Lunedì, 22 Ottobre 2018 00:00

Il tramonto della realtà: le nostre vite assorbite dal piccolo schermo

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Quanto tempo dedicate ai vostri dispositivi mobili? Sui cellulari sono disponibili applicazioni capaci di rispondervi nel dettaglio. Vi danno l’illusione di avere i mezzi per un consumo consapevole e critico. Una percezione di controllo alla base di quello che può apparire come un fascino irresistibile di «un convincente effetto di realtà».

Il virtuale è l’essere in potenza, a cui il digitale pare aver spalancato i cancelli dell’infinito. Tutto appare oggi a distanza di dito, a prescindere dall’effettivo spazio geografico che ci separa da eventi seguiti in diretta o da altri soggetti con cui ci sentiamo in contatto.

La dimensione relazionale viene travolta dalle nuove tecnologie, mentre l’iperrealtà pare imporsi con oggetti destinati a essere impiantati sul nostro corpo. Le nostre vite fanno parte di un flusso inglobato dallo spettacolo, una conquista dello spettatore passivo, che finisce per rinunciare alla propria faticosa quotidianità, per inseguire soluzioni pronte e immagini in cui cercare di entrare.

Viviamo in un eterno presente, da consumare in una forma mediata e immediata allo stesso tempo. Ne risentono anche le forme della militanza, dove il pubblico del web spesso sostituisce il tessuto abitante dei territori, in termini di analisi e di valutazioni sull’efficacia dell’agire. Post-verità e fake news sono termini ricorrenti nel dibattito contemporaneo, tanto da rendere una recente pubblicazione di Vanni Codeluppi, Il tramonto della realtà (Carocci, 2018), quasi un instant book, data anche la non impegnativa quantità di pagine proposta (123, note bibliografiche incluse).

Il libro è però un abile compendio sulla pervasività delle novità che effettivamente modificano il nostro rapporto con lo spazio e il tempo. Gli strumenti con cui diamo un senso a noi stessi, con cui proponiamo la nostra immagine sui social, modificano il percepire stesso. La lettura negativa di quanto sta trascinando via il mondo conosciuto è forse eccessiva. Lo stesso autore ricorda la posizione di Platone sulla scrittura e sull’arte. La filosofia si interroga sul vero, sull’esistente e sul conoscibile fin da quando abbiamo traccia di un pensiero critico sulla consapevolezza di se stessi (tanto da essere quest'ultima ciò che ci rende umani, secondo alcune visioni). C’è sempre un elemento di novità, in ogni situazione storica, ma ritenere il presente peggiore del passato è una sorta di automatismo, legato alla visione del tempo come linea, in cui il nostro punto di vista (eurocentrico o comunque atlantico) è assoluto protagonista. Dal tramonto dell’occidente di Spengler (libro scritto e rivisto tra il 1918 e il 1923) al declino dell’intelligenza di Heiner Rindermann, secondo una recensione del Sole 24 Ore dedicata a una recente pubblicazione sul capitalismo cognitivo1: spesso viene da chiedersi se non ci sia un problema di metodo che impedisce una piena consapevolezza della nostra condizione, segnata su una malfondata nostalgia per un passato mai vissuto.

Si prenda l’esempio del concerto, riportato da Codeluppi: si può godere di una esibizione musicale dal vivo da casa, se sul palco ci sono adeguati mezzi di trasmissione e nell’abitazione adeguati strumenti per fruire di immagini e suoni. Non si sarebbe però realmente parte dell’evento: ma quanta autenticità viene proposta durante i live? Dopo la morte di Ronnie James Dio ha fatto scalpore la notizia della proposta di appuntamenti da tenere con un suo ologramma. Gli spettacoli hanno però sempre una consapevole elaborazione della proposta: lo sa bene chi partecipa a grandi festival rock, con più gruppi musicali nella stessa giornata. Abitualmente (almeno in Italia) gli ultimi a suonare possono godere di un impianto che li porta su un livello completamente diverso da chi li ha preceduti. La realtà in questo caso non è falsata? Siamo solo abituati a ritenere reale qualcosa di accettato, per questo restiamo spiazzati quando una certezza viene superata. Il non conosciuto è sempre meno accettabile del conosciuto.

Tolto questo aspetto, comunque aperto e semplicemente da problematizzare, il libro di Codeluppi è una lettura necessaria, perché aiuta a uscire dall’autoreferenzialità di molte discussioni e può suggerire, alle organizzazioni occidentali della sinistra di classe, la messa in discussione delle categorie utilizzate per leggere la realtà (qualsiasi definizione le si voglia dare). La cultura postmoderna, secondo l’autore, avrebbe operato «un'ideologia in grado di legittimare e supportare efficacemente l’impetuoso sviluppo parallelamente registrato dal pensiero neoliberista» [p. 110].

Non siamo consapevoli di dove siamo, di cosa utilizziamo: questa è una certezza da cui la politica dovrebbe saper partire, anziché inseguire il mito della comunicazione adeguata ai tempi presenti…

Siamo sulla scia delle parole di Baudrillard, Benjamin, McLuhan, Eco, Castells e Agamben (tra gli autori più citati, anche in un utile riepilogo di opere di riferimento che rafforza l’aspetto divulgativo del libro).

Un ultimo appunto, quasi una nota di colore: spesso i film sono tratti da ottimi romanzi. Citare Minority Report e Ready Player One solo come opere cinematografiche è una scelta discutibile! La realtà su grande schermo non è per forza meno potente di quella su carta (o su ereader).


1 Gilberto Cobellini, Il declino dell’intelligenza, Il Sole 24 Ore 2018, Domenica 21 ottobre 2018, p. 26.


Immagine di copertina liberamente ripresa da carocci.it

Ultima modifica il Domenica, 21 Ottobre 2018 17:04
Dmitrij Palagi

Nato nel 1988 in Unione Sovietica, subito prima della caduta del Muro. Iscritto a Rifondazione dal 2006, subito prima della sconfitta de "la Sinistra l'Arcobaleno". Laureato in filosofia, un dottorato in corso di Studi Storici, una collaborazione attiva con la storica rivista dei macchinisti "ancora IN MARCIA".

«Vivere in un mondo senza evasione possibile dove non restava che battersi per una evasione impossibile» (Victor Serge)

 

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