Martedì, 28 Novembre 2017 00:00

La lotta di classe passa da Amazon?

La lotta di classe passa da Amazon?

Nel tardo capitalismo in cui siamo immersi ci troviamo davanti a fenomeni in cui persino l’acquisto di merci diventa frenetico al punto da essere ossessivo e compulsivo (si è arrivati nel giro di un anno a ridurre di due secondi la frequenza tra un ordine on-line e l’altro, vedi qui). Il Black Friday, nato negli Stati Uniti negli anni Ottanta è divenuto un fenomeno globale grazie all’e-commerce e tende ad estendersi come esplosione di delirio consumistico globalizzato. D’altra parte l’economia capitalistica è sempre più simile ad un cuore in fibrillazione, per cui si assiste a dei picchi impressionanti di domanda in brevissimi spazi di tempo seguiti da crolli impressionanti della bubble economy (si veda il fenomeno dei Bitcoin).

Pubblicato in A Dieci Mani
Martedì, 03 Ottobre 2017 00:00

Logistica e lotta di classe: i pacchi di SDA

Logistica e lotta di classe: i pacchi di SDA

SDA (Speditori-Destinatari Autorizzati) è l'azienda di Poste Italiane per la gestione logistica. "Detiene una quota di mercato nella distribuzione dei pacchi intorno al 12% e "nel 2017 l'obiettivo è di raggiungere i 50 milioni di colli" (dati da il Sole 24 Ore del 29/09/2017). Il nome della ditta è noto a chi anche solo occasionalmente ordina qualcosa attraverso internet. Distribuzione e vendita a distanza delle merci sono sempre più al centro del "capitalismo del XXI secolo". Un cambio di appalto è al centro di una mobilitazione con al centro il SI Cobas, tra le realtà più attive in una galassia lavorativa eterogenea, in cui il terziario arretrato su cui poco si concentrano i riflettori del sistema di informazione. Ha fatto eccezione la morte di Abdesselem El Danaf, della ditta GLS, travolto - letteralmente - ed ucciso da un altro pezzo di questo settore economico, quello del trasporto su gomma, in cui si trovano forme di piccola impresa e partite IVA, dove si riscontra con evidenza cosa sia la "guerra tra poveri" (talvolta con sfumature di razzismo, a leggere i resoconti delle organizzazioni sindacali di questi ultimi anni).

Aggressioni, "volontari", impiegati formati velocemente per diverse mansioni rispetto a quelle per le quali sono stati assunti, interventi della questura: i metodi applicati dalle imprese per affrontare la dialettica con i lavoratori sono decisamente poco 2.0...

Al contempo è evidente il problema della frammentazione sindacale, con articolati rapporti tra le realtà "di base" e l'assenza delle sigle confederali in questo tipo di lotte. Si aggiunge un sistema di informazione poco attendo al tema e anzi spesso disponibile a criminalizzare il dissenso, cercando anche di diffamare i protagonisti della conflittualità sociale, come fu nel caso dei titoli eclatanti a gennaio 2017 sulla presunta corruzione di alcuni dirigenti SI Cobas nella logistica.


Niccolò Bassanello

Nella logistica, ad una indubbia centralità nell'odierno sistema economico fa da contraltare un complesso di relazioni industriali rimasto al capitalismo selvaggio del primo XIX secolo. I loschi figuri inviati a pestare gli scioperanti sono gli ultimi di una serie di fatti simili, tra vigilantismo prezzolato e crumiraggio violento, che hanno lasciato sul terreno anche un morto. La furia senza scrupoli degli strike breakers di ventura e di chi li assolda dimostra abbastanza chiaramente il potere che la pratica dello sciopero continua ad avere. I lavoratori, spesso stranieri in condizioni di ricattabilità, che si ribellano a condizioni inumane rifiutando il lavoro riescono a far paura. L'unità sindacale con i confederali, a cui spetta una buona fetta di responsabilità per il peggioramento devastante di salari e condizioni in tutti i settori, non è granché utile né auspicabile, se vuol dire ridurre le lotte alla palude del compromesso concertativo.

Ciò che sarebbe necessario è semmai un salto di qualità. Le lotte della logistica avrebbero bisogno da un lato di unirsi ad un movimento generalizzato, dall'altro lato di trovare un referente politico classista e credibile (e questo già di per sé esclude i D'Alema e i Pisapia). Merce rara, nell'Italia degli appelli unitari e degli intellettuali di micromega.


Alex Marsaglia

È sconcertante assistere a ciò che accade nel settore più avanzato dello sfruttamento di classe. È da un po' che ne seguiamo le vicende, nonostante sia sempre più difficile stupirci per ciò che accade. A un anno dall'assassinio di Abd Elsalam Ahmed Eldanf lo scontro tra il padronato e gli operai che lavorano nella catena di sfruttamento costruita attorno al mercato della logistica non accenna a diminuire.
L’USB di Melfi, in solidarietà ai facchini SDA di Carpiano ha indetto un’ora di sciopero in tutto lo stabilimento FCA. Nel comunicato si capisce da subito la gravità della situazione laddove si avvisa come non vi sia più spazio per chiedere alle "istituzioni di intervenire per fare giustizia", poiché "la realtà è che i veri responsabili di quanto accade oggi in Italia sono da cercare proprio nelle istituzioni”.

A scoprire le carte è il celebre senatore PD Stefano Esposito che nei giorni scorsi ha chiesto nella Commissione Trasporti del Senato un’audizione urgente dei vertici di Poste. Lo sciopero degli unici sindacati di classe sopravvissuti in questo paese, cioè quelli di base, sta portando una forte preoccupazione proprio dentro le stanze del potere. Questo governo aveva infatti notevolmente investito su un esercito industriale di riserva da mobilitare per abbattere i diritti dei lavotatori e ora se lo vede rivoltarsi contro, ponendo a rischio appalti fondamentali come quello con Amazon, facendo fioccare penali di non poco conto. Abbassare il livello conflittuale dei lavoratori diventa un imperativo per il governo stesso che però si è impegnato a livello politico proprio per incrementarla. Il rompicapo per gli azzeccagarbugli piddini è impossibile da sciogliere poiché schiacciati da un meccanismo più grande di loro che gli impone di fare una politica degli appalti al massimo ribasso incrementando le condizioni di difficoltà dei lavoratori. Il cambio d'appalto che ha interessato per ultimi i facchini dell'SDA di Carpiano è semplicemente lo strumento per esercitare tale compressione salariale che consente di incrementare l'estrazione di plusvalore. Queste condizioni inevitabilmente incrementano malcontento che porta ad un facile innesco di rivolte e scioperi. Infatti, la conflittualità nel mondo della logistica è ormai elevata da anni. Il vero rompicapo per chi è ancora interessato alla lotta della classe operaia semmai è come coagulare tali forze per estendere il movimento di protesta, innescando solidarietà verso tale lotta.

Resta un dato di fatto di non poco conto: con le lotte operaie nella logistica la catena del valore viene colpita nel suo punto più fragile, ossia laddove l'esercito industriale di riserva viene reclutato per trascinare nel baratro della precarietà e della miseria la più ampia massa di lavoratori. Insomma è la chiave di volta che consente di portare a compimento pauperizzazione e sfruttamento anche di lavoratori non direttamente interessati dalle vertenze. Per fronteggiare tali movimenti la legalità borghese viene ampiamente aggirata ricorrendo persino alle squadracce e alle aggressioni dirette. L'impunità è la regola. Le trappole all'ordine del giorno.

Il compito storico resta scoperchiare il vaso di Pandora e rivelare al proletariato di questo Paese come dai bassifondi del mercato del lavoro si parta per destrutturarne sempre di più le fondamenta. Sostenere chi non accetta più di ridursi a carne da macello per sopravvivere è l'unica via per un reale avanzamento dei diritti del lavoro e nella logistica abbiamo una rilevante concentrazione di massa in grado di porsi effettivamente come forza d'impatto.


Dmitrij Palagi

La logistica non è solo un dettaglio organizzativo. Modifica l'organizzazione produttiva e concorre a definire i cambiamenti della geografia del potere (politico, non solo economico). Raramente il sistema di informazione si occupa dei meccanismi alla base della nostra società, confermando l'idea di un'ipocrisia di fondo della nostra società, incapace di interrogarsi sulle implicazioni di uno sconto presentato come "spese di spedizione gratuite". Il fascino della consegna di un prodotto in giornata, l'impulso ad un servizio personalizzato come quello di Amazon, la possibilità di tracciare il pacco... Lo sfruttamento è alla base della nuova società globalizzata e molti sono i settori in cui le condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori si allontanano dalle conquiste del Novecento. Vanno in avanzi i servizi al consumatore, si riducono i diritti del lavoratore.

Nell'ambito della manodopera a bassa specializzazione si paga cara la disattenzione della società. L'organizzazione delle vertenze appare frammentata tra la galassia di sigle extraconfederali e spesso si fatica a comprendere quali equilibri separano un'organizzazione da un'altra (anche se sbaglia chi riduce tutto a banali vicende personali). Non mancano tratti inquietanti rispetto ai "piccoli padroni" (come vengono chiamati i proprietari di furgoni o camion impegnati nel settore del trasporto) o a veri e propri scontri interni alla classe lavoratrice.

Verso la logistica l'atteggiamento diffuso è analogo a quello dei settori progressisti rispetto all'emisfero sud del mondo: qualcuno lo studia con grande attenzione, qualcuno si commuove intorno ad un caso di cronaca, altri preferiscono non guardare. La politica dovrebbe occuparsi in primo luogo dell'economia, essendo oggi il rapporto economico tra i determinanti dell'organizzazione sociale. La logistica è l'ambito prioritario. Però anche in questo ambito la sinistra europea appare drammaticamente assente.

Almeno un paio di titoli consigliati per approfondire: Logistica (Giorgio Grappi, Ediesse, 2016) e Il capitalismo delle piattaforme (Benedetto Vecchi, il manifesto, 2017).


Jacopo Vannucchi

Lo sciopero dei facchini SDA pone in luce tre problemi: l’assenza dei sindacati confederali, i contrasti tra i vari sindacati di base, l’organizzazione produttiva basata sull’esternalizzazione. Quest’ultima è stata introdotta nell’ordinamento italiano come lavoro interinale nel 1997, con il voto favorevole anche di Rifondazione, dal Governo Prodi del rimpiantissimo (dall’allora ministro Bersani, quello che ora chiede l’articolo 17 e ½) Ulivo. Tale tipologia di lavoro in primo luogo applica ai lavoratori un CCNL specifico e distinto quindi dal settore produttivo al quale gli stessi vengono somministrati; in secondo luogo i lavoratori somministrati entrano in concorrenza salariale con i lavoratori del settore; in terzo luogo esiste la concorrenza tra le singole agenzie di somministrazione. Si aggiunga la sostanziale impossibilità di programmazione economico-familiare.

Nel regime lavorativo c.d. post-fordista i sindacati di massa hanno avuto e hanno enormi difficoltà a trovare un proprio insediamento. Ne risulta uno scollamento che manda alla deriva entrambi i soggetti del lavoro: da un lato, tra i sindacati cresce in modo abnorme il peso (numerico, quindi politico!) dei pensionati; dall’altro, i lavoratori (sempre meno qualificati) restano privi di tutela da parte di soggetti con struttura e riconoscimento nazionale. I sindacati di base non riescono a coprire questo vuoto e anzi replicano le medesime mancanze del sistema in cui agiscono, massime la concorrenza intestina. Lo si è visto nel caso SDA in cui una delle due sigle di base ha proclamato lo sciopero dopo che l’altra aveva firmato l’accordo che prevedeva la continuità contrattuale per i lavoratori a seguito del cambio di subappalto.

Da un lato, l’eclatante caso di Ryanair (settore del tutto diverso, ma medesimo principio ispiratore: massimizzazione del profitto tramite la compressione del costo del lavoro) mostra che la ricerca del profitto alla giornata, lasciando da parte i nodi dello sviluppo, tira prima o poi la corda. Dall’altro lato, si sconta l’assenza di un soggetto (sindacale, politico, istituzionale) oggettivamente in grado di farsi carico di questo sviluppo mancato e dirigerlo. Una simile direzione richiederebbe del resto un’uniformità internazionale e un uso di risorse pubbliche tale da essere possibile solo a livello Ue.


Alessandro Zabban

I ceti dominanti stanno vincendo la lotta di classe a danno dei subalterni. L’aspetto ideologico e di interiorizzazione di certi valori aziendalistici ha un peso enorme nello squilibrare il rapporto di forze. Ma ancora più a monte stanno elementi strutturali che hanno a che fare con la riorganizzazione del processo produttivo e di distribuzione della merce. Lo sciopero dei lavoratori SDA ma anche di quelli degli aeroporti toscani mostrano come le logiche della specializzazione flessibile abbiano frammentato e scomposto ogni processo lavorativo che si basa sempre più su un sistema enorme di esternalizzazioni e subappalti che parcellizzano e flessibilizzano la filiera produttiva e con essa anche la vita di chi lavora nel settore che si trova in balia di una concorrenza spietata che peggiora drasticamente le condizioni contrattuali contraendo i salari, flessibilizzando gli orari e precarizzando il lavoro.

Ovviamente questo tipo di organizzazione non permette solo di abbassare il costo del lavoro o di deresponsabilizzare le grandi imprese, ma favorisce anche una maggiore capacità di penetrazione delle attività criminali e lavoro nero. Per i proprietari il guadagno però è anche politico, dal momento che la scomposizione lavorativa rende molto più difficile innescare quelle dinamiche di solidarietà di classe che erano invece favorite dall’ambiente della fabbrica fordista. Lo scontro violento a Milano fra i facchini picchettatori e i corrieri, i quali non guadagnano nulla se non si muove la merce (la diffusione di contratti a cottimo è ormai la normalità) sequestrata dagli scioperanti, mostra ancora una volta che la guerra fra poveri è il prodotto di un sistema organizzativo specificamente disegnato per accrescere i profitti e diminuire la forze delle rivendicazioni dal basso mettendo gli strati meno abbienti l’uno contro l’altro. Frammentazione lavorativa si accompagna a frammentazione sindacale che non solo, come si è visto, si concretizza in una dialettica fra sindacati di base e di categoria ma che si sviluppa anche all’interno degli stessi sindacati di base, indebolendo ancora di più le risicate forze degli scioperanti.

Eppure, nonostante tutti i limiti strutturali che abbiamo sopra descritto, nonostante le contromosse padronali, lo sciopero continua a fare paura e soprattutto, nonostante la retorica della digitalizzazione e del “fare tutto con un click” ha ancora la capacità di creare scompiglio, di minacciare seriamente i profitti delle imprese e la loro stessa sopravvivenza. Il meccanismo organizzativo capitalista non è del tutto privo di falle e lo sciopero non è quella forma di lotta anacronistica e superata come molti, anche a sinistra, hanno voluto pensare. La grande sfida resta quella di saper reagire alla riorganizzazione logistica del capitale con una riorganizzazione delle lotte su base solidaristica.

Immagine liberamente tratta da http://www.cxlogistics.com.sg/services/logistic-service/

Pubblicato in A Dieci Mani
Mercoledì, 01 Febbraio 2017 00:00

Sull'arresto di Aldo Milani

E così dopo i pestaggi, dopo l’uccisione ai cancelli di lavoratori in sciopero travolti dai mezzi in ingresso è arrivato anche l’arresto di un dirigente sindacale nazionale. Roba da ventennio fascista passata totalmente sotto silenzio dai media mainstream.

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Ci sono riusciti. Dopo le botte e le minacce in stile mafioso a rappresentanti sindacali e dopo diversi blocchi forzati da camion, finalmente il padronato della logistica è riuscito ad ammazzare un operaio. E non un operaio dei più innocui, ma un operaio che aveva acquistato coscienza delle proprie condizioni, professore e iscritto all'USB uno di quei sindacati di base che stanno combattendo più duramente le condizioni di sfruttamento nel settore. Le mobilitazioni e gli scioperi spontanei in tutto il Paese sono partiti immediatamente. La solidarietà non è mancata da parte degli altri sindacati di base che si sono immediatamente uniti nel cordoglio e c'è da scommetterci che faranno altrettanto nella lotta. Ciò che vorrei fare in queste poche righe, oltre a rendere omaggio ad Abdelsalam Eldanf, è ragionare sulle ragioni di un tale omicidio.

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Martedì, 17 Febbraio 2015 00:00

Il fuoco sotto la cenere

L'islamofobia che spopola seguendo l'onda lunga dei fatti di Parigi sta ottenendo anche in Italia i suoi discreti risultati, capita così di incontrare vecchie conoscenze come Alan Fabbri davanti ai cancelli della Mirror in lotta, ovviamente schierato dalla parte dei padroni.

Assurto alle cronache nazionali durante il tour elettorale per le regionali emiliane dello scorso autunno dopo l'episodio dell'aggressione all'auto che aveva appena portato in visita al campo nomadi di Bologna sia lui che Salvini, i quali si erano impegnati a perorare la degnissima lotta per la civiltà a colpi di “basta offrire gratis acqua, luce e gas!” che paghiamo “noi” (l'identità padana locale venne chiaramente “nazionalizzata”) a “loro”(i rom in questo caso, ma potremmo includervi ogni altra etnia che accede alle sparute risorse dello stato sociale).

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Nonostante la grande manifestazione del 13 settembre a Piacenza, organizzata dal Si Cobas per il reintegro dei lavoratori licenziati dall'Ikea con 16 pullman venuti da Napoli, Milano, Bologna, Roma, Torino, Brescia, Como, Genova, Ancona, Modena per dire che "Se toccano uno toccano tutti", i licenziamenti politici sono proseguiti.

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L'opinione pubblica li conosce soprattutto per via degli scontri che ripetutamente avvengono davanti ai cancelli Granarolo, dove i picchetti fino a qualche settimana fa si ripetevano ormai con cadenza settimanale. Così, se oggi per molti lavoratori rivendicare il CCNL e il diritto ad essere lavoratori sindacalizzati può risultare un aspetto secondario, superfluo, se non addirittura sconveniente, molte responsabilità vanno attribuite ai mainstream che si dimenticano di riportare le ragioni che stanno dietro agli scontri.

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La chiamano “Madre del loro sfruttamento”, è la Granarolo: l'impresa casearia italiana che dovrebbe dare il latte, ma in realtà come M. Thatcher lo toglie per accumulare profitti privati e lasciarli socialmente inutilizzati, o peggio. Infatti, l'impresa italiana leader nel mondo della produzione lattiera non solo affama i suoi dipendenti e attacca i loro diritti con pratiche illegali, ma applica pure nuove forme di dominio e asservimento della manodopera.

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