Lunedì, 09 Novembre 2015 00:00

Tra spie, poveri ed Afghanistan: è sempre una guerra

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Tra spie, poveri ed Afghanistan: è sempre una guerra

Questa settimana non potevo che dedicarla al grande ritorno di James Bond nel 24° film della saga. Spazio inoltre al ruolo della musica nella guerra in Afghanistan con “Rock The Kasbah” di Barry Levinson, già autore di “Rain Man” e “Good Morning Vietnam”. E per finire anteprima per tutti i lettori, il nuovo film di Massimiliano Bruno “Gli ultimi saranno ultimi” che uscirà il prossimo 12 novembre.
Ecco in dettaglio il resoconto:

Spectre ***1/2
(Gran Bretagna 2015)
di Sam MENDES
con Daniel CRAIG, Lea Seydoux, Christoph Waltz, Dave Bautista, Ben Whishaw, Ralph Fiennes, Monica Bellucci
Durata: 2h e 28 minuti
Produzione e distribuzione: Sony Pictures - Warner Bros

24° film della saga dedicata all'eroe di Ian Fleming. Prima cosa da dire: è l'ultimo episodio di una quadrilogia iniziata con Casino Royale e proseguita con Quantum of Solace e Skyfall. Se non avete visto gli episodi precedenti, recuperateli prima di andare a vedere “Spectre”. Nei titoli di testa capirete già qualcosa di più. Si parte subito a bomba in questo nuovo capitolo.
Città del Messico. Si “festeggia” il Giorno dei Morti. Sì perchè tra i temi del film ci sono i morti che tornano a bussare alle porte dei vivi, segreti non rivelati e quant'altro. Ovviamente James Bond compare tra la folla (in stile Joker) con una bellissima donna messicana. L'obbiettivo della missione è un uomo che si chiama Marco Sciarra. Un pianosequenza adrenalinico e mozzafiato fino al duello rusticano su un aereo ad alta quota. Pazzesco! Bond trova un anello con una piovra: l'uomo è dell'organizzazione SPECTRE (SPecial Executive for Counter-intelligence, Terrorism, Revenge and Extortion), dedita a spionaggio, controllo, terrorismo, estorsione e sanguinose vendette. Sin dal primo film della serie, “Agente 007 - Licenza di uccidere” (1962), infatti la SPECTRE diventa l'unico e solo nemico di Bond (all'epoca interpretato da Sean Connery), tramite i suoi numerosi affiliati, sparsi per tutto il mondo.
M (Ralph Fiennes) e il raccomandato C (amico del ministero degli interni inglese) condannano 007 : non vogliono altri incidenti diplomatici. Il programma “doppio zero” pare destinato a sparire per sempre. Tuttavia Q (Ben Whishaw) e Eve (Naomie Harris) decidono di aiutare Bond, non appena comprendono che dietro a questa storia c'è la defunta M (Judi Dench).
Poi l'azione si ferma. Titoli di apertura di gran livello, con una mega piovra che muove i tentacoli. Purtroppo la hit di Sam Smith non ha la stessa efficacia di “Skyfall” di Adele. Ecco che poco dopo è tutto molto più “familiare”. L'azione si sposta in una Roma dominata dal contrasto tra il nero della morte e le luci dorate. Marino e mafia capitale non ci sono, tranquilli. Clandestinamente Bond è lì per incontrare la vedova di Sciarra (una Monica Bellucci “mummificata”). Lei sa dove la Spectre si riunisce. Lei gli rivela il luogo, ma qui 007 viene riconosciuto da uno strano personaggio che Bond crede sia morto molto tempo prima in Austria. Il problema successivo è molto “grosso”: gli viene messo alle costole il mastodontico Mr Hinx (l'ex wrestler Dave Bautista, già visto in “Guardiani della galassia”). E qui c'è un bellissimo inseguimento per le strade della Capitale con un divertentissimo siparietto riguardante una Cinquecento (potrebbe essere tranquillamente lo spot dell'Italia di oggi). Seguendo la pista austriaca, finisce quindi sulle Alpi per via di un vecchio caso riguardante un certo Oberhauser (Christoph Waltz). Il problema è che 007 è sorvegliato, sanno dove va, come si muove (il richiamo al caso Edward Snowden, oggetto del prossimo film di Oliver Stone in uscita nel 2016, è piuttosto evidente). Qui trova un suo vecchio nemico e soprattutto sua figlia Madeleine (Lea Seydoux). Lei sa dov'è il luogo segreto della Spectre: i due devono andare a Tangeri, in Marocco.
Ma le sorprese non sono certo finite qui...
Sam Mendes (già regista di Skyfall e premio Oscar per American Beauty) ancora una volta disegna un Bond umanizzato, dimostrando di aver imparato la lezione del “Cavaliere Oscuro” di Nolan: il prologo, la parte finale, il duello tra Bond e il capo della Spectre sono gli omaggi più sentiti. In ogni caso era difficile far meglio del precedente “Skyfall”, riconosciuto dai fan e dai critici come uno dei capitoli migliori dell'intera saga. Parecchie cose notevoli: il roboante prologo di Città del Messico, l'inseguimento a Roma dominato dalla stupenda fotografia di Van Hoytema (Interstellar, Her), gli omaggi alla saga dell'agente segreto più famoso al mondo (vedi scena del treno). È un bel giocattolo con tutti gli elementi classici della saga (fughe, flirt, inseguimenti, scazzottate, le Aston Martin, i giocattoli tecnologici) che tuttavia ha meno dialoghi e profondità del solito. Non è un caso che di questo ne risentono anche gli attori: Christoph Waltz fa le solite smorfiette “tarantiniane” stile Hans Landa, Monica Bellucci fa un piccolo ruolo da donna “imbalsamata” (basta e avanza), Daniel Craig è più atletico e meno attore. Pare si stia stufato del ruolo.
Molto brava, invece, la lanciatissima Lea Seydoux, nei panni di una bond girl un po' atipica. Nel futuro della saga ci mancherà Sam Mendes, che ha già annunciato che lascerà la regia di 007. Ang Lee e Christopher Nolan sono tra i registi indiziati a prenderne il posto. Anche Daniel Craig ha annunciato la sua “stanchezza” per il ruolo. Il “toto-Bond” è già partito. Staremo a vedere. In ogni caso questo “Spectre” è come l'immancabile aperitivo Vodka Martini: agitato, ma non (perfettamente) mescolato.


TOP Fotografia, alcune scene d'azione mozzafiato (l'inseguimento a Roma e il prologo su tutti), gli omaggi al passato, l'interpretazione di Lea Seydoux, i titoli di testa, l'attenta regia di Sam Mendes
FLOP La sceneggiatura è meno ragionata del solito, la canzone di Sam Smith non ha l'efficacia di “Skyfall” di Adele, lo scarso mistero riguardo l'identità del personaggio di Waltz, l'insignificante performance di Monica Bellucci


Rock the Kasbah ***
(USA 2015)
di Barry LEVINSON
con Bill MURRAY, Bruce WILLIS, Zooey DESCHANEL, Kate HUDSON
Durata: 1h e 56 minuti
Distribuzione: Eagle Pictures

Il grande vecchio del cinema americano Barry Levinson torna a dirigere un film tragicomico che ha a che fare con la guerra. La sua filmografia è ricchissima di opere grottesche che ironizzano sui conflitti del suo Paese: tra i migliori citiamo “Good morning Vietnam” e “Toys”, entrambi con il grande Robin Williams, oppure lo spassoso “Sesso e potere” (con Robert De Niro e Dustin Hoffman) che arriva addirittura a inscenare (tramite Hollywood) una finta guerra tra Stati Uniti e Albania per non rivelare niente al popolo dei problemi del Presidente in vista delle elezioni.
Il giochino funziona meno stavolta in “Rock the kasbah”. Il titolo richiama alla mente l'omonima canzone dei Clash che parla del divieto dell'allora ayatollah Khomeini di suonare o ascoltare musica rock in Iran. D'accordo c'è Bill Murray, la guerra in Afghanistan, la musica (che spazia da Cat Stevens a Bob Dylan), ma è meno graffiante.
Ultimamente è difficile vedere un film perfettamente riuscito sulla guerra afghana. Anche “La Guerra di Charlie Wilson” di Mike Newell soffriva un po' degli stessi problemi di quest'opera.
Questa volta Barry Levinson ci racconta la storia vera di un fallito manager musicale di nome Richie Lanz (Bill Murray). Lui ha solo le sue orecchie e la sua mano. Una volta stretta con un'artista, per lui è un contratto. Un uomo di parola, si diceva un tempo. Gli è rimasta un'ultima cliente, la trentenne Ronnie (Zooey Deschanel di “Yes Man”) e una figlia che vive con l'ex moglie che lo detesta. Un giorno gli viene fatta un'offerta per rilanciarsi: portare Ronnie a cantare in Afghanistan per allietare le serate dei soldati.
Accetta l'offerta. La cantante, spaventata dal clima bellico, ben presto lo lascia solo a Kabul senza soldi e documenti. Finirà in una serie di avventure tra venditori di armi, un mercenario (Bruce Willis), guerriglieri afghani, un amico tassista, una prostituta americana (Kate Hudson) e … Salima. La sua ultima occasione è questa giovane donna che, di nascosto, canta Cat Stevens (scelto non a caso per via della sua conversione all'Islam) perchè il suo sogno segreto è partecipare ad “Afghan Star” (un talent show simile a X-Factor e compagnia). Salima ha una voce straordinaria e il fiuto di Richie non lo inganna. Purtroppo però la cultura islamica non prevede che le donne partecipino a cose simili. Pena? La morte (spesso per lapidazione). Il film è ispirato a una storia vera, anche se nella realtà le concorrenti sono state due: Setara Hussainzada (che ha ricevuto minacce di morte) e Lema Sahar (costretta a vivere in clandestinità).
Anche se il tono è da commedia (volutamente leggero per non offendere nessuno), la storia è drammaticamente attuale. Levinson non risparmia frecciate al suo Paese (gli Stati Uniti sono i maggiori responsabili della situazione nel Medio Oriente, visto che sono i maggiori venditori di armi nel mondo), ma anche al mondo islamico (le donne escluse dalla società, il divieto di ascoltare musica occidentale).
Sembra una via di mezzo tra “Dove eravamo rimasti” di Jonathan Demme e “Good Morning Vietnam” dello stesso Levinson. Il difetto maggiore è la sceneggiatura: Bruce Willis abbastanza inutile, la Deschanel scompare quasi subito e anche il grande Bill Murray pare addomesticato rispetto al solito (in “St Vincent” appariva maggiormente a suo agio). E poi c'è qualche visione un po' fantasiosa del Medio Oriente, compreso il messaggio finale che cozza con alcune parti del film. Peccato, gli ingredienti c'erano per farne un capolavoro. Da Levinson mi aspettavo uno scavo maggiore, un graffio stile “Sesso e potere” in salsa afghana.
A volte anche gli americani sanno fare bene i “talebani”. Hollywood insegna.

TOP I temi del film, la scelta delle musiche, il talento di Bill Murray
FLOP I diversi buchi di sceneggiatura che precludono alcuni personaggi (vedi Bruce Willis). Il film non graffia come nelle opere precedenti di Barry Levinson

Gli ultimi saranno ultimi *** 
(anteprima)

(Italia 2015)
di Massimiliano BRUNO
con Paola CORTELLESI, Alessandro GASSMANN, Fabrizio BENTIVOGLIO
Durata: 1h e 43 minuti
Distribuzione: 01 Distribution

Il Vangelo ci dice che gli ultimi saranno i primi, ma non dice quando. La realtà spesso ci dice che gli ultimi saranno ultimi. Partendo dall'omonimo spettacolo teatrale, Massimiliano Bruno (Viva l'Italia, Nessuno mi può giudicare) firma la trasposizione cinematografica insieme a Furio Andreotti, Riccardo Milani (Benvenuto presidente) e Paola Cortellesi (questi ultimi coppia nella vita reale). Il film è una tragicommedia con tinte dark. Piuttosto inedite per il cinema italiano contemporaneo, tantomeno per un autore come Massimiliano Bruno che è abbonato alle solite commediole.
La storia è quella di Luciana (Paola Cortellesi) e Stefano (Alessandro Gassmann). Lei lavora come precaria in un'azienda che produce parrucche. Lui vive di espedienti, scommesse e quant'altro. Non vuole tornare sotto i padroni. Stanno per avere il loro primo figlio. Un maschio, per la gioia di Stefano. Il loro sogno d'amore finalmente sta per coronarsi, tutto sembra andare a meraviglia. Improvvisamente Luciana viene licenziata. Ufficialmente “il suo contratto non viene rinnovato, non è un licenziamento”.
Siamo nell'Italia del Jobs Act che farà ripartire l'economia. La verità è che Luciana è stata scoperta: non aveva rivelato la sua gravidanza con il (giusto) timore di perdere il lavoro. Nel frattempo il pancione inizia a crescere, la vita di Luciana cade pezzo dopo pezzo, così come quella di un poliziotto: il “polentone” Antonio Zanzotto (Fabrizio Bentivoglio). Anche lui, come lei, è un ultimo. Le loro vite involontariamente si incontreranno. Finalmente un film italiano diverso, ricco di tematiche sociali (perdita della dignità e del posto di lavoro, le discriminazioni verso le donne), ben strutturato con ottimi interpreti (Paola Cortellesi bravissima). In ogni caso, ad esempio sul tema del lavoro, “Tutta la vita davanti” di Virzì era assai migliore.
Perché ci sono sempre i soliti difetti di sceneggiatura che qua e là tornano a fare capolino: il personaggio di Bentivoglio è di un'ingenuità disarmante e non sempre credibile, quel maledetto vizio della parlata romana con annesso l'eterno derby tra romanisti e laziali, il doppio finale (il primo addirittura quasi rivelato nella prima inquadratura) che cozza l'uno contro l'altro, soprattutto per la diversità di tono. Caro Massimiliano Bruno hai fatto un passo in avanti, ma di strada ne hai ancora tanta da fare. Per entrare tra i primi, la strada potrebbe essere lunga e tortuosa...

TOP I temi sociali, l'interpretazione di Paola Cortellesi, le tinte dark della storia tratta dalla cronaca
FLOP Il personaggio di Bentivoglio non sempre è credibile, l'esibita parlata romana dei protagonisti, il doppio finale in contrasto l'uno con l'altro, l'inutilità di alcuni personaggi secondari

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Ultima modifica il Domenica, 08 Novembre 2015 18:07
Tommaso Alvisi

Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant'altro.

Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.

Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.

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