In un articolo del 1919 l'ordinovista Gramsci scrive così, in un discorso sorprendentemente adatto per la nostra epoca:
“La demagogia, l'illusione, la menzogna, la corruzione della società capitalistica non sono accidenti secondari della sua struttura, sono inerenti al disordine, allo scatenamento di brutali passioni, alla feroce concorrenza in cui e per cui la società capitalistica vive. Non possono essere abolite, senza abolire la struttura che la genera. Le prediche, gli stimoli, le moralità, i ragionamenti, la scienza, i «se...» sono inutili e ridicoli. La proprietà privata capitalistica dissolve ogni rapporto d'interesse generale, rende cieche e torbide le coscienze. Il lucro singolo finisce sempre col trionfare di ogni buon proposito, di ogni idealità superiore, di ogni programma morale; per guadagnare centomila lire si affama una città; per guadagnare un miliardo si distruggono venti milioni di vite umane e duemila miliardi di ricchezza. La vita degli uomini, le conquiste della civiltà, il presente, l'avvenire sono in continuo pericolo. Queste alee, questo correr sempre l'avventura, potrà soddisfare i dilettanti della vita e chi può mettersi in salvo coi suoi; ma la grande massa ne diventa schiava”
La domanda è posta per i profani: e se Gramsci, uno dei più grandi pensatori del Novecento, così spesso ammirato eppur così poco letto e conosciuto, avesse ragione? Se la crisi morale e democratica di un Paese non dipendesse semplicemente dall'inadeguatezza “caratteriale” di un popolo incapace di esprimere una degna classe dirigente, ma piuttosto dalle storture derivanti dal sistema capitalistico? Cancellare dalla questione il problema del capitalismo significa eliminare la concezione materialistica della storia, e quindi rimuovere la constatazione che la realtà sociale non è uniforme, bensì è divisa in classi. Ma così facendo non si corre il rischio di votare per partiti e persone che hanno interessi strutturalmente diversi da quelli dei cittadini che li eleggono? Come si può pensare che sia un membro (per censo o per appartenenza ideologica) della classe dominante a eliminare le storture del sistema capitalistico, ponendo fine una volta per tutte ad ogni tipo di “casta”?
Gramsci, dopo aver scosso il capo con passione, ci spiegherebbe l'insensatezza di pensare che un milionario possa lottare contro le storture della proprietà privata capitalistica. Tanto meno avrà interesse a svolgere un tale compito un qualsiasi liberal-liberista, incapace di ricondurre la crisi morale alle sue radici sociali, ma piuttosto bravo a imitare un buon prete nel predicare quell'onestà e quella coerenza etica che non si accorge nemmeno di infrangere ogni giorno, quando acconsente spesso inconsciamente allo sfruttamento dell'uomo su altri uomini e sull'ambiente.