Ecco quindi che il tutto è un pretesto per parlare di libertà di stampa e qualità dell'informazione. Il cinema si sta interrogando molto di questi temi, quantomai attuali. Anche "Truth" (presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma) fa parte di questo filone. Lo sceneggiatore James Vanderbilt (Zodiac, i due "Amazing Spiderman") esordisce dietro la macchina da presa con la ricostruzione del "Rathergate", basandosi sul libro della produttrice della CBS Mary Mapes "Truth and Duty: The Press, The President, and the Privilege of Power".
Siamo nel 2004. Lo scandalo partì da un indagine del programma tv "60 Minutes" (ricordate il bellissimo film "Insider" di Michael Mann con Russell Crowe e Al Pacino?) riguardante la rielezione di George W. Bush come presidente degli Stati Uniti. Due professionisti del giornalismo, Mary Mapes (Cate Blanchett) e Dan Rather (Robert Redford), "scivolarono" su un caso di favori che coinvolgeva lo stesso Bush. L'intreccio prevedeva che il presidente non sarebbe partito per il servizio militare in Vietnam grazie a delle pressioni del padre (all'epoca Bush sr era nel Congresso), finendo per lavorare nell'aeronautica della Guardia Nazionale nel periodo 1968 – 1974. In poche parole si chiama abuso di potere. Lo scoop si rivelerà un boomerang per i due, innescando contro di loro la "macchina del fango". La solidità delle prove e l'affidabilità delle fonti iniziavano a vacillare. I due giornalisti diventarono ben presto i bersagli dell'informazione, la CBS (produttrice del programma) ritrattò e fu costretta a scusarsi. Mary venne licenziata, Dan lasciò il suo spazio da "anchorman", ma non si dettero per sconfitti. Il punto della questione cambia: dal giornalismo "old style" si passa a quello becero e incontrollato del Web. Ed ecco che ci si allontana dalla verità, di cui la gente avrebbe un gran bisogno. Come Aaron Sorkin nella serie tv "Newsroom", anche Vanderbilt sceglie di schierarsi dalla parte del vecchio giornalismo non rinunciando a sporcarsi le mani (come i protagonisti del film). Pur non arrivando ai vertici autoriali, ad esempio, di Oliver Stone. La scelta di Robert Redford è funzionale allo scopo, vista la sua memorabile interpretazione in "Tutti gli uomini del presidente" di Alan J.Pakula.
Serve ancora gente all'antica capace di andare oltre le apparenze, capace di mostrare le questioni per come sono.
C'è bisogno di dibattere, di ascoltare le opinioni degli altri, non di ascoltare come verità le opinioni di un singolo. Il "potente di turno" è legittimato proprio dalle persone incapaci di dire la propria opinione. Come diceva il Bergman di Al Pacino, "la stampa è libera per chi la possiede". "Truth" è un'opera classica, potente, incalzante, ricca di colpi di scena con un po' di retorica che sceglie di parteggiare per i due protagonisti. Sono proprio loro, i premi Oscar Cate Blanchett e Robert Redford, a dare corpo e anima a questa pellicola: la prima è come al solito straordinaria anche se un po' frenata da alcune scelte della sceneggiatura, il secondo conferisce il suo tocco "liberal" al film.
TOP
Il ritmo incalzante, il richiamo al valore della professione del giornalista "old-style", gli omaggi al cinema anni '70, le interpretazioni di Cate Blanchett e Robert Redford.
FLOP
Un po' di retorica americana, James Vanderbilt non è ai livelli (nè registici né autoriali) di personaggi del calibro di Oliver Stone, Michael Mann e di Aaron Sorkin. Guardatevi il finale, confrontatelo con opere analoghe dei suoi colleghi e capirete il perché.