Il dibattito e scontro principale, in questi giorni, è legato al tema del razzismo. Non potrebbe essere diversamente visto le politiche nefaste del Ministro degli Interni. Il popolo dei social è diviso tra sostenitori delle politiche governative e quelli assolutamente contrari.
Il naufragio dell'ordine liberale (e del liberalismo)
Si fa un gran parlare della crisi dell’ordine liberale, come di un ordine al quale tutti, comunisti compresi, dovrebbero esser grati.
Bene, l’ultimo saggio di Vittorio Emanuele Parsi Titanic. Il naufragio dell’ordine liberale prende di punta l’argomento, analizzando il cambiamento intercorso tra il passaggio dal vecchio “ordine liberale internazionale” al nuovo “ordine neoliberale globale”.
Dalla speranza nel centrosinistra al rancore diffuso? Un tentativo di storia politico-passionale
Aprile, di Nanni Moretti, costruisce un finale purtroppo debole – in quella che rimane una pellicola godibile – ma evidentemente molto sentito dal regista/attore attorno alla vittoria del centrosinistra capitanato da Romano Prodi alle elezioni politiche del 1996, la cui onda lunga emozionale sblocca la vita altrimenti insoddisfacente del protagonista del film. Su una t-shirt propagandistica prodotta da Rifondazione Comunista dieci anni dopo (2006) campeggia a caratteri cubitali uno slogan motivante ed ottimista: “vuoi vedere che l'Italia cambia davvero”. Ora faccio fatica anche solo ad immaginare chi possa avere il coraggio di indossarla, e infatti la conservo come un reperto archeologico.
Democrazia diretta, democrazia liberale, dittatura e dialettica politica
«Ma perché non si potrebbe conseguire quest’obiettivo [l’estinzione dello Stato in generale] senza la dittatura di una classe? Perché non si potrebbe passare direttamente alla democrazia “pura”? – domandano gli ipocriti amici della borghesia o gli ingenui piccoli borghesi filistei ingannati da essa. Perché in ogni società capitalistica, rispondiamo noi, [...] i piccoli proprietari restano inevitabilmente dei sognatori esitanti, impotenti e sciocchi, che fantasticano di una democrazia “pura”, cioè di una democrazia che sta al di fuori o al di sopra delle classi. Perché soltanto la dittatura della classe oppressa permette di uscire da una società nella quale una classe ne opprime un’altra.» - Lenin, "Democrazia" e dittatura, Pravda, 3 gennaio 1919
«Numero candidature ufficiali a tredici giorni dalla scelta del candidato premier del mov. 5 stelle: zero. È la democrazia diretta, bellezza.» - Claudio Cerasa, Facebook, 11 settembre 2017
La prima citazione costituì il brevissimo intervento con il quale commentai la querelle che durante la campagna referendaria di un anno fa oppose Zagrebelsky e Scalfari. Al primo, che aveva difeso il conflitto democratico contro il rischio oligarchico che la riforma Renzi-Boschi avrebbe apportato, il secondo rispose che la democrazia rappresentativa è di fatto un’oligarchia democratica e che le sole alternative sono la dittatura oppure la democrazia diretta.
Tre i femminismi dei nostri giorni
La fase acuta di crisi del sistema neoliberista e il disintegrarsi dell'utopia di una società globale caratterizzata da benessere materiale e dall'accrescersi di spazi di democrazia e libertà, stanno profondamente mutando anche gli atteggiamenti intellettuali e le analisi politiche condotte all'interno dei movimenti femministi. Si percepisce un sempre maggiore disagio rispetto a una variante del femminismo, egemone dagli anni settanta, che ha messo al centro delle rivendicazioni l'aspetto individuale e l'elemento della differenza. La centralità dell'identità e del corpo, l'enfasi sul privato e sui molteplici significati che può avere il concetto di autodeterminazione hanno permesso trasformazioni sostanziali nella vita delle donne, agendo in profondità sulle dinamiche di potere e sulla percezione culturale diffusa, contribuendo a smorzare la soffocante presa del patriarcato che le voleva relegate entro le mura domestiche.
Lo smantellamento del welfare e dei diritti lavorativi, nonché la crescita globale delle disuguaglianze economiche hanno però obbligato molte influenti femministe contemporanee, come Nancy Frazer, Jessa Crispin o Andrea Iris D'Atri a interrogarsi sulla necessità di ricomporre quella frattura che si era venuta a creare fra diritti delle donne e diritti sociali. In sintonia con le analisi di Boltanski e Chapiello sul nuovo spirito del capitalismo, si comincia a denunciare un femminismo geneticamente modificato che persa la sua vocazione solidaristica e redistributiva, tende a sposarsi con una cultura liberista che esalta l’individuo e l'autonomia personale. A questo femminismo mainstream e glamour che promuove il carrierismo, la competizione, il self-empowerment e la meritocrazia e che è diventato parte integrante dei dispositivi di potere neoliberali occorre opporre, a detta di alcune femministe critiche, un approccio maggiormente solidaristico rimettendo al centro l'aspetto radicale e sistematico della critica al capitalismo.
Qui la prima parte dell'articolo
Sicuramente la situazione messicana è quella peggiore rispetto alle altre due descritte precedentemente, anche se la legge messicana è migliore per quanto riguarda la protezione e la difesa del mondo del lavoro in quanto è soggetta a forme contrattuali collettive dove il datore di lavoro non può licenziare ingiustamente ed è previsto il reintegro o la compensazione, contrariamente a quanto accade in Canada o negli USA ove è possibile licenziare anche senza preavviso. Inoltre è previsto per legge un salario minimo anche se la settimana lavorativa è di 48 ore. La differenza maggiore riguarda la risoluzione delle controversie che in Messico sono regolate la leggi federali mentre negli altri Stati sono incorporate nei contratti.
Le ultime dichiarazioni di Bertinotti hanno lasciato l’amaro in bocca a molti compagni, che nel recente passato l’avevano sostenuto e votato.
Tuttavia, come direbbe lui, a mio (modestissimo) parere la questione appartiene più a quel (pessimo) costume politico degli italiani chiamato trasformismo che all’attualità dei problemi che affannano la vita delle persone.
La conversione di Bertinotti non è e non sarà certo l’ultima, la storia d’Italia vanta esempi ben più illustri, dal Crispi garibaldino e repubblicano al Crispi monarchico africanista, dal Mussolini socialista rivoluzionario al Mussolini duce del fascismo, senza contare gli infiniti esempi minori di cui quello del nostro personaggio è solo l’ultimo in ordine di tempo.
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