1 maggio: festa "de panza" o festa "di sostanza"?
Anche quest'anno è passato il primo maggio, e prima ancora era passato il 25 aprile. Ogni anno si è visto il solito "copione": il concerto di Roma, le manifestazioni dei sindacati, le riflessioni sui diritti del lavoro... E fin qua giusto e sacrosanto avere una giornata dedicata alla riflessione su determinati temi.
Guerra Civile e violenza nella storia contemporanea italiana
Il dizionario di politica della UTET (Bobbio, Matteucci, Pasquino) dedica sei pagine alla definizione del termine 'guerra', passando poi a definire il significato di 'guerra fredda' e 'guerriglia'. Manca la voce 'guerra civile'. Si può inoltre leggere come manchi "una definizione univoca del concetto di guerra". Ogni periodo storico ha il suo orizzonte di senso nel leggere la violenza organizzata ed è evidente come l'assenza nella sinistra del XXI secolo di una riflessione sul potere determini un'inadeguatezza degli strumenti con cui si legge il passato (esemplare forse è il dibattito sulla non violenza che ha attraversato Rifondazione Comunista, durante il suo V Congresso, nel 2002, attraversato dalle suggestioni del Movimento No Global e poi ridotto a una parodia delle sue argomentazioni nel sentire diffuso).
Presentato a Genova, lo scorso 19 aprile, nella splendida cornice della sala di rappresentanza di Palazzo Tursi, sede del Comune, la Banca dati del partigianato ligure. Il progetto, un gigantesco archivio consultabile on line sul sito dell'Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea, è il tentativo (tra i primi in Italia con quale esperienza precorritrice in Piemonte ed Emilia) di mettere on line tutte le schede di quanti a vario titolo hanno partecipato alla Guerra di Liberazione Nazionale nel territorio ligure.
“Ad un tratto nel vuoto della finestra si profilò a mezza vita la figura di un ufficiale tedesco. Era piccolo e con un viso freddo pieno di ferocia. Dopo avermi osservato a lungo mi disse: - Come ti chiami? – Chiodi Pietro. – Che mestiere facevi? – Il professore. – Quanti anni hai? – Ventinove. –“
da “Banditi” di Pietro Chiodi
L’altro intervento della giornata di studi in memoria di Pietro Chiodi su cui vorrei soffermarmi è stato quello di Andrea Mecacci, professore di Estetica presso l’Università degli Studi di Firenze, che ha concentrato il suo discorso su Banditi, il diario dell’esperienza partigiana vissuta da Chiodi. Il libro fa capire chi era quest’uomo, fa comprendere come senza l’esperienza raccontata in queste pagine probabilmente non sarebbe stato possibile neanche il suo magistero, che è innanzitutto un “magistero umano, nel più alto senso del termine”.
“Fuori si sentono voci tranquille di passanti e grida di bambini. Un terribile pensiero mi prende. Perché mi sono impeganato in questa lotta? Perché sono qui quando tanti più sani e forti di me vivono tranquilli sfruttando la situazione in ogni modo? […] Mi ricordo con precisione: una strada piena di sangue e un carro con quattro cadaveri vicino al Mussotto. Il cantoniere che dice: <È meglio morire che sopportare questo >. Sì è allora che ho deciso di gettarmi allo sbaraglio. Avevo sempre odiato il fascismo ma da quel momento avevo sentito che non avrei più potuto vivere in un mondo che accettava qualcosa di simile, fra gente che non insorgeva pazza di furore, contro queste belve. Una strana pace mi invade l’animo a questo pensiero. Ripeto dentro di me: < Non potevo vivere accettando qualcosa di simile. Non sarei più stato degno di vivere ”
da “Banditi” di Pietro Chiodi
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