Venerdì, 27 Novembre 2015 00:00

40 anni di Amici miei e la supercazzola del vocabolario

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40 anni di Amici miei e la supercazzola del vocabolario

Il cinema attuale, carente di idee nuove, offre la possibilità di rivedere vecchie opere in sala. E' un'occasione unica, da non perdere. Per un cinefilo è un sogno, un attimo di paradiso. E' successo con Fantozzi, Ritorno al futuro, i film di Chaplin, le opere leggendarie di Sergio Leone e tantissime altre. L'avreste mai detto? Ad arriccchire la collezione "di figurine", non poteva mancare il film che rappresenta l'essenza del fiorentino verace: lo scorso 10 agosto era il 40° anniversario dell'uscita di "Amici Miei" al cinema. La versione restaurata, in 2K dalla Filmauro di De Laurentiis (detentore dei diritti), è tornata in sala questa settimana con grande successo. Perchè l'amicizia è un bene universale. A Firenze poi un'opera come questa rappresenta l'essenza dello spirito vero del suo abitante. Tanto che, nel 2010 (prima che morisse Monicelli), è stato fatto un corto sul funerale del Pierozzi diretto da Federico Micali e Yuri Parrettini. Ospiti d'eccezione Gastone Moschin e Mario Monicelli, unici superstiti del cast. I ruoli dei protagonisti del film sono stati reinterpretati da attori fiorentini non

professionisti, ad eccezione del personaggio che fu di Adolfo Celi, Sassaroli, che è interpretato dallo stesso Monicelli: si tratta dell'ultima apparizione cinematografica del grande regista toscano. La mattina del 6 giugno 2010 migliaia di volontari si sono presentati vestiti a lutto nella storica piazza Santo Spirito, per partecipare come comparse alle esequie del Perozzi. Questo dice molto su Firenze e i suoi abitanti. Non è un caso che due degli sceneggiatori (gli storici Benvenuti - De Bernardi) erano rispettivamente di Firenze e Prato. La loro impronta è piuttosto forte. Mentre invece, a parte Renzo Montagnani, l'intero cast era composto da attori non fiorentini. A vedere il film la cosa non si avverte grazie all'ottimo doppiaggio.
Tuttavia il progetto del film apparteneva a Pietro Germi (anche co-sceneggiatore), che non ebbe però la possibilità di realizzarlo a causa di una malattia che lo portò alla morte nel 1974. Nei titoli di testa del film, infatti, è riportata la scritta "un film di Pietro Germi" con la regia (del toscano d'adozione) Mario Monicelli. Il prossimo 29 novembre è anche il quinto anniversario del suicidio del regista di questo grande cult.

Il significato del titolo secondo Gastone Moschin è da riferirsi all'addio al cinema di Pietro Germi "amici miei, ci vedremo, io me ne vado". Ma come dicevo precedentemente, la vera essenza di questo film è l'amicizia. Tema assai caro a Monicelli (vedi I soliti ignoti, L'armata Brancaleone, La grande guerra). Perchè sotto la confezione da commedia, è un'opera piuttosto amara. Unitamente ad altre famose pellicole dello stesso periodo, segna l'inizio di un ciclo nuovo e conclusivo di quel genere cinematografico meglio conosciuto come "commedia all'italiana". L'amarezza, il disincanto, la fine delle illusioni di benessere e le tensioni sociali diventano costume. La risata piena è triste e malinconica, i personaggi rimangono comici ma diventano amari. Scompaiono definitivamente il lieto fine e il finale leggero o comunque umoristico e lasciano il posto alla precarietà di una condizione umana spesso senza prospettiva. La storia la sapete.

Siamo a Firenze. Tra piazza Beccaria, davanti al cinema Metropolitan (oggi Astra 2, che ha chiuso), il bar Necchi (oggi il "Negroni" uno dei locali più alla moda), Santo Spirito, piazza Santa Croce, il piazzale Michelangelo e la stazione di Santa Maria Novella, ci sono quattro amici per la pelle sulla cinquantina che combinano scherzi a malcapitati di ogni tipo. C'è il nobile decaduto, il conte Raffaello Mascetti (Ugo Tognazzi sostituì Marcello Mastroianni, che rifiutò la parte) che ha scialacquato tutti i suoi averi. Vive in uno scantinato (all'Isolotto) con la moglie (la signora Pina di "Fantozzi", Milena Vukotic) e la figlia. L'affitto per due terzi glielo pagano gli amici e per mangiare ci si accontenta vivendo di espedienti (il rinforzino). "Bisogno sempre, elemosina mai" è il suo motto insieme all'immancabile “supercazzola prematurata/ tarapia tapioco/ con scappellamento a destra/ come fosse Antani” . Proprio in questi giorni il termine "supercazzola" è diventato una parola del dizionario Zingarelli: è una frase priva di senso logico composta da un insieme casuale di parole reali e inesistenti, esposta in modo ingannevolmente forbito e sicuro a interlocutori che pur non capendo alla fine la accettano come corretta. Detta così sembra la politica italiana, ma è il modo con cui viene introdotto il suo personaggio (scherzo al vigile). Poi c'è il caporedattore del giornale fiorentino "La Nazione", alias il Pierozzi (Philippe Noiret, doppiato da Montagnani che dal secondo capitolo avrà la parte del Necchi) che ha una moglie e un figlio che lo disprezzano totalmente per la sua scarsa serietà. La sua casa è in zona piazza dei Peruzzi. C'è Guido Necchi (Duilio Del Prete nel primo film, poi Renzo Montagnani) che gestisce con la moglie Carmen un bar (in via dei Renai dove oggi c'è il Bar Negroni) con sala da biliardo. Ovviamente è il luogo di ritrovo della "bandaccia". Infine c'è Rambaldo Melandri (Gastone Moschin), un architetto alla perenne ricerca di una donna, per la quale sarebbe anche disposto ad abbandonare i suoi amici. A parole più che nei fatti. Ai quattro amici di sempre si aggiunge, nel corso del primo film, il professor Sassaroli (Adolfo Celi), brillante primario ospedaliero annoiato dalla professione e proprietario di una clinica in collina (l'Istituto del Salviatino, vicino a Fiesole), che diventerà in breve uno dei pilastri del gruppo e sotto la cui spinta le bravate prenderanno nuova vitalità. 

Il loro motto, coniato dal Melandri, è "perché non siamo nati tutti finocchi?” Le loro gesta diventano "zingarate" leggendarie: tra avventure extraconiugali finite male (vedi Titti e il Mascetti), gli schiaffi ai passeggeri in partenza alla stazione di Santa Maria Novella, l'autoinvito alla festa in una villa dove il Necchi inventa lo scherzo più riuscito (l'abbondante defecazione nel vasino del bambino), lo scherzo "malavitoso" al Righi (anziano del bar del Necchi che scrocca dolci). Il tutto raccontato dal Pierozzi con immensa soddisfazione ed emozione. "Il bello della zingarata è proprio questo: la libertà, l'estro, il desiderio. Come l'amore: nasce quando nasce e quando non c'è più è inutile insistere, non c'è più".
Peccato però che poco dopo venga colto da un infarto. Ed è proprio qui che si avverte lo spirito di questo film: la vita, presa con allegria e divertimento, è il miglior viatico per alleviare la morte.E infatti il celebre funerale del Pierozzi si chiude con la supercazzola al prete e il ghigno al malcapitato Righi, ancora sconvolto dal terribile lutto. Perchè il genio è "fantasia, intuizione, precisione e velocità di esecuzione". Parole quasi sconosciute nel cinema italiano di oggi.

Ultima modifica il Venerdì, 27 Novembre 2015 10:47
Tommaso Alvisi

Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant'altro.

Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.

Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.

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