Lunedì, 30 Ottobre 2017 00:00

La verità non fa notizia nell'Italia di oggi

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La verità non fa notizia nell'Italia di oggi

LA RAGAZZA NELLA NEBBIA
Romanzo *****
Film ***1/2
(Italia 2017)
Regia e Sceneggiatura: Donato CARRISI
Cast: Toni SERVILLO, Alessio BONI, Jean RENO, Michela CESCON, Jacopo OLMI ANTINORI, Galatea RANZI, Lorenzo RICHELMY, Thierry TOSCAN

Fotografia: Federico MASIERO
Montaggio: Massimo QUAGLIA
Durata: 2h e 7 minuti
Genere: Thriller
Produzione: Colorado Film
Distribuzione: Medusa Film
Uscita italiana: 26 Ottobre 2017
Tratto dall'omonimo romanzo di Donato CARRISI
Guarda qui il trailer 

Nella società moderna l'arma più potente è la violenza. Non quella fisica, esibita, ma quella solo apparentemente "invisibile". Può essere psicologica, indotta, riflessa, verbale o trincerata dietro lunghi anni di segreti. La società occidentale è piena di esempi calzanti. Nel cinema italiano recentemente un certo Maccio Capatonda ha fatto un film (Omicidio all'italiana) che ironizzava sull'invasione mediatica per risolvere i problemi di un piccolo paesino bisognoso di visibilità. È ovvio che non era un'idea originale, ma tutto era nato dalla lettura del libro "La ragazza nella nebbia" (2015, edizione Longanesi).

"Ricordate è il cattivo che fa la storia. Non sono gli eroi che determinano il successo di un’opera, è il male il vero motore di ogni racconto" - dice il prof. Loris Martini ai suoi alunni. In realtà il vero "cattivo" è il regista Donato Carrisi, autore italiano di romanzi vendutissimi anche all'estero. Il regista/scrittore pugliese ha le idee chiare sul concetto di thriller atipico. “Non c’è un’arma, non c’è violenza, non c’è un cadavere. Come si fa a costruire un thriller senza questi ingredienti? Il sogno più bello nella vita è la risata di un bambino, tranne se la senti di notte, sei solo in casa e non hai figli”. Effettivamente se non hai talento è difficile scrivere un romanzo come "La ragazza nella nebbia" senza gli elementi cardine del genere. Lo stesso autore ci dice che tutto ciò è stato possibile grazie al cinema. «Entravo a film già iniziati e poi stavo in sala attendendo che ricominciassero da capo: questo mi ha aiutato ad allenare la fantasia per ricostruire le trame, ed è proprio grazie al cinema che ho imparato a creare strutture». Non è un caso che i suoi romanzi siano molto cinematografici. "La ragazza nella nebbia", che ho letto oltre un anno fa, è sicuramente fra i più efficaci. Inizialmente infatti era nato come sceneggiatura per il cinema. Carrisi è riuscito a farne un capolavoro perché il suo romanzo è in realtà una velata allegoria dell'Italia contemporanea. Personalmente credo che questo romanzo dovrebbe sostituire il falso moralista "I promessi sposi" nelle scuole italiane (la maggioranza degli studenti italiani credo che tirerebbe un sospiro di sollievo).

La nostra più grande malattia è l'illusione. Nel film "The prestige" di Christopher Nolan, Michael Caine diceva che "far sparire qualcosa non è sufficiente, bisogna anche farlo riapparire". Alla gente non interessa il segreto, piace essere ingannata. Non vogliamo la verità. I media vengono manipolati dalle loro fonti e poi ci manipolano a loro volta, facendo sentire al pubblico quello che vuole. Personalmente conosco bene questo fenomeno perché il paese dove abito (San Casciano) negli anni '90 è stato scosso dal carrozzone mediatico del "mostro di Firenze" e dei "compagni di merende". Dopo oltre vent'anni il caso è ancora aperto ed è ancora una gigantesca bolla di sapone. Ma fa ancora dannatamente notizia. Da edicolante posso dire che quest'estate c'è stata un'impennata della vendita dei quotidiani per alcuni sviluppi legati alla vicenda (vedi qui). E non è il solo (basta pensare ai plastici di Cogne, diabolico congegno vespiano, il caso Yara Gambirasio, il caso Stasi, ecc...). Il male, si sa, spesso miete vittime anche nella sua più banale messa in scena: ovvero soldi, amore o semplicemente per vanità. Questo macabro giochino è ben evidente nel romanzo fin dalle prime pagine. Tutti i personaggi sono ingranaggi ben oliati, ognuno ha un importante ruolo nel quadro generale. Il cinico investigatore Vogel è sicuramente l'emblema del sistema. Una sorta di "carnefice" della giustizia che però lentamente diventa una vittima per via di questo macabro caso che deve risolvere.

Siamo nel paese immaginario di Avechot, una sperduta cittadina incastonata tra le Alpi (nella realtà è il Trentino Alto Adige). Sembra di essere ne "I fiumi di porpora" (dove, guarda caso, c'era Jean Reno). È il 23 dicembre, fervono i preparativi per il Natale. All'improvviso scompare la sedicenne Anna Lou. La polizia ha pochi uomini per condurre le indagini e molti di loro ne farebbero a meno perché vorrebbero stare a casa con la famiglia. Subito Carrisi ci avvolge in una descrizione pirotecnica di questa piccola comunità montana chiusa in tradizioni secolari sfruttando la splendida lezione di cinema di Giorgio Diritti. Il film in questione era il magnifico "Il vento fa il suo giro" (recuperatevelo ne vale la pena). Lì il protagonista era l'intenso Thierry Toscan che qui interpreta il padre di Anna Lou. Il posto è avvolto da fitti banchi di nebbia. Anche l'agente Vogel (Toni Servillo) è stato inghiottito da quest'agente atmosferico. La sua auto è finita in un fosso (anche se nel film il particolare non è così chiaro) e lui si è ritrovato ricoperto di sangue non suo. Lui sta bene, ma non ci sono tracce di altre persone. È uno scherzo della sua mente? È la stanchezza? Smarrito, va dallo psichiatra Augusto Flores (Jean Reno, che recita in italiano) dove ripercorre le sue azioni ad Avechot. Il film inizia qui.

Perché Vogel è tornato nel paese dopo la chiusura delle indagini? Il nastro si riavvolge. Come detto, tutto ebbe inizio con la scomparsa della sedicenne Anna Lou. Una ragazzina dai capelli rossi e dalla guance lentigginose tutta casa, scuola e parrocchia. Ama i braccialetti con le perline e i gatti. Come può un paese così candido e pieno di gente dalla morale limpida (tutti lavoro, casa e chiesa), subire uno shock così profondo? Ecco che riemerge la setta religiosa dei "fiumi di porpora" (da notare il particolare delle lunghe barbe degli uomini del posto, tutti con enormi scheletri nell'armadio). Il cinico e diabolico Vogel era stato chiamato per risolvere questo caso. Pensa che questa gente sia fanatica. L'inizio è stupendo con Servillo che batte le mani provocando la reazione degli abitanti che, come una serie di orologi a cucù, si affacciano alla finestra per capire chi sia quel forestiero. Da "campagnolo" ho adorato questa scena. Veniva voglia anche a me di battere le mani. Mentre la narrazione scorre, il piano si svela in tutta la sua essenza.
L'abilità (manipolatrice) di Vogel consisteva nel cortocircuitare i media creando una sorta di mostro famelico per far sì che la gente avesse in pasto la sua (illusoria) verità. Il tutto era creato ad arte per poter lavorare più tranquillamente e per "pararsi" nel caso in cui le indagini non andassero secondo i piani.

Questa volta la vittima designata è il pacifico prof. Loris Martini (Alessio Boni in versione Reinhold Messner), appena trasferitosi con la famiglia ad Avechot. Il suo fuoristrada bianco (ne "I fiumi di porpora" era il ritrovamento di una lada bianca a unire Cassel e Reno nella risoluzione di due casi apparentemente slegati) era stato ripreso vicino ai luoghi frequentati da Anna Lou. All'inizio tutto sembra andare secondo i piani di Vogel. Chi meglio di un (non particolarmente integrato) membro della comunità può essere il sospettato? Ecco che il caso diventa una sorta di reality televisivo. Vogel usa abilmente il "televoto" popolare assecondando i media (straordinaria l'interpretazione di Galatea Ranzi, nei panni della giornalista rampante in versione dark lady) seguendo i gusti più macabri del subconscio della gente. Ma più il tempo passa, più gli interrogativi crescono. Le prove non vengono trovate. L'unica certezza è quell'incidente e quei vestiti macchiati di sangue che Vogel non riesce a spiegare. È lui il mostro di Avechot o è la cittadina ad avere qualche scheletro nell'armadio? Perchè le indagini si dipanano lungo una linea temporale di oltre 30 anni?

C'era grande attesa per l'esordio alla regia dello scrittore Donato Carrisi e lui diligentemente fa il suo. Anche se va detto, la sua professione è scrivere. Come direbbe il prof. Martini "la prima regola di un grande romanziere è copiare". Carrisi lo fa bene, ma ha dovuto restringere il suo romanzo per farne un film dove di originale c'è poco. Lo scrittore pugliese attinge da alcuni autori di culto: dall'ambientazione molto "twin peaks" di David Lynch ai temi etici di David Fincher (soprattutto Seven e L'amore bugiardo, senza dimenticare Zodiac), passando per Giuseppe Tornatore (Una pura formalità), i cappelli con le orecchie dei poliziotti che richiamano "Fargo" dei Fratelli Coen e un'atmosfera da thriller nordico stile Tomas Alfredson (L'uomo di neve). Proprio con quest'ultimo ha una grossa affinità/difficoltà: portare efficacemente sul grande schermo un romanzo di grande successo. Anche qui la descrizione di Avechot, della sua solitudine e delle sue abitudini è di grande impatto, ma la sceneggiatura a tratti è compressa e nell'ultimo quarto di film comincia a fare troppi giri per deviare lo spettatore. E nel finale l'ansia di chiudere le parentesi aperte in precedenza è alta. La prima ora scorre bene, crea tensione e prende lo spettatore. Gli attori sono tutti bravissimi: Alessio Boni spiazza e regala un'interpretazione ricca e variegata, Toni Servillo gigioneggia spaziando tra il commissario de "La ragazza del lago" e il De Girolamo de "Le conseguenze dell'amore", i comprimari sono tutti all'altezza della situazione (Galatea Ranzi su tutti). Il grande Jean Reno regala la sua immensa esperienza specie nei duetti con Servillo, ma il suo personaggio non sempre è assistito adeguatamente dalla sceneggiatura.

È difficile comprimere in due ore un romanzo così bello, appassionato, ricco di descrizioni. Nel film purtroppo mancano due scene importanti: la ricerca del corpo di Anna Lou lungo il letto del fiume in mezzo alla nebbia e la parte di vita vissuta in galera di un personaggio chiave. Questo film dimostra che pellicole di genere come questa si possono fare anche da noi. In ogni caso l'esordio di Carrisi è promosso pienamente. Peccato perché poteva essere un capolavoro, considerando il non eccelso livello attuale del cinema italiano.

LA FRASE: Ricordate è il cattivo che fa la storia. Non sono gli eroi che determinano il successo di un’opera, è il male il vero motore di ogni racconto.
PREGI
- Alessio Boni (in versione Rainhold Messner) tratteggia molto bene il prof. Martini. La descrizione della famiglia di Loris Martini è molto coerente con il romanzo
- Servillo ruba la scena a tutti, come sempre, disegnando un Vogel simile a quello del romanzo. Un'interpretazione teatrale che sottolinea che il commissario non è uno del posto. Sui livelli de "La ragazza del lago" e "Le conseguenze dell'amore"
- I duetti tra i veterani Servillo e Reno (che recita in italiano) valgono la pena di essere visti
- Servillo è autoironico e velatamente cita "L'uomo in più" (film d'esordio di Sorrentino con Servillo protagonista). Notare l'insistenza della metafora della trota.
- L'atmosfera del film e la composizione delle inquadrature è notevole per essere un film italiano
- Gli omaggi a autori di culto come Lynch, Fincher, Alfredson, i Coen e Tornatore. Senza dimenticare lo scheletro narrativo de "I fiumi di porpora".
- I temi trattati nell'ambito della società contemporanea
- La prima ora è narrativamente quasi perfetta
- Carrisi dimostra che pellicole come queste possono esser fatte anche dal nostro cinema
- L'interpretazione di Galatea Ranzi nei panni della giornalista rampante in versione "dark lady"
DIFETTI
- Il personaggio di Jean Reno è poco sviluppato in fase di sceneggiatura. Alcuni personaggi (vedi il poliziotto Borghi) sono sottosviluppati rispetto al libro
- La difficoltà di comprimere la bellezza del romanzo nelle canoniche due ore di film (stesso problema de L'uomo di neve). Alcune scene importanti (la ricerca lungo il letto del fiume tra la nebbia e la vita in carcere di un personaggio chiave) nel film non esistono. Nel libro invece erano ben dettagliate
- La necessità e l'ansia (esibita) di Carrisi, nell'ultimo quarto d'ora, di dover chiudere le varie digressioni

Ultima modifica il Domenica, 29 Ottobre 2017 22:09
Tommaso Alvisi

Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant'altro.

Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.

Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.

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