Attacco alla Siria: il déjà-vu di cui il mondo non aveva bisogno
Dopo due settimane di propaganda di guerra sul presunto utilizzo di armi chimiche in Siria, a cui hanno partecipato esponenti della sinistra parlamentare, è arrivato puntuale il bombardamento "umanitario".
Nella notte tra venerdì e sabato, statunitensi, francesi e britannici hanno scatenato un bombardamento di missili sul territorio siriano. La promessa di Trump, il suo "arriveranno" (i missili), è stata mantenuta. La Russia invece ha preferito non rispondere, almeno per ora. Vista l'alta densità di eserciti stranieri presenti in Siria il pericolo principale resta il possibile incidente, tanto più che l’amministrazione statunitense potrebbe non essere interessata a fermare l’escalation seguendo la scia di odio e volontà di dominio israeliana.
Gerusalemme capitale israeliana e la politica poco isolazionista di Trump
La decisione di Donald Trump di trasferire l'ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, applaudita dal governo israeliano e subito echeggiata (almeno a parole) dai leader populisti di Filippine e Repubblica Ceca, ha causato una serie di reazioni in tutto il Medio Oriente, che rischiano di destabilizzare ulteriormente una regione già duramente messa alla prova dallo scontro tra Iran e Arabia Saudita.
La Guerra civile americana tra storia e memoria
Nel panorama politico in ebollizione degli Stati Uniti, uno dei temi che più è al centro di una controversa e feroce battaglia politica è la rimozione, in alcuni Stati, dei monumenti intitolati ai personaggi confederati della Guerra Civile. Il tema si è mescolato con le recenti tensioni razziali che sono riemerse (in realtà mai risolte) in molti sobborghi delle maggiori città statunitensi. Una battaglia che aveva preso di mira le forze di polizia, poi è diventata uno scontro tra i Democratici e comunità afroamericana, da una parte, e suprematisti bianchi, dall’altra, che hanno riportato alla luce una retorica neonazista che divampa in ogni parte del mondo cosiddetto occidentale.
La guerra può attendere: la crisi in Corea e il caos del Sud-Est Asiatico
Dall’inizio dei nuovi test missilistici da parte della Corea del Nord, l’allarmismo sfrenato dei media occidentali (con un notevole contributo di quelli italiani) ci ha catapultato nell’ultimo film di James Bond con il volto di Pierce Brosnan “La morte può attendere”. Senza il potentissimo satellite-arma Icarus, ma con la minaccia nucleare che grava sugli Stati Uniti e suoi loro alleati.
Charlottesville, Trump e il domani
Charlottesville si iscrive tra gli eventi per cui sarà ricordata l'era Trump. Una manifestazione contro la rimozione di una statua di Robert Lee, generale degli sconfitti Stati Confederati, è stata promossa da forze di estrema destra (compreso il tristemente noto Ku Klux Klan), suscitando una reazione di piazza da parte della cittadinanza antirazzista.
Dopo alcuni scontri, Heather Heyer, giovane donna di 32 anni, è stata uccisa da un suprematista bianco, lanciatosi con la propria auto su un gruppo di dimostranti. Il presidente degli Stati Uniti in carica è stato accusato di aver preso una posizione di condanna in ritardo, oltre ad essere al centro di furiose polemiche per aver argomentato come le violenze siano da ascrivere ad entrambe le parti in piazza.
Una guerra, in Medio Oriente, che non si chiude anzi si allarga
Considero per primi i passaggi subiti dai conflitti armati mediorientali in corso che precedono il cambiamento di presidenza negli Stati Uniti; poi ricapitolerò quelli successivi. Da quando ci ho provato l’ultima volta i cambiamenti di prospettiva di buona parte degli attori in campo sono stati enormi, sino a delineare un quadro generale molto diverso, quello precedente essendo determinato dalla centralità di Daesh – dal suo uso turco, dal contrasto portatogli da regime siriano, Russia, Stati Uniti e loro alleati, Iran e forze a esso legate – mentre Daesh ormai sta per essere sconfitto sia in Iraq che in Siria.
Ricapitolando fino a “prima” rispetto al quadro attuale
Esso era venuto assumendo la forma di un’instabile o ridotta, a seconda dei momenti, alleanza tra Russia e Stati Uniti, unita dall’obiettivo di far fuori Daesh. L’intervento russo aveva consentito di sbloccare un conflitto che durava da cinque anni e che stava portando al totale disfacimento della Siria, al consolidamento della forma semistatale assunta da Daesh, all’espansione parallela di al-Nusra (l’al-Qaeda siriana), a quella della coalizione Ahrar al-Sham nonché di una miriade di altri gruppi islamisti minori, a volte solo sigle di copertura delle due realtà maggiori, a volte loro alleati, a volte in conflitto con uno di essi o con tutt’e due, a volte su base etnica (soprattutto turcomanna), ecc. La Giordania, incaricata dall’ONU del censimento di queste forze, ne conterà 65.
Trump e sauditi: il filo di sangue che li unisce
Gli eventi della settimana appena trascorsa restituiscono un quadro definito dalla visita storica di D.Trump a Riad. Una visita che è centrale per capire il quadro mediorientale e non solo. Il Presidente americano infatti ha voluto stabilizzare l'asse coi sauditi e le monarchie del Golfo Persico al fine di incrementare il fatturato della macchina militare statunitense, divenuta sempre più vorace. L'accordo siglato per la vendita di armi statunitensi ai sauditi per 110 miliardi di dollari ne è la dimostrazione.
Come sempre il discorso economico è abbellito dai discorsi ideologici e quindi troviamo la solita retorica americana del Bene contro il Male, per cui secondo Trump con i sauditi "si può vincere (il terrorismo) solo se le forze del bene saranno unite". Queste le forze del Bene: gli Stati Uniti e i loro alleati wahabiti. Le forze del Male vengono invece identificate chiaramente nei musulmani sciiti. Un discorso che è un toccasana per la pace in Medio Oriente come può intuire qualsiasi. Ma non solo, Trump è stato ben più esplicito, definendo l'Iran la "punta di lancia dei terroristi nel mondo". Ecco che il nuovo nemico in Medio Oriente è identificato.
Bombardamento statunitense in Siria: monito o premessa?
Dopo mesi di combattimenti in cui la fortuna bellica stava gradualmente iniziando a sorridere ad Assad e al suo alleato russo a danno dei ribelli sia "moderati" che islamisti, nella notte fra il 6 e il 7 Aprile gli Stati Uniti hanno lanciato il primo attacco deliberato contro obiettivi militari del governo siriano, rimescolando nuovamente le carte di una crisi regionale sempre più allarmate.
Il pretesto, un bombardamento che si presume condotto dall'aviazione governativa nella provincia di Idlib con armi chimiche e che ha causato la morte di almeno 86 persone, ma le cui dinamiche e responsabilità sono ancora tutte da verificare, ha portato l'amministrazione Trump a spingersi su posizioni interventiste incassando l'immediata approvazione di Ankara e di molti leader europei. Molto dura invece la Russia che parla di violazione illegittima della sovranità nazionale.
Resta da capire se si tratti solo di un attacco dimostrativo oppure se Trump abbia veramente l'intenzione di aprire un fronte militare in una zona delicatissima del pianeta, in un paese martoriato e diviso in cui si scontrano gli interessi geopolitici delle principali potenze mondiali.
Globalizzazione: nuova fase o post-globalizzazione?
Dopo una sola settimana i provvedimenti del tycoon stanno già facendo scalpore, in particolare l’abolizione del Tpp e la detassazione per le imprese che producono sul territorio con tassa di confine per chi produce all’estero stanno facendo preoccupare i mercati, più che rassicurarli, per una possibile guerra commerciale. Parallelamente, il discorso di Xi Jinping a Davos in difesa della globalizzazione ha sconvolto molti. Tuttavia, se gli Stati Uniti che stanno per entrare nel decimo anno di crisi (nessuna ripresa significativa è in atto) sembrano voler adottare politiche rivolte al protezionismo, la Cina invece è pronta a difendere l’ordine economico della globalizzazione anche ponendosi al posto del gigante in decadenza. A tutto ciò si aggiunge il riassestamento geopolitico con la Russia (vedi dichiarazioni di Lavrov sul riavvicinamento Usa-Russia nella lotta all’Isis). Nulla di stupefacente in un mondo non più unipolare, come sognavano gli Stati Uniti dopo il 1989. Più complesso è analizzare cosa ne sarà del mondo multipolare.
Una democrazia d’ancien régime
Maître à penser d’annata e giornalisti di fama più o meno larga hanno espresso la loro autorevole opinione sull’esito delle elezioni presidenziali americane. La vittoria di Donald Trump – secondo costoro - è dovuta in gran parte, se non esclusivamente, al voto degli operai bianchi della cosiddetta rust belt (cintura della ruggine), ovvero le città e le contee un tempo sedi di grandi industrie – per lo più siderurgiche e meccaniche - che dagli anni ottanta hanno subito un drastico processo di deindustrializzazione.
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