La crisi è spagnola non solo catalana
La richiesta di indipendenza dal regno di Spagna da parte di una maggioranza (o, fino a tempi recenti, forse non esattamente una maggioranza) della popolazione catalana ha motivazioni dirette o indirette non molto diverse da analoghi fenomeni altrove in Europa. Al fondo gioca l’intenzione di tenere per sé, essendo un territorio ricco, il più possibile delle proprie tasse. Giocano inoltre grandi differenze di storia, di cultura e di lingua. E gioca, molto pesantemente, la lunga non encomiabile storia della Spagna sul versante delle popolazioni di lingua non castigliana.
La Spagna e le autonomie regionali: il vero quesito dietro al voto referendario in Catalogna
In queste ultime settimane il dibattito politico europeo ha avuto, insieme alle elezioni federali in Germania, come argomento principale il referendum per l’indipendenza della Catalogna. Il Parlamento catalano e il leader Carles Puigdemont avevano annunciato lo scorso giugno il referendum, il secondo dopo il voto del 2014 considerato dal governo spagnolo come consultivo e non vincolante. Motivo per il quale anche la partecipazione dei catalani al voto era stata deficitaria (solamente il 35 % degli aventi diritto per il quale non fu raggiunto il quorum, 80 % dei votanti favorevole alla indipendenza della Catalogna). In realtà la contesa iniziò nel 2010, quando la Corte Costutizionale annullò la legge varata con un referendum dal governo di Zapatero che regolava i rapporti tra stato spagnolo e autonomia regionali.
Risultato elettorale ampiamente previsto, quello che arriva dalla Catalogna, meno prevedibili saranno gli scenari che interesseranno la regione nell'immediato futuro.
A scrutinio quasi concluso la coalizione attualmente alla guida della Generalitat Junts pel sì (composta dai moderati di Convergenza Democratica - orfani dei meno separatisti di Unione Democratica - e dalla sinistra di Esquerra Republicana de Catalunya, uniti in funzione indipendentista al di là delle divergenze ideologiche) ha ottenuto 62 seggi (sui 135 del locale parlamento), che sommati ai 10 (dai 3 uscenti) della lista Candidatura d'Unitat Popular (movimento senza leader che raggruppa molte sensibilità della sinistra indipendentista), assicurano al fronte indipendentista la maggioranza nel Parlament. In crescita l'affluenza (oltre sei punti in più rispetto alle scorse consultazioni), in quello che la propaganda indipendentista ha definito “il voto della tua vita”.
Seconda lista (si vota con il proporzionale e le liste bloccate) quella dei Ciudadanos, formazione di centro-destra recentemente cresciuta nella propaganda anti-corruzione, e sulla quale si è concentrato buona parte del voto anti-indipendentista. Alla formazione guidata da Albert Rivera vanno 25 seggi (9 i consiglieri uscenti).
Al terzo posto il PSOE (16 seggi), formazione politica che si è già liberata, negli scorsi anni, di quei socialisti favorevoli all'indipendenza, e che localmente propone, in sostanza, una autonomia ancora maggiore ai catalani. Dietro la formazione guidata da Iceta, si piazza la composita lista unitaria della sinistra Catalunya, sì que es pot. La lista, composta dalla locale federazione di Izquierda Unida (comprendente a sua volta i comunisti catalani del PSUC-viu), Podemos e ICV (i verdi catalani), con 11 seggi presidia uno spazio politico a sinistra ma non cresce, contrariamente a quanto era avvenuto pochi mesi con le vittoriose comunali di Barcellona. Al contrario la sinistra perde due seggi rispetto alle precedenti consultazioni, nelle quali era presente unicamente Izquierda Unida (appare dunque scarso il contributo del partito di Iglesias in queste elezioni).
Estremamente probabile che il mancato decollo del listone della sinistra sia attribuibile alla sofferenza che la sinistra nazionale spagnola ha sempre avuto rispetto alle varie spinte indipendentistiche che attraversano il Regno dei Borbone (non soltanto nel caso catalano, ma anche, ad esempio, in quello basco). L'appiattirsi di tutta la discussione politica catalana sul tema dell'indipendenza ha, con ogni evidenza, polarizzato il voto, penalizzando chi come Podemos ed IU non ha preso una posizione definita sul tema (limitandosi ad affermare il diritto ai catalani ad un referendum).
11 seggi il Partito Popolare, che ne lascia per strada otto rispetto al 2012. Non sono infatti bastati gli appelli anti-indipendensti di Obama e Merkel, nonché la chiusura della campagna elettorale con la presenza dell'ex presidente francese Sarkozy per compattare il voto “spagnolista” sull'ex sindaco di Badalona Xavier Garcia Albiol.
Acquisito il risultato si proporranno, fatalmente, le incognite sul destino prossimo della Catalogna. Scontato che altre spinte indipendentiste (baschi, galiziani) otterranno maggiore legittimità dai risultati usciti dalle urne di Barcellona, sarà inevitabile un irrigidimento del governo centrale rispetto ai passi, già indicati dal capo della Generalitat Artur Mas, verso l'indipendenza.
Già in passato, la corte costituzionale di Madrid aveva tolto ogni legittimità alla consultazione indipendentista (che ebbe largo sostegno popolare, in primo luogo dai sindaci) ed alle altre prove di forza verbali rispetto allo statuto catalano (come l'inserimento del concetto di nazione catalana). Altre tensioni potrebbero interessare il complesso dei “paesi catalani” - definizione politica dentro la quale stanno insieme anche Valencia ed un pezzo (La Franja) di Aragona - stretti tra spinte di unione con la Generalitat (impossibili per l'attuale Costituzione spagnola) e sofferenze per la supremazia di Barcellona (recenti, in tal senso, le polemiche suscitate tra Valencia e Barcellona per le parole del Consigliere alla Giustizia della Generalitat Germà Gordó, per il quale "la costruzione di uno stato non deve far scordare la nazione intera").
Rimane inoltre da capire, e gli ultimi comunicati della Commissione non aiutano a capirlo, i rapporti tra una Catalogna indipendente e l'Unione Europea.
Quel che è certo è che dentro l'attuale Europa sono sempre più le insofferenze (di destra, di sinistra e di centro, come nel caso di Mas) verso diversi stati nazionali (i casi più clamorosi riguardano Scozia e Belgio) e che non sarebbe più così sorprendente trovare tra qualche anno una Spagna priva del 16% della sua popolazione e del 25% del proprio PIL.
Verguenza
Riapre i battenti la stagione sportiva, per lo sport più seguito nel mondo, nuovamente ai nastri di partenza con l’inizio di tornei nazionali e coppe internazionali. Il calcio sport con una missione sociale notevole (troppo spesso lo dimentichiamo) torna a prendersi la scena. È inutile, forse banale ricordare però la perdita di valori presenti all’interno di questo sport. Caduta libera direttamente proporzionale al giro dei soldi aumentato, vertiginosamente, in questo sport nell’ultimo trentennio.
La cornice che racchiude lo sport del pallone non è bellissima: oltre all’annoso caso della violenza negli stadi (fattore esasperato da intromissione di frange delle ultradestre nazionali all’interno delle curve), ogni anno viviamo di scandali differenti come calcioscommesse e partite truccate per favorire l’una o l’altra squadra.
Anche gli organismi governativi del calcio non sono esenti da colpe. Al netto di pubblicità che invitano al rispetto e alla correttezza infatti, un organismo sportivo ma anche (e soprattutto) politico come la Fifa mostra il suo lato peggiore condito dal malaffare e dalla corruzione, elementi disdicevoli che in prima fila vedono protagonista l’ex presidente; Sepp Blatter.
Rimanendo in ambito continentale, in Europa l’organismo di governo del calcio, la Uefa (presieduta da Platini ndr) non è sicuramente di meno in quanto a figuracce. Tralasciando il discorso sul Fair play finanziario, mezzo poco utile a mi parere per pervenire gli eccessi e le speculazioni di presidenti dal portafoglio infinito ingigantito dai petro-dollari (o petro-rubli) il problema, se mi è concesso, si sposta sul lato della discriminazione. “No To Racism”, slogan che campeggia ovunque all’interno delle kermesse della Uefa, dalla Champion’s League alla Europa League, il problema è la vera “applicazione” di una frase, all’apparenza così pregna di significato. I casi non sono isolati, a testimonianza di un mal costume e di ignoranza recondita nel giudicare problematiche politiche europee.
Qualche hanno fa fu la volta dei tifosi scozzesi del Celtic, multati per avere esposto durante una partita europea l’effige di Bobby Sand dal Nordstand di Celtic Park. Bobby Sands personaggio celebre ed eroe dell’indipendenza irlandese. I tifosi del Celtic legati storicamente alla terra color smeraldo, subirono infinite critiche e l’Uefa ( in linea con politiche europee di repressione ) multò pesantemente la squadra bianco-verde di Glasgow. Pochi mesi fa è stato il turno del Barcellona, con una sentenza e una multa arrivata nell’ultimo mese. L’antefatto è il palcoscenico europeo calcistico più importante, la finale di Champion’s League a Berlino tra i catalani e la Juventus.
I blaugrana incassano una multa salata dalla Uefa per le "esteladas" in mostra nell'ultima finale di Champions League.
La Corte Disciplinare della UEFA ha deciso di sanzionare con 30.000 euro di multa il club a causa della presenza, ritenuta "eccessiva" dalla confederazione continentale, delle bandiere catalana. Non è piaciuta l’“ostentazione” di identità e la Uefa rifacendosi all'articolo 16 del proprio statuto motiva la propria punizione così: "l'uso di parole od oggetti per trasmettere qualunque messaggio che non riguardi lo sport, e concretamente quelli politici, ideologici, religiosi, offensivi o provocatori".
Provocatori? Offensivi? Da tempo immemore ho constatato in curve e altri settori le apparizioni di simboli chiaramente legati al nazi-fascismo; dov’è in questo caso l’applicazione dell’articolo 16 ( per fortuna per il caso della svastica di Italia-Croazia si è intervenuti ndr)?
Il Barcellona ha rischiato pene anche più severe, poiché è prevista fino alla chiusura dello stadio ma qualcuno negli uffici di Nyon si è mai chiesto cosa sia veramente diffamatorio e offensivo? Il mondo del calcio è malato, da tempo e la soluzione che spesso viene data alla problematiche dirimenti è quella di reprimere comportamenti più o meno distesi e lasciare scivolare invece il più delle volte situazioni disdicevoli.
Se il calcio è un veicolo sociale, che lo sia fino in fondo, senza dietrologie e altre trame. Il pallone che rotola ha fatto innamorare generazioni su generazioni, lasciamo che la passione sia libera di seguire il verde di un prato.
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