Venerdì, 23 Novembre 2018 00:00

Robin Hood: molotov e distintivo

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Robin Hood. L’origine della leggenda è un film da compagni, quindi chiudiamo gli occhi sull’improbabile malriuscita dell’operazione cinematografica. Il rischio di cadere in questa tentazione esiste, ma la realtà la rende inequivocabilmente sbagliata.

L’ambizione può essere premiata anche a prescindere dal risultato, ma almeno si dovrebbe percepire l’impegno.

Immaginatevi una scena da film di guerra contemporaneo, ambientato in Medio Oriente, con archi al posto dei fucili e una balestra automatica facente le veci di una mitragliatrice. Segue qualche effetto moviola da videogioco. Di base abbiamo una storia d’amore meno problematica di un libro per bambini della materna. Si aggiunge un complotto capace di usare la religione islamica per opprimere i poveri. Le crociate arricchiscono i ricchi. Arriva anche uno scontro urbano. Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno vedeva fronteggiarsi, per le strade di Gotham, i buoni in divisa e i teppisti a difesa del terrorismo. Qui osserverete fazzoletti rossi ribellarsi agli scudi della repressione, richiamando l’estetica del conflitto a cui ci hanno abituato i telegiornali del XXI secolo.

Politica di oggi e Batman: dai che questo Robin Hood, prodotto da Jennifer Davisson e Leonardo DiCaprio, può portare le nuove generazioni a simpatizzare per la redistribuzione delle ricchezze! Oppure no. Perché se un film del genere riesce a suscitare entusiasmo, poca speranza rimane all’umanità.

Troppe volte viene da chiedersi: “perché? Come è possibile tirare via in questo modo?”. Non sono esattamente i grandi quesiti a cui spinge il cinema di qualità, ma manca pure il divertimento di quei film del tutto privi di ogni pretesa intellettuale.

Peccato, perché alla regia c’è un Otto Bathurst apprezzato nella prima stagione di Peaky Blinders.

Ben Mendelsohn interpreta probabilmente il peggior cattivo della sua carriera (peggiore rispetto al risultato offerto al pubblico). Jamie Foxx appare come elemento estraneo al contesto (e non perché è nero, come ci ricorda ogni tre battute). Poi ci sono gli altri attori, ma è meglio fermarsi qui.

Difficile difendere la sceneggiatura e il montaggio. La colonna sonora non fa niente di più del minimo sindacale.

Si salva davvero poco. L’approssimazione male si concilia con le pretese.

La giustizia sociale merita paladini più dignitosi.


Immagine liberamente tratta da www.thedubrovniktimes.com

Ultima modifica il Giovedì, 22 Novembre 2018 20:56
Dmitrij Palagi

Nato nel 1988 in Unione Sovietica, subito prima della caduta del Muro. Iscritto a Rifondazione dal 2006, subito prima della sconfitta de "la Sinistra l'Arcobaleno". Laureato in filosofia, un dottorato in corso di Studi Storici, una collaborazione attiva con la storica rivista dei macchinisti "ancora IN MARCIA".

«Vivere in un mondo senza evasione possibile dove non restava che battersi per una evasione impossibile» (Victor Serge)

 

www.orsopalagi.it
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