Qual è il nesso tra un giornalista free-lance, un giocatore di calcio, uno scrittore di successo e un ex critico musicale? Basta un nome: Jo Nesbo. Prima di diventare uno dei più importanti scrittori al mondo, ha fatto di tutto. Tutto ciò si riflette nei suoi scritti.
Nel 1997 in Norvegia, suo Paese natale, uscì il suo primo romanzo "Il pipistrello" (arrivato in Italia con Einaudi solo nel 2014). Dieci anni dopo, nel 2007, arrivò il settimo episodio della saga: "The Snowman" (L'uomo di neve, Edizioni Piemme). Diventerà il suo maggior successo. Protagonista delle storie il detective della polizia di Oslo, Harry Hole. Ben presto questo (anti)eroe è divenuto popolare come Sherlock Holmes. Molte persone visitano Oslo per vedere i posti in cui sono ambientate le storie dei romanzi di Nesbo. Eppure, non si tratta di un personaggio per nulla simpatico, come Vi spiegherò più avanti.
Sulla scia del successo del (magnifico) "Millennium" dello svedese Stieg Larsson, il cinema, attualmente in forte crisi creativa, ha deciso (purtroppo) di serializzare anche i bellissimi noir dello scrittore norvegese. Nel 2011 sono usciti "Jackpot" e "Headhunters". Risultati? Poco elettrizzanti. Il finale della trasposizione cinematografica de "L'uomo di neve" strizza l'occhio a dei possibili sequel: secondo i rumours, uno per la regia di Tobey Maguire (lo Spiderman della trilogia di Sam Raimi) e uno per la regia di Denis Villeneuve (che è da poco uscito nei cinema con "Blade Runner 2049"). Per quanto concerne la saga di "Millennium", sul grande schermo la trilogia di film diretti dal danese Niels Arden Oplev non ha riscosso un grande successo. Mentre la versione americana di "Uomini che odiano le donne" del maestro David Fincher, con protagonisti Daniel Craig e Rooney Mara, era imperfetta rispetto allo spirito del libro, ma rapiva. Personalmente ritengo che sia di grandissima qualità.
Premesso questo, veniamo all'analisi del film. Siamo in Norvegia, in una Oslo fredda, glaciale e imbiancata dalla neve. Dimenticate alcuni recenti studi che dicono che la Norvegia è il Paese europeo dove ci sono il massimo benessere e la qualità della vita migliore (leggi qui). Per Jo Nesbo e Tomas Alfredson non è così. Ce lo fanno capire subito. Si può notare l'atmosfera gelida (non solo climaticamente parlando) che permea tutto il racconto. Una donna, un bambino e un poliziotto. Una relazione complicata e un segreto che li accomuna. Accade un qualcosa che rimarrà indelebilmente nella testa del povero bambino che rimarrà solo, inerme con un pupazzo di neve accanto. La scelta del regista norvegese Tomas Alfredson (che ha sostituito Martin Scorsese, rimasto come produttore esecutivo) non è casuale. Ci sono forti legami con i suoi film precedenti: in "Lasciami entrare", i dispiaceri del giovane protagonista erano frutto del bullismo a scuola, mentre nello splendido "La talpa", i servizi segreti britannici non funzionavano a dovere a causa del tradimento di qualche interno. Il male viene dal passato e soprattutto dalla violazione di regole decise della comunità.
E anche qui c'è qualcuno che ha trasgredito. Diversi anni dopo, l'azione si sposta su Harry Hole (un ottimo Michael Fassbender), noto detective della polizia ritenuto ormai un santone. I casi da lui risolti vengono usati come esempio di conduzione delle indagini nelle scuole per le nuove reclute. Tuttavia Harry non è un santo. È un uomo dalla mente acutissima, rimasto solo dopo una relazione non andata a buon fine con Rakel (la "nymphomaniac" Charlotte Gainsbourg, moglie di Lars Von Trier). È un detective senza speranza e senza paura, ma ha diverse macchie: fuma come un turco, è un alcolista, con tanto di occhio pio, con qualche tendenza ieratica (nel libro è tratteggiata meglio che nel film). La notte spesso si ritrova disteso su una panchina senza sapere perché.
L'uomo si lamenta con il capo della polizia perché non ha casi su cui lavorare. Poi dal pacco della posta, ecco che estrae una lettera misteriosa contrassegnata da un pupazzo di neve. Eccolo accontentato. C'è un nuovo psicopatico a piede libero che vuole giocare. E non è esattamente il compagno di giochi che tutti vorremmo, anzi. Nelle case delle vittime inizia a grondare sangue, le teste e le dita sono staccate di netto dai corpi. Il segno distintivo di questo serial killer è il pupazzo di neve che costruisce fuori dalle abitazioni delle persone uccise. Scordatevi le versioni cinematografiche del frozeniano Olaf o del "Jack Frost" di Michael Keaton. Sono pupazzi apparentemente innocui, ma che avvisano le vittime di quello a cui stanno andando incontro. Le designate sono perlopiù donne con matrimoni in crisi e che hanno avuto figli da precedenti relazioni. Oppure che hanno tentato di abortire.
Jo Nesbo riprende la vecchia lezione di Stieg Larsson: ci sono uomini che odiano le donne. Anche qui c'è la descrizione di una società maschilista violenta che vuole sottometterle ai loro voleri. Piuttosto che rivelare i loro segreti, questi uomini sono pronti a uccidere. Fortunatamente ci sono però anche uomini come Harry Hole che hanno rispetto per il gentil sesso. Infatti, ad aiutare il detective nelle indagini, c'è la collega Katrine Bratt (la svedese Rebecca Ferguson de "La ragazza del treno"). Anche lei è lì per un motivo (anche se nel film ha un ruolo marginale rispetto al libro). Così i due iniziano una lunga corsa contro il tempo che li porterà ad analizzare vari componenti della società: dall'ambiguo dottor Vetlesen al magnate Arve Stop (il J.K. Simmons di "Whiplash"), che assomigliano terribilmente a Tarantini e Berlusconi, passando per il detective con caratteraccio Gert Rafko (Val Kilmer). Fino a che sia Hole sia Katrine capiranno che anche loro fanno parte del gioco. Eccome se ne fanno parte...
"I pupazzi di neve... taglia le cose a pezzettini, lo fanno i bambini per ristabilire l'ordine" - dice Harry Hole alla collega. Ed ecco che il film prende una struttura circolare fino al finale, in cui tutti i tasselli del puzzle vanno al loro posto. Con discreta facilità rispetto al romanzo. Sebbene nei film gialli la trama è costruita sull'assemblaggio di un puzzle ("non puoi forzare insieme i pezzi" - dice Harry Hole), qui c'è una novità: il serial killer tende a voler separare gli elementi e le vittime dei suoi giochi macabri. Ed è questa la bellezza principale del romanzo di Jo Nesbo che purtroppo nel film non sempre si può cogliere. La colpa è principalmente di una sceneggiatura particolarmente rimaneggiata e a tratti troppo facilona (sarà per questo che Scorsese è fuggito dal progetto?). Un esempio? Non nevica quasi mai durante lo svolgimento della storia, eppure c'è sempre una notevole coltre bianca che aiuta il serial killer a fare i suoi pupazzi. Come se piovesse (pardon, nevicasse) manna dal cielo.
È un film prettamente visivo, dominato da una fotografia splendida dove spazi aperti e ombre degli spazi chiusi fanno da padrone. La messa in scena è affascinante e suggestiva, con paesaggi da cartolina. E poi ci sono i personaggi. Tutti sembrano puri e limpidi, in realtà sono pieni zeppi di scheletri negli armadi. Nessuno è esente, nessuno è un santo. L'umanità è ormai relegata alla glacialità, non esiste più comunicazione diretta tra persone. L'ambientazione e il gelo devono catturare lo sguardo dello spettatore. Sono personaggi veri e propri. L'apparente tranquillità, la desolante città deserta ricoperta di neve, la solitudine dei paesaggi, la malinconia. Tutto è decisamente collegato e rappresenta la parte migliore del film. Un microcosmo popolato da orfani e padri assenti, un mondo dove la sconfitta è dietro l'angolo. Purtroppo però l'opera mostra dei paralleli con la trasposizione cinematografica de "La ragazza del treno" (recensione qui). Vista la popolarità dei romanzi di partenza, i film andavano incontro a rischi piuttosto alti. Anche qui ci sono non pochi difetti. Il finale è snaturato rispetto al romanzo per poter ricomporsi al prologo del film. Tutto sembra superficiale e a tratti abbastanza artificioso.
Anche se coinvolgente, gli manca l'anima, la cattiveria di Fincher o la maestosità di Scorsese, la sceneggiatura presenta diversi passaggi di mano piuttosto visibili con soluzioni che puzzano di sciatto. Come anticipato prima, è innegabile che a Alfredson non interessi l'identità dell'assassino. Purtroppo però il regista svedese svela troppo presto la sua figura (vedi la ripresa di spalle che tradisce la fisionomia del personaggio). Il tutto diventa intuibile sin dalla prima scena in cui il killer fa capolino (anche se non si è letto il libro). Inoltre, probabilmente per rientrare nelle due ore di durata, lo spirito delle descrizioni di Nesbo è spesso tradito. Ci sono personaggi piuttosto abbozzati: tra questi spiccano l'operaio che toglie le muffe nella casa di Hole (che è solo accennato nel film, ma che è una notevole metafora nel romanzo) e il magnate Arve Stop di J.K. Simmons (nel romanzo è un personaggio chiave) che sembra stralunato e finisce in una sorta di parodia (involontaria e mondana) di Silvio Berlusconi.
Peccato davvero. Nel complesso questo film sembrava avere ottime carte da giocare. Forse il vero potenziale è rimasto, come la versione di Scorsese e qualche personaggio del film, sommerso dalle spesse lastre di ghiaccio della periferia norvegese.
LA FRASE: " I pupazzi di neve... taglia le cose a pezzettini, lo fanno i bambini per ristabilire l'ordine"
PREGI
- La fotografia di Dion Beebe (Collateral, Chicago) che rende l'idea di una gelida Norvegia. E' un film molto bello da un punto di vista strettamente visivo
- Il gelo, i paesaggi, la malinconia, gli spazi aperti e chiusi sono personaggi che hanno un perchè nell'economia della storia
- La coerenza di Alfredson con i temi dei suoi film precedenti (La talpa, Lasciami entrare)
- Le interpretazioni femminili (Ferguson e Gainsbourg)
- Un inedito Fassbender che incarna bene l'Harry Hole del romanzo. Francamente da lettore mi ero fatto un'idea molto simile sul personaggio
- Alfredson ricerca un'atmosfera nordica sulla scia di "Millennium - Uomini che odiano le donne"
- La descrizione di una società maschilista che odia le donne e le usa per i loro fini
- La descrizione di uomini imperfetti, come Harry Hole, che sanno anche apprezzare le donne
- Il montaggio, l'andamento circolare dello "scheletro narrativo"
DIFETTI
- La sceneggiatura ha avuto diversi rimaneggiamenti, piuttosto evidenti. Ci sono cose molto arrangiate e abbozzate, mentre ci sono altri dettagli molto ben curati (vedi atmosfera)
- L'abbandono della regia di Martin Scorsese (qui produttore esecutivo). La sua "pazzia" avrebbe giovato
- L'identità dell'assassino è facilmente prevedibile (colpa di qualche ripresa di spalle che rivela la fisionomia del personaggio e qualche dialogo farraginoso). Nel libro invece...
- La mancanza di cattiveria nella descrizione della società che invece era marcata nel "Millennium" di Fincher
- Il quasi irriconoscibile Val Kilmer, con la faccia gonfia di botulino, che sembra uscito da un film horror di serie B
- Il finale frettoloso e la mancanza di elementi descrittivi dello stile di Nesbo
- Alcuni personaggi sono poco sviluppati rispetto al libro (vedi Arve Stop, il dott. Vetelsen e Rifko) per rientrare nelle canoniche due ore di durata
- La serializzazione, stile serie Tv, della serie dei romanzi di Jo Nesbo a cui allude il finale