Dinanzi allo sfacelo e alla confusione della politica in Italia è utile e necessario approfondire l’analisi del quadro economico e non solo fatta dagli istituti di ricerca e statistica. È utile perché permette di staccarsi dalla polemica politica quotidiana (vana e putrescente, vissuta da una ristretta cerchi di tifosi) e necessario perché, numeri alla mano, si può cercare di capire dove stiamo andando.
Euclid Tsakalotos: crisi, Syriza e governo
Euclid Tsakalotos ha scritto qualche anno fa un libro (Crucible of Resistance. Greece, the Eurozone and the World Economic Crisis, Pluto Press, con Christos Laskos), a metà fra il saggio di politica economica e la ricostruzione della storia politica greca recente) che troviamo molto utile per ragionare sulle difficoltà di una politica alternativa a quella della Trojka. Il libro precede la vittoria di Syriza del 2015, anche se quando è stato scritto già si poteva intravedere la sua prossima ascesa al governo, e quindi precede la nomina dello stesso Tsakalotos a Ministro dell’Economia, tuttora in carica, in successione di Varoufakis.
In quest’ultimo volumetto di un centinaio di pagine il nostro Tito Boeri, Presidente dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, dà la stura ai peggiori pregiudizi in circolazione sul populismo, motivandoli con argomentazioni da alta élite tecnocratica. La prima impressione che si ha, giungendo all’ultima pagina del libercolo, è di aver appena letto un diario delle giovani marmotte scritto appositamente per mettersi in mostra davanti al capo. E in effetti questo pamphlet edito da Laterza serve proprio per accreditare il nostro Presidente quale responsabile amministratore delle finanze sociali del Paese agli occhi della tecnocrazia europea. Per finanze intendo sempre quelle sociali, beninteso, perché quando si parla di finanze pubbliche in materia bancaria e militare l’unico verbo che i nostri governanti conoscono è scialacquare e le élite tecnocratiche cessano ogni rigidità, dimostrando come anche la loro tecnica sia politica.
Ma approfondiamo un po’ l’analisi del libretto di Boeri. Per chi, come il sottoscritto, sia un discreto appassionato di storia si può notare come già dalla premessa vi sia una forte connotazione ideologica a permeare il Presidente del nostro Istituto. Infatti il nostro parte con la metafora dell’Unione Europea che come il ciclista partito agilmente col crollo del Muro di Berlino è infine giunto negli ultimi anni ad arrancare in maniera bestiale, con la lingua di fuori a rasentare il terreno sbandando da una parte all’altra della carreggiata pur di continuare sulla via del traguardo. Insomma, il messaggio che sin dalla premessa il Presidente vuole trasmetterci è che siamo partiti alla grande abbattendo le frontiere della terribile dittatura sovietica, ma stiamo ancora pagando politiche errate che ci stanno portando a rallentare e a faticare sempre più. In questa salita sempre più eroica verso la perfetta integrazione europea davanti ai nostri occhi si palesa finalmente il vero nemico: il populismo! Nientemeno quale sarebbe, di grazia, la luciferina missione di tale belva? Il Presidente ce lo spiega in poche righe, ossia «la possibile affermazione di partiti che offrono un messaggio semplice quanto pericoloso: interrompere il processo di integrazione europea e chiudere le frontiere agli immigrati, per meglio proteggere le persone più vulnerabili dalle sfide della globalizzazione»1. Descritta così tale missione più che arcigna sembrerebbe vigliacca: prendersela con i più deboli per paura di soccombere di fronte alla globalizzazione. Per fortuna che il nostro Presidente è alquanto impavido ed è disposto a farci affrontare a testa alta le sfide della globalizzazione, sicuro di una vittoria anche per gli ultimi. E infatti, poche righe dopo ci spiega come intende salvare gli ultimi: facendoli emigrare. Infatti, per il nostro, il pericolosissimo messaggio populista «toglie soprattutto ai giovani la migliore assicurazione sociale contro la disoccupazione di cui oggi possano disporre». Quanta grazia Presidente! Forse lei, caro Presidente, non ha mai sentito il detto “dai nemici mi guardo io, dagli amici mi guardi Iddio” ma cotanta preoccupazione per la disoccupazione da parte di un Presidente di un Istituto di Previdenza Sociale statale dovrebbe riverberarsi in ben altre raccomandazioni da codeste: armatevi di bagagli e partite. Magari i contribuenti che hanno versato una parte cospicua del loro salario per tanti anni nelle casse statali speravano che vi fossero forme di assistenza più decorose di un sonoro “arrangiatevi”.
Ma diamine che pretese! Del resto ce lo spiega lei a suon di grafici che il contesto è mutato e dal welfare state si è passati al workfare state, dunque al bando i sogni populisti e sotto a fare i camerieri a Londra se non volete restare dei laureati disoccupati. Non pensiate, per carità, che il Presidente stia svolgendo arcigni ragionamenti. In verità è mosso da bontà di cuore perché sa di dover fronteggiare esodi. Ce lo dimostra con i grafici degli italiani emigrati in seguito alla crisi del 2008.
Egli però è altrettanto consapevole della gravità degli esodi in ingresso e da buon internazionalista ci tiene a non far mancare la solidarietà ai nuovi arrivati, relegandoli e sussidiandoli. L’integrazione perfetta, mica per niente il buon Boeri è un economista che guida un Istituto Sociale, tiene sempre un’occhio al portafoglio e uno alla comunità.
Siccome poi è uomo di cultura che ha letto Aristotele, Tocqueville e Montesquieu ci delizia di quanto sia pericolosa una democrazia diretta rivolta ad annientare i corpi intermedi, quindi votate i populisti e avrete l’oclocrazia sentenzia tra le righe Boeri. Il problema postdemocratico ovviamente neanche lo sfiora, lui è preoccupato dai totalitarismi e anche restassero in tre a votare per lui la situazione sarebbe perfetta poiché si avrebbe comunque un vincitore a maggioranza semplice.
Il volumetto si conclude con una proposta costruttiva del Presidente, una grande proposta progressista rivolta a salvare il tragico destino dell’Europa. Siccome nel suo delirio liberista l’immigrato non è solo un poveraccio in fuga, ma una risorsa umana che cerca di rivalorizzarsi e con l’aiuto della mano invisibile di Smith ci riesce, allora l’immigrazione acquista una funzione salvifica anche per le imprese in crisi rendendole più competitive. Peccato che tale competitività si sia manifestata con la compressione salariale e dunque l’ottimo paretiano sia lungi dall’esser raggiunto.
Egli è pur sempre un Presidente dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale responsabile in cerca di accreditamento verso le élite tecnocratiche europee, quindi la sua primaria preoccupazione è costituire una valida «assicurazione contro la disoccupazione» in questo mercato imperfetto detto volgarmente capitalismo. Dunque, quale migliore assicurazione alla disoccupazione che il «cercare lavoro nei paesi che offrono migliore opportunità d’impiego»? Come ci spiega accuratamente, con un ragionamento da vero Presidente dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale: «è un’assicurazione contro la disoccupazione che ha, peraltro, il vantaggio di alleggerire la pressione fiscale sui bilanci nazionali. Chi si sposta e trova lavoro altrove rende il finanziamento dello stato sociale meno oneroso, non rendendo più necessari i trasferimenti destinati a chi perde il lavoro». Tutto molto giusto Presidente, però a questo punto il ragionamento, senz’altro populista, porterebbe a dire che occorrerebbe rimuovere l’aggettivo Nazionale dall’Istituto che presiede. Infatti, il Presidente che di logica lineare se ne intende arriva a proporre nell’ultimo capitolo una vera e propria «infrastruttura europea per i contributi». Allora sì che avremo l’unità europea tanto auspicata: dopo l’unione monetaria senza l’unità politica anche una bella unione contributiva.
1 T. Boeri, Populismo e Stato Sociale, Roma-Bari, Laterza, maggio 2017, p. 1
La guerra può attendere: la crisi in Corea e il caos del Sud-Est Asiatico
Dall’inizio dei nuovi test missilistici da parte della Corea del Nord, l’allarmismo sfrenato dei media occidentali (con un notevole contributo di quelli italiani) ci ha catapultato nell’ultimo film di James Bond con il volto di Pierce Brosnan “La morte può attendere”. Senza il potentissimo satellite-arma Icarus, ma con la minaccia nucleare che grava sugli Stati Uniti e suoi loro alleati.
Nel luglio 1979 l’allora Presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, tenne un discorso alla nazione in cui parlò della “crisi di fiducia” che stava colpendo il Paese.
Alla chiusura degli anni Settanta, con la sconfitta in Vietnam, lo scandalo Watergate, due shock petroliferi (di cui il secondo in pieno svolgimento), gli Stati Uniti vedevano appannarsi non soltanto la propria proiezione imperiale ma anche il nerbo industriale che da decenni nutriva il sogno americano. Quel sogno si era già deformato in un grottesco incubo: «L’identità umana», ammonì Carter, «non è più definita da ciò che uno fa, ma da ciò che uno ha. Ma abbiamo scoperto che avere cose e consumare cose non soddisfa il nostro desiderio di significato».
I signori della cenere: una distopia per spiegare il presente
Per capire la crisi economica iniziata “ufficialmente” nel 2008 può esserci utile la figura dello wanax, figura apicale della civiltà micenea? Il collettivo Tersite Rossi ne è convinto, proponendo un romanzo capace di affondare la descrizione della società contemporanea attraverso un articolato complesso narrativo, dal ritmo avvincente e capace di non disperdere il lettore tra i numerosi livelli proposti. La società umana trapela nello scorrere dei secoli in una sorta di ciclica affermazione di dominio e violenza, progressivamente sempre più forte nel rimuovere ogni forma di dissenso. Gli autori, al loro terzo romanzo, optano per un presente distopico come contesto, scegliendo ampie coordinate geografiche (New York e Firenze, tra le altre capitali del globo) e un vasto orizzonte culturale da cui attingere (antropologia, sociologia, scienze economiche, accompagnate da citazioni di Guerre Stellari). L’apparente ineluttabilità delle condizioni in cui viviamo emerge nelle pagine con una veste oscura, trasmettendo un’inquietudine in grado di far dubitare anche i più convinti sostenitori della storia come percorso di progressiva evoluzione.
Al degrado della politica americana che traspare ormai in mondovisione con l’ultima campagna elettorale corrisponde un eguale degrado sociale che anche alcuni conservatori come Nicholas Eberstadt non rinunciano a indagare. Anche questi studiosi sono ormai seriamente preoccupati per la pessima piega presa dall’economia americana che, nell’inseguire una crescita economica sempre più difficile e asfittica, si sta lasciando dietro buona parte della Nazione in quello che viene definito un “esercito di invisibili” confinati nell’inattività.
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