Quanto v'è di certo nella morte è un po' mitigato da quanto v'è d'incerto: è un indefinito nel tempo, che ha in sé qualche cosa dell'infinito e di ciò che chiamiamo eternità.
Jean de La Bruyère
In questi giorni (15-16-17 maggio) si è tenuto, in vari luoghi di rilevanza della città di Firenze (Palazzo Vecchio, Gabinetto Viessieux, Biblioteca delle Oblate, Sinagoga e altri), il Festival delle religioni, organizzato dalla dottoressa in filosofia Francesca Campana Comparini, che come sottotitolo ha avuto “anadareoltre”, perché, come si legge nel volantino “è arrivato il momento di andare oltre, di prendere coscienza non solo della pluralità dell’esistenza ma di riconoscere il nostro volto in quello di chi ci sta di fronte, come disse Levinas. Oltre il fanatismo, oltre la mortificazione della vita, della razza, delle idee e infine dell’uomo.” Tra le varie conferenze che hanno visto ospiti importanti e noti quali Zygmut Bauman, Piergiorgio Odifreddi, Valdo Spini, Vincenzo Cantone, Ennio Morricone e tanti altri, presso l’Altana delle Oblate c’è stata quella che vedeva come relatori Paolo Ruffini, giornalista e direttore di TV2000, Vito Mancuso, teologo e scrittore di successo e Sergio Givone, filosofo di Estetica presso l’Università degli Studi di Firenze ed ex Assessore alla Cultura. Comparini dà avvio al dibattito citando le parole di Sant’Agostino: “non uscire da te stesso; rientra in te: nell’intimo dell’uomo risiede la verità, e se troverai che la tua natura è mutevole, trascendi anche te stesso […] Tendi pertanto là dove si accende il lume vero della ragione” e poi passa la parola a Ruffini.
Mi davo alla depravazione solitariamente io, di notte, di nascosto, pavidamente, sudiciamente, con una vergogna che non mi lasciava nei momenti piú ripugnanti e che anzi in quei momenti giungeva fino alla maledizione. Già allora portavo nell'anima mia il sottosuolo. Avevo una tremenda paura che in qualche modo mi vedessero, m'incontrassero, mi riconoscessero. E giravo per vari luoghi molto oscuri.
(da “Memorie del sottosuolo” di F.Dostoevskij)
Già il solo entrare dentro il meraviglioso chiostro della Basilica di Santa Croce rapisce, oltre che lo sguardo, sbigottito da tanta sublime bellezza, anche l’anima che davvero è come se si sentisse riempita di una meraviglia proveniente da un altrove più alto, come se venisse chiamata da una voce proveniente da un mondo altro, che non ha luogo, non ha tempo; come se potesse percepire l’eco, l’invito appena sussurrato ad entrare o a ritornare in una dimensione che davvero ricorda l’incanto di qualcosa di sacro.
Mettiamo che un fiorentino abbia letto la recensione di un romanzo. E mettiamo che, incuriosito, abbia deciso di andare in biblioteca per vedere se fosse possibile sfogliarlo, magari alla Biblioteca delle Oblate. Ecco, ieri quel fiorentino avrebbe trovato la biblioteca chiusa o comunque con servizi ridotti.
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