Lunedì, 20 Ottobre 2014 00:00

Aggiornamento curdo, per capire la situazione

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Da una settimana a questa parte le forze curde sono passate all'offensiva contro le forze dello Stato Islamico e le notizie più recenti danno Kobanê come liberata o quasi. Il fattore decisivo, viene detto dai media, consiste nell'intensificazione e nella maggiore precisione dei bombardamenti statunitensi. Sembrano parole che spiegano tutto, ma non è così.

All'inizio dell'attacco dello Stato Islamico a Kobanê, a parte la sorpresa e la superiorità militare, determinata dall'uso di carri armati e di artiglieria strappati precedentemente all'esercito iracheno in fuga (a Mosul esso abbandonò, per esempio, il materiale di cinque divisioni, avanzatissimo e tutto fornito dagli Stati Uniti), giocò a danno dei miliziani curdi la mancanza di qualsiasi collegamento con l'aviazione statunitense. In un momento successivo, tuttavia, con la mediazione di strutture dell'Unione Europea le forze curde riuscirono a stabilire un collegamento. Ma, si noti, questo non portò per settimane ad alcun miglioramento, né per quanto riguardava l'intensificazione dei bombardamenti né la loro precisione.

La precisione non è solamente determinata dal fatto che da terra si segnala agli aerei via radio la posizione nemica, perché nel frattempo il nemico ha teso a spostarsi o a disperdersi: occorre che tra terra e aerei ci sia un dialogo continui e, soprattutto, che il bombardamento venga guidato o coguidato da terra, anche perché il passaggio aereo avviene in pochi secondi e non può essere affidato validamente alla manualità del pilota: e questo per settimane non è esistito. Da qualche giorno invece è diversamente che accade. Non solo: da qualche giorno i miliziani curdi dispongono di mezzi anticarro e di artiglieria. La domanda è d'obbligo: perché ci sono volute settimane affinché ci fossero questi rifornimenti, ovviamente portati da elicotteri statunitensi protetti da aerei, e affinché ci fossero militari statunitensi a terra, primo, per istruire i miliziani curdi all'uso di armamenti sofisticati, dati i loro congegni elettronici di tutti i tipi, secondo, per guidare da terra i bombardamenti, dati sempre i congegni elettronici? Tra parentesi: questa presenza è denunciata dallo Stato Islamico, inoltre è semi-ammessa da parte del comando statunitense, quando dice che si tratterà, queste cose, di farle più o meno prossimamente.

Chiusa parentesi. Perché, dunque, un ritardo di alcune settimane, nel corso delle quali Kobanê è stata largamente occupata dallo Stato Islamico, i miliziani curdi hanno corso il rischio di soccombere e quanto restava della popolazione di essere scannata? La risposta è molto semplice: perché nel frattempo gli Stati Uniti stavano tentando di convincere l'infame governo turco, alleato fondamentale dello Stato Islamico, a intervenire contro quest'ultimo, ed erano disposti a fare di  Kobanê merce di scambio.

Tu, Turchia, intervieni e noi, Stati Uniti, ti diamo in cambio una massacrata di curdi, facendo finta di aiutarli. Solo quando gli Stati Uniti hanno registrato definitivamente che la Turchia li stava prendendo per il basso schiena si sono decisi a fare sul serio. Nel frattempo, per di più, alla battaglia di Kobanê stava guardando tutto il mondo, l'eroismo curdo commuoveva tutto il mondo, un mondo che prima ignorava l'esistenza stessa dei curdi si schierava emotivamente dalla loro parte, di quella di ragazzi e ragazze, giovani e anziani, che resistevano ai carri armati quartiere per quartiere e casa per casa dotati solo di armamento leggero: quindi la battaglia di Kobanê era diventata lo snodo psicologico, simbolico e propagandistico decisivo sul quale si giocavano rispettivamente l'immagine di invincibilità militare dello Stato Islamico e quella degli Stati Uniti; per questi ultimi, l'immagine di una superpotenza di cui avere paura o di una ex superpotenza che tutti si possono permettere di spernacchiare. Infatti l'arretramento della presa statunitense presso i suoi fondamentali alleati medio-orientali, è evidente da tempo. La Turchia addirittura si sta permettendo di resistere alle pressioni statunitensi e continua il suo rapporto con lo Stato Islamico. Israele fa quello che le pare in Palestina, anche contro le richieste di moderazione e di trattativa statunitensi oltre che (come da sempre) dell'ONU. Arabia Saudita e Qatar hanno finanziato fino a ieri lo Stato Islamico, e non è proprio detto che pezzi delle famiglie di re ed emiri non stiano continuando a farlo. Dunque per gli Stati Uniti quella di Kobanê è diventata decisiva. Gli Stati Uniti non possono permettersi che venga persa, anche per dare una lezione alla Turchia

Sicché gli eventi hanno ormai chiarito al di là di ogni possibile dubbio la posizione degli assassini razzisti e genocidari del governo fondamentalista islamico della Turchia e dei suoi comandi militari, ormai stretti alleati. Lo Stato Islamico è stato inizialmente pagato e protetto dalla Turchia e tuttora lo è (i suoi miliziani si muovono liberamente in Turchia, i suoi feriti vengono curati negli ospedali turchi, l'intelligence turca gli fornisce informazioni non solo su quando accade sul terreno in Siria e in Iraq ma anche, probabilmente, su quanto pensano e fanno le forze statunitensi, il petrolio appropriato dallo Stato Islamico è venduto tranquillamente in Turchia): e questo è avvenuto e avviene perché i poteri turchi fondamentali mirano, dopo aver concorso a determinare la guerra civile in Siria e il collasso della sua struttura statale e dopo aver fatto esattamente la stessa cosa in Iraq, ad allargare il controllo turco su larghe aree di questi paesi, e se possibile ad annettersele, in particolare quelle che producono petrolio e sono, al tempo stesso, sunnite (il nord-est siriano e, soprattutto, l'area di Mosul nel nord dell'Iraq). Il nazionalismo turco, a lungo gestito dai militari e ora dal partito islamista al potere AKP, si richiama da sempre a obiettivi di ricostruzione in un modo o nell'altro dell'Impero Ottomano e di espansione dell'egemonia turca sulle zone turcofone del Caucaso e soprattutto dell'Asia centrale.

Come andrà a finire è tutt'altro che chiaro. La Turchia ha sopravvalutato la propria forza e rischia l'isolamento e anche difficoltà interne. Gli Stati Uniti sono alla testa di una coalizione caratterizzata da loro alleati alcuni ambigui e il contributo militare di tutti i quali è ridottissimo, né possono operare sul terreno (fatte salve operazioni clandestine assegnate a gruppi ridotti di specialisti), non potendosi permettere di operare a terra in Siria, per il rifiuto del suo governo, considerato tuttora nemico da abbattere, e neppure in Iraq, non essendo questo accettato dal governo (essenzialmente sciita) iracheno (e dal suo alleato iraniano). Paradossalmente gli Stati Uniti sono oggi protagonisti di una guerra in un teatro dal quale cercavano di allontanarsi, dopo avervi condotto due guerre anti-irachene devastanti (l'origine, assieme alla protezione fornita al colonialismo israeliano, del disastro attuale): dovendo reagire all'autonomizzazione pericolosissima di Israele, Turchia, Arabia Saudita, Qatar, dovendo supplire ai disastri siriani del velleitarismo franco-britannico e disponendo come veri alleati reali solo del PKK (posto da essi e dagli europei nell'elenco delle organizzazioni “terroristiche”), del governo siriano e di quello iraniano (alla testa di “stati canaglia”, secondo l'elegante lessico di Reagan e della famiglia Bush).

Più instabile e incerta di così la situazione medio-orientale e la guerra, anzi le guerre, che terribilmente la travagliano non poteva essere. Le poste in gioco sono molte, e si sovrappongono tra loro caoticamente. Oltre che lungo e pericoloso per la pace nel mondo questo travaglio continuerà a proporci cambiamenti e sorprese.

immagine ripresa liberamente da www.indymedia.ie 

Ultima modifica il Domenica, 19 Ottobre 2014 22:27
Luigi Vinci

Protagonista della sinistra italiana, vivendo attivamente le esperienze della Federazione Giovanile Comunista, del PCI e poi di Avanguardia Operaia, Democrazia Proletaria, Rifondazione Comunista. Eletto deputato in parlamento e nel parlamento europeo, in passato presidente e membro di varie commissioni legate a questioni economiche e di politica internazionale.

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