historia Bittonum, il re britannico Vortigern, fuggito in Galles, decise di costruire qui il suo palazzo reale. Ogni volta però che i suoi costruttori erigevano la prima torre questa irrimediabilmente crollava. La spiegazione risiedeva nel fatto che il luogo su cui avrebbe dovuto sorgere il palazzo-fortezza era infestato da energie maligne che ne impedivano la costruzione. Vortigern allora pensò di poter placare le forze demoniache con il sacrificio di un fanciullo e mescolare il suo corpo alla calcina. Fortunatamente Mago Merlino arrivò in tempo per scongiurare questo spargimento di sangue di un innocente compiendo un esorcismo del luogo: dalla terra spuntarono allora due draghi giganteschi, uno bianco (simbolo dei sassoni) e uno rosso (simbolo dei britannici) che già si combattevano sotto terra, ma che, usciti fuori, finirono per uccidersi a vicenda.
Spostiamoci a Avignone. Qui troviamo la leggenda del “giovinetto di Hermillon”. Benedetto di Hermillon (chiamato “Bénézet” per la minuta statura) in seguito ad una visione, si recò ad Avignone nel 1177, per costruire un ponte sul Rodano. Nonostante il rifiuto del vescovo, Benedetto non si arrese e riuscì a convincere il prevosto della città ad avviare la costruzione del ponte, che però non riuscì a vedere ultimato, dato che morì nel 1184. Alla sua morte venne seppellito in una cappelletta costruita sopra il terzo arco del ponte per il quale egli si era tanto focosamente battuto. La sepoltura di un corpo considerato santo (prima ancora della sua effettiva santificazione) avrebbe assicurato la stabilità della struttura che avrebbe ricevuto per sempre la protezione del santo custode incorporatovi dentro.
L’idea di corpi umani o animali, o di oggetti incorporati nelle murature di ponti o di altri edifici era molto diffusa, in quanto queste reliquie significavano la protezione imperitura delle stesse strutture che le contenevano, quasi in una sorta di doppia e reciproca custodia. Su tale idea si basa la leggenda medievale legata all’Oratorio dell’Abbazia di San Mercuriale a Forlì. Protagonista della vicenda è Guido Bonatti, uno dei più importanti astronomi e astrologi italiani del XIII secolo, che aveva il laboratorio nella cella campanaria dell’abbazia di San Mercuriale. Costui previde la vittoria della città di Forlì, forse ultima roccaforte ghibellina rimasta, contro l’esercito di francesi inviati da Papa Martino IV nel 1282 per assediarla, vittoria in realtà conseguita più grazie all’abilità strategica di Guido da Montefeltro che alla profezia del Bonatti. Secondo i cronisti quattrocenteschi l’astrologo avrebbe previsto addirittura il proprio ferimento durante l’assedio. Ma altre voci giravano in epoca quattrocentesca riguarda a questo personaggio, considerato come un mago bianco. Si attribuisce infatti a una sua magia la resistenza delle mura dell’Oratorio. Infatti quando, a seguito delle lotte tra guelfi e ghibellini, nel 1173, un incendio distrusse molte costruzioni forlivesi, tra cui la stessa Abbazia, l’unica parte che di essa rimase in piedi fu l’Oratorio. La stabilità di quest’ultimo si narra fosse merito del Bonatti, che avrebbe incorporato dentro le mura dell’Oratorio degli oggetti che avrebbero infuso magicamente la protezione e la resistenza a quel sacro luogo che le ospitava. Quegli oggetti fungono da reliquie incorporate nella muratura dell’Oratorio fungendo sa protettori soprannaturali e magici.
Tra gli “oggetti” che riempiono leggende legate a edifici sicuramente un ruolo significativo lo copre l’uovo. Quest’ultimo è protagonista di una vicenda (leggendaria) attribuita a Virgilio, che avrebbe costruito il “Castel dell’Ovo”, nel golfo di Napoli, proprio ponendo alle sue fondamenta un uovo ed erigendo l’edificio sopra di esso, ammonendo che la sua rottura avrebbe significato non solo il crollo del castello, ma avrebbe causato anche nefaste sciagure alla stessa città di Napoli. Leggenda vuole che Virgilio avesse costruito anche altri due castelli sopra due uova, ma che essi sarebbero andati distrutti proprio per colpa della rottura delle due uova o per il loro trafugamento. Entrambe le “magie” di Bonatti e di Virgilio, o le frequenti incorporazioni di oggetti considerati magici, quali amuleti, talismani, sono magie urbane, a servizio della città; sono artifici che svolgono la stessa funzione apotropaica che ricoprivano le statue antiche, greche, romane..poste all’interno della città o sull’acropoli o nei templi, per salvaguardare il benessere della città stessa, e favorendone la fioritura e la stabilità, scongiurando e fugando, grazie alla loro funzione apotropaica appunto, pericoli, minacce e catastrofi.L’idea di “spiriti” protettori degli edifici è plasticamente evidente nell’Eremo di San Pantaleon de Losa, cappella romanica situata nel comune da cui prende il nome. L’originalità ermetica e suggestiva si riscontra negli archivolti: in questi si aprono delle finestrelle da cui si affacciano delle piccole teste e dei piccoli piedi umani, proprio come se questi esserini fossero gli abitanti delle mura della chiesa. Tali piccole e strane creature dal volto umano potrebbero rappresentare degli spiriti protettori, dei numi tutelari dell’edificio stesso, di cui sono i benevoli protettori. L’affascinante percorso tra le pieghe leggendarie, che stanno dietro alla costruzione di vari edifici, si conclude con un’ultima curiosità che riguarda una casa a La Brigue, nel dipartimento delle Alpes Maritimes. Questa abitazione, costruita intorno al 1500 porta su di sé un’iscrizione in latino degna di attenzione, perché somiglia a una specie di formula magica. La traduzione è più o meno la seguente: “Starà questa casa in piedi finché una formica non avrà bevuto tutta l’acqua del mare e una tartaruga avrà fatto tutto il giro del mondo”. Naturalmente il messaggio di tale iscrizione sta a indicare che la casa in questione è eterna, essendo impossibili entrambe le condizioni che ne determinerebbero la distruzione. La frase pare di origine medievale e in epoca rinascimentale era molto diffusa, sebbene non si sappia da dove derivi precisamente.
Insomma, tutti questi racconti di sacrifici propiziatori, magie apotropaiche, di oggetti, animali ed esseri umani incorporati e sepolti dentro la muratura o dentro una parte delle costruzioni medievali, fanno comprendere quanto forte fosse la preoccupazione per la stabilità della struttura che si andava a innalzare e quanto tale stabilità fosse legata, non solo a capacità tecniche e architettoniche, ma anche a elementi soprannaturali, sacrificali o apotropaici, o a evocazioni come quella dell’iscrizione suddetta, che emulavano l’intento proprio delle formule magiche. Tutto ciò deriva da una concezione rituale dell’edilizia che parte dall’antichità più remota, in cui non mancavano certo sacrifici di sangue funzionali al buon esito di un’opera, edilizia, militare o puramente religiosa essa fosse.
Non pare allora certo inappropriata la citazione finale di Cervini, tratta da “il costruttore di ponti” di Rudyard Kipling, ambientato in India, in cui a un certo punto del romanzo un personaggio esclama, dinanzi a un ponte: “questo ponte non può crollare perché è morta troppa gente per costruirlo”. Qui il personaggio si riferisce alle accidentali morti sul lavoro. E potremmo dire, che in qualche modo, le numerose morti sul lavoro, rappresentano drammaticamente il sangue accidentalmente sacrificale versato per le opere della nostra modernità, finendo per diventare quasi l’odierno e tragico corrispettivo di quei rituali sacrificali – leggendari o meno che fossero – che propiziavano la durata eterna delle costruzioni medievali.