Uno dei marxisti italiani più rigorosi, Antonio Labriola, nel 1897 definiva la filosofia della praxis riprendendo le Tesi su Feuerbach, in seguito Gramsci chiarì come «l’essere non poteva essere disgiunto dal pensare, l’uomo dalla natura, l’attività dalla materia, il soggetto dall’oggetto; e se si fa questo distacco si cade in una delle tante forme di religione o nell’astrazione senza senso». Quindi, l’uomo stesso tramite questa filosofia viene concepito come una «serie di rapporti attivi (un processo)», tali che esso «non entra in rapporto colla natura semplicemente per il fatto di essere egli stesso natura, ma attivamente, per mezzo del lavoro e della tecnica» (Quaderni del Carcere). Ora quello che accadde durante la Rivoluzione d’Ottobre ce lo ha spiegato Gramsci attentamente ed è ben condensato nel suo articolo La Rivoluzione contro il Capitale (vedi qui), dal quale emerge come da questa filosofia sia necessario porre come «fattore di storia non i fatti economici, bruti, ma l'uomo, ma la società degli uomini, degli uomini che si accostano fra di loro, si intendono fra loro, sviluppano attraverso questi contatti (civiltà) una volontà sociale». Solo così si può intervenire concretamente sulla Storia rivoltando i rapporti di forza esistenti, non subendoli più passivamente lasciandosi porre come subalterni rassegnati. In base a questa filosofia gli uomini infatti «comprendono i fatti economici e li giudicano e li adeguano alla loro volontà», in poche parole fanno la Storia anziché lasciarsi gettare dal dominio di classe nel tritacarne della Storia.

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Giovedì, 01 Dicembre 2016 00:00

Crisi di stato come crisi di egemonia

Viviamo all’interno di un gigantesco vuoto di potere in Occidente ed è sempre più difficile girarci attorno, anzi direi che è divenuto ormai impossibile. In Europa si è passati per il declino del socialismo reale e delle socialdemocrazie, mentre negli Stati Uniti si assiste chiaramente all’estremizzazione dello spettro politico.

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"..Poiché anche solo nella minima manifestazione di una qualsiasi attività intellettuale, "il linguaggio", è contenuta una determinata concezione del mondo, si passa al momento della critica e della consapevolezza, cioè alla questione: è preferibile "pensare" senza averne consapevolezza critica, in modo disgregato e occasionale, cioè "partecipare" a una concezione del mondo "imposta" meccanicamente dall'ambiente esterno, a cioè da uno dei tanti gruppi sociali nel quale ognuno è automaticamente coinvolto fin dalla sua entrata nel mondo cosciente (...) o è preferibile elaborare la propria concezione del mondo consapevolmente e criticamente e quindi, in connessione con tale lavorio del cervello, scegliere la propria sfera di attività, partecipare attivamente alla produzione della storia del mondo, essere guida di se stessi e non già accettare passivamente dall'esterno l'impronta alla propria personalità?

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Nel dibattito politico attuale in corso a sinistra del PD c'è tantissima confusione e molta approssimazione. Purtroppo il grado di degenerazione tra i comunisti dipende in prima misura da uno degli errori storici del Partito della Rifondazione Comunista, ossia dal fatto di non aver dato attenzione con la dovuta organicità, negli oltre 20 anni della sua esistenza, al settore della formazione culturale-ideologica dei militanti.

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E' ormai un dato assodato che in Italia il problema principale è la classe politica: corrotta, inadeguata, impopolare, vecchia. Probabilmente mangia-bambini, drogata, cannibale, pedofila e qualunque altra cosa infamante che vi possa venire in mente.
Scherzi a parte il dato di fondo c'è ed è inequivocabile: esiste un problema di rappresentanza e di inadeguatezza politica, morale e ideologica dell'attuale ceto dirigente al potere. Ciò sta letteralmente distruggendo la democrazia liberale in Italia, degenerando lo sconforto, il pessimismo e il senso di impotenza presso sterminate masse rifugiatisi nel qualunquismo populista o nell'indifferenza apolitica. Questa è la sconfortante analisi reale della società italiana e dei suoi umori.

Tutto ciò però non è un fatto inedito, anzi, sembra costituire una costante nella storia italiana, e non solo repubblicana. Gli stessi fenomeni venivano segnalati già durante l'Italia “liberale” monarchica, poi attraverso i privilegi del regime fascista e successivamente con il monopolio dirigenziale dei governi democristiani, fino quindi alla famosa stagione di Tangentopoli che non fece altro che scoperchiare problemi presenti da decenni ma impediti dal fattore K.

I liberali tendono a dare la colpa ad un carattere storico “genetico” di noi italiani, che per tradizione saremmo arraffatori ed egoisti. Gramsci però la pensava diversamente, e denunciava a spron battuto come la corruzione morale e culturale di una società (e della sua élite dirigenziale) non potesse che aumentare all'interno di una struttura economica degradante quale quella capitalistica.

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