"Non ha vinto l'opposizione, ha vinto la controrivoluzione" tuona Maduro nel suo discorso alla Nazione e non gli si può dare tutti i torti. Del resto, una delle principali cause dell'esito elettorale è da ascrivere alla "guerra economica" che la destra ha intrapreso con crescente vigore, già dal 2013, dopo che i tentativi di prendere il potere in maniera violenta servendosi di gruppi paramilitari e grazie all'appoggio delle potenze straniere, ha avuto esito negativo. Il fallimento del golpe successivo alle elezioni di aprile 2013 ha infatti portato a un netto cambio di strategia da parte delle opposizioni che hanno deciso di sostituire a una destabilizzazione politico-militare, una economica come mezzo per sbarazzarsi della rivoluzione bolivariana e riprendersi la guida del Paese. Protagoniste di questo irresponsabile disegno sono le oligarchie e le grandi catene imprenditoriali private vicine alla destra che controllano la distribuzione di materie prime. Queste ultime vengono occultate o esportate di contrabbando all'estero (in particolare in Colombia) in modo da creare situazioni artificiali di scarsità. Molte di queste merci vengono poi reimportate in Venezuela in dollari americani, ad un prezzo maggiorato, cosa che fra l'altro, determina anche una crescita nella domanda di dollari e crea le condizioni per una inflazione irrefrenabile.
Calcolo cinico quello delle elité economiche venezuelane che momentaneamente sembra aver avuto successo, con il Venezuela che soffre di gravissimi problemi fiscali e deve fare i conti con una inflazione galoppante (124%: la più alta al mondo) e la conseguente perdita di potere d'acquisto dei cittadini, in una congiuntura economica estremamente sfavorevole (si prevede un crollo del PIL del 10% quest'anno) e che vede i prezzi del petrolio, risorsa fondamentale per finanziare le opere pubbliche e i programmi sociali, in forte calo giù da diversi mesi.
Questa grave crisi economica, in cui alle subdole tattiche sovversive dell'opposizione, si sommano gli errori nell'operato di Maduro che non è riuscito a mettere freno alla corruzione dilagante e a differenziare l'economia del paese, ancora troppo dipendente dall'oro nero, è stata indubbiamente il retroterra per un malcontento e una volontà di cambiamento che sembra aver attecchito anche su quella parte della popolazione che ha sempre votato a favore del PSUV e del chavismo.
Come afferma il Prof. Vasapollo, sarà necessario che il chavismo si interroghi seriamente sull'esito di questa tornata elettorale e che moltiplichi gli sforzi per procedere verso una seconda fase nel percorso rivoluzionario che preveda un più deciso programma di nazionalizzazioni (maggiore controllo sul sistema bancario, erodere lo strapotere dei mezzi di comunicazioni delle opposizioni che controllano il 90% dei media, limitare la presenza di gruppi privati nel trasporto e nella distribuzione delle merci, principali responsabili della Guerra Economica).
Resta la consapevolezza, nonostante la narrazione mediatica mainstream, che il Venezuela abbia scritto una pagina di grande democrazia, con circa il 75% della popolazione che si è recata alle urne per eleggere il nuovo parlamento grazie a un sistema elettorale informatizzato molto più efficiente e trasparente di quanto si dica, in cui non si sono registrate irregolarità gravi. L'ammissione di sconfitta di Maduro è stata l'ennesima prova dello spirito democratico da parte del governo chavista. Spirito democratico che invece, molto spesso, le opposizioni di destra non hanno mostrato, usando qualsiasi mezzo, legale e illegale, per cercare di salire al potere e denunciando brogli elettorali in maniera ingiustificata ogni qual volta perdevano le elezioni.
La sconfitta del Partito Socialista in Venezuela è però un'altro terribile colpo inferto alla sinistra sudamericana e arriva dopo il tracollo in Argentina di Cristina Kirchner e l'apertura del procedimento di impeachment nei confronti di Dilma Rousseff in Brasile. Dopo anni di consolidamento regionale, sembra che una nuova ondata controrivoluzionaria si sia abbattuta indiscriminatamente su tutta quella varietà di esperimenti politici sudamericani che, a gradi diversi di intensità, hanno comunque dato via al sogno di un "socialismo del XXI Secolo". Si tratta di un indebolimento della sinistra in America Latina che espone ancora di più il Venezuela, paese con le più grandi riserve di petrolio al mondo, alla irrefrenabile voracità del capitalismo internazionale.