Martedì, 15 Dicembre 2015 00:00

Steven Spielberg e il ruolo del dialogo nella storia

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Steven Spielberg e il ruolo del dialogo nella storia

Signori e signore, preparate i calici. Il vero Steven Spielberg è tornato. Decisamente. Se ci sono due generi in cui eccelle, sicuramente ci sono i film d'intrattenimento per famiglie e il filmone storico tratto da storie vere. Ed ecco quindi, per la prima categoria, che a settembre 2016 (in Italia) tornerà a divertire grandi e piccoli con il "Gigante Gentile", tratto da Roal Dahl. Il prossimo 16 dicembre invece uscirà, per la seconda categoria, "Il ponte delle spie". Oggi ve ne parlerò, in anteprima.

Chiariamo subito una cosa: è necessario farlo. Non perchè è Spielberg, ma perchè i temi in gioco sono tanti e tremendamente attuali. Se pensate al solito film hollywoodiano in epoca di Guerra Fredda dove i russi sono i cattivi e gli americani i buoni, avete sbagliato. Vengono mostrate le falle dei due sistemi di potere, entrambi "poco democratici". È più facile dire che quest'opera, insieme a "Munich" e "Lincoln", rappresenta un'ideale trilogia dove emerge tutto il pensiero e la passione politica del maestro del cinema americano. Dichiaratamente e fieramente democratico (e di religione ebraica, come i fratelli Coen). La cosa si è notata in "Lincoln" e si nota anche qui. Spielberg, armato di passione e leggerezza, firma un'accurata ricostruzione della Storia "armato" della sceneggiatura dei fratelli Coen (insieme a Matt Charman) e della fotografia dello storico collaboratore Janusz Kaminski. E poi rispolvera l'amico Tom Hanks, per la quarta volta insieme all'amico regista (l'attore è il padrino di un figlio di Steven) dopo le prove di "The Terminal", "Prova a prendermi" e "Salvate il soldato Ryan". La scelta non è casuale perchè Hanks ripropone sfumature "legali" del personaggio di "Philadelphia".

E' difficile rimanere indifferenti, soprattutto a causa dei tanti "echi" al glorioso passato del cinema spielberghiano. La ricostruzione politica dell'epoca è pazzesca, l'uso delle luci è di grande impatto, le atmosfere degne del miglior cinema di spionaggio. Anche se, va detto, quello che interessa a Steven è il messaggio, comprendere la psicologia dei personaggi in un periodo storico difficile. L'inizio del film è ambientato nel 1957 a Brooklyn, New York. In tempi di Guerra Fredda. Rudolf Abel (Mark Rylance, bravissimo) è pittore e ritrattista. Apparentemente (occhio alla stupenda sequenza di apertura che "spiega" molto). Viene arrestato dall'FBI con l'accusa di essere una spia sovietica. Irruzione e via. All'americana. Le prove contro di lui sono schiaccianti, ma l'uomo non si perde d'animo mai. Non sembra neanche provare emozioni (in corso d'opera verrà svelato il perché). La democrazia americana impone che venga processato, per far sì che non si scateni un problema di immagine internazionale. Siamo nell'immediato post-maccartismo e il processo è chiaramente un'enorme messa in scena. Viene scelto come avvocato difensore un certo James B. Donovan (Tom Hanks), americano di origini irlandesi,che fino a quel momento si è occupato di assicurazioni. Tale scelta è motivata dal fatto che nessuno vuole sporcarsi la propria immagine. Più o meno come succede oggi. Abel e James si conoscono e il secondo rimane sorpreso dalla grande tranquillità del primo. Non fa una grinza nemmeno quando si parla di pena di morte. Dopo aver studiato le carte, Donovan si rende conto che è tutta una farsa, ma propone al giudice uno strano accordo: non condannate a morte Abel perchè potrebbe essere utilizzato come arma di scambio con i sovietici per liberare i prigionieri americani. Donovan è odiato da tutto il suo popolo, dall'opinione pubblica (splendida la doppia scena sul treno) e rischia molto (anche a livello di carriera). Perfino sua moglie (Amy Ryan) lo disprezza per questa sua decisione. Tuttavia dopo poco tempo un aereo spia U2 viene abbattuto e il tenete Powers viene fatto prigioniero dai russi. Ecco che la grande scaltrezza di Donovan diventa un piano: proporre ai sovietici lo scambio tra i prigionieri.
Sia l'URSS sia gli Stati Uniti non vogliono ripercussioni. A Donovan viene chiesto di condurre personalmente l'operazione, lavorando in "proprio". I Governi non devono entrare in ballo, mediaticamente parlando. Donovan parte per la Germania per discutere l'accordo con la sua controparte, l'avvocato tedesco Vogel (Sebastian Koch, visto nel meraviglioso "Le vite degli altri"). Lo scambio dovrà avvenire a Berlino in un luogo specifico lontano da sguardi indiscreti: il ponte di Glienicke (cinematograficamente parlando, è protagonista del film "Funerale a Berlino" con Michael Caine). Dal 1961 fu chiuso perché era posto sulla linea di confine fra la Germania Ovest e quella dell'Est e alle due estremità del ponte furono collocate due posti di controllo delle rispettive polizie. Con la caduta del muro di Berlino fu definitivamente riaperto al transito il 10 novembre 1989. È soprannominato "ponte delle spie", in quanto durante il periodo della guerra fredda fu al centro di scambi diplomatici fra la NATO e il Patto di Varsavia. Purtroppo per Donovan non tutto va a gonfie vele: a Berlino sta per essere eretto un muro che aveva il compito di dividere la Repubblica Federale Tedesca (di influenza americana) e quella Democratica (di influenza russa). Il negoziato diventerà una "partita a scacchi" con numerose variabili in gioco, dove a ogni mossa è in pericolo la vita di alcuni uomini.

È uno Spielberg decisamente fluido e limpido (con l'aiuto del geniale e riconoscibile umorismo dei fratelli Coen sceneggiatori) che innalza un cinema potente, dal linguaggio a tratti rivoluzionario dove l'etica e la morale diventano protagoniste. Metaforicamente parlando, il ponte delle spie, oltre a essere lo spartiacque tra realtà e apparenza, è il dialogo. La vera svolta è la parola, più che la forza delle armi. I protagonisti non sono spie ed eserciti, ma i negoziatori, i diplomatici. Anche un celebre proverbio direbbe che ferisce più la penna della spada. La forza del film è il rapporto tra Abel e Donovan, grazie a due attori fantastici come Mark Rylance e Tom Hanks. Il primo lavora per sottrazione, quasi immobile, mentre il secondo è l'assoluto mattatore della vicenda. Sembra Jack Lemmon con tutto il suo charme (compreso il fazzoletto a portata a mano). In un'epoca come la nostra, dominata da sospetti quotidiani, "Il ponte delle spie" è un manifesto della dignità umana e della funzione sociale del cinema (e dell'arte). Ai prossimi Oscar credo che questo film meriterebbe di essere protagonista. Per Spielberg potrebbe essere l'ennesimo riconoscimento di una carriera incredibile. Lo so molti di voi la penseranno come Rudolf Abel quando dice "servirebbe"?

IL PONTE DELLE SPIE ****
("Bridge of spies")

(Usa 2015)
Genere: Drammatico, Storico
Regia: Steven SPIELBERG
Sceneggiatura: Ethan e Joel COEN, Matt CHARMAN
Cast: Tom HANKS, Sebastian KOCH, Mark RYLANCE, Amy RYAN, Scott SHEPHERD
Durata: 2h e 20 minuti
Prodotto da Dreamworks Pictures
Distribuzione: 20th CENTURY FOX
DAL 16 DICEMBRE AL CINEMA 

TOP L'uso delle metafore tipico del cinema di Spielberg, la messa in scena sontuosa (regia, luci, scenografie, fotografia), le interpretazioni credibili di Hanks, Rylance e Koch, l'affresco storico, l'impronta umoristica dei fratelli Coen.
FLOP L'utilizzo di un pizzico di retorica di troppo e di alcuni espedienti narrativi (la marmellata d'arance) in alcuni tratti della storia.

Ultima modifica il Martedì, 15 Dicembre 2015 10:16
Tommaso Alvisi

Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant'altro.

Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.

Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.

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