Martedì, 15 Novembre 2016 00:00

Men without work: un esercito di invisibili negli Stati Uniti

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Al degrado della politica americana che traspare ormai in mondovisione con l’ultima campagna elettorale corrisponde un eguale degrado sociale che anche alcuni conservatori come Nicholas Eberstadt non rinunciano a indagare. Anche questi studiosi sono ormai seriamente preoccupati per la pessima piega presa dall’economia americana che, nell’inseguire una crescita economica sempre più difficile e asfittica, si sta lasciando dietro buona parte della Nazione in quello che viene definito un “esercito di invisibili” confinati nell’inattività.

Eberstadt nel suo ultimo lavoro Men without work: America's Invisible Crisis, indaga la “catastrofe” dettata dal “collasso del lavoro maschile”. Dati alla mano riporta come il tasso di occupazione (Employment Population Ratio) per i maschi americani nella fascia d’età 25-54 anni sia più basso  del minimo storico toccato nel 1940 negli anni seguenti alla Grande Depressione. Così “nel 2015, il 22% degli americani di sesso maschile di età compresa tra i 20 e i 65 anni non risultava occupata e il tasso di occupazione per questo segmento della popolazione era del 12,5% inferiore a quello del 1948”. Insomma, ad oggi negli Stati Uniti circa 1/4 della forza lavoro maschile, circa 10 milioni di persone, risulta completamente escluso dal mondo del lavoro

Ma i dati snocciolati da Eberstadt risultano ancora più gravi se si verificano le condizioni effettive di impiego della forza-lavoro maschile, dove emerge un altro esercito, questa volta fatto di working poor. Da questi dati sul sistema americano che partono dal secondo dopoguerra per attraversare i “trenta gloriosi” e arrivare ad oggi non può non emergere la contraddizione intrinseca di ogni sistema capitalista: laddove crescita significa crescita dei profitti il lavoro salariato e i salari tendono a ridursi.

Il sottoutilizzo delle cosiddette risorse umane e i problemi di mismatch nel mercato del lavoro diventano fattori strutturali in un tale sistema anarchico.  

Un quadro che inevitabilmente scredita le ricostruzioni degli anni passati che associavano la crescita economica all’incremento continuo della qualità della vita. Se la bassa partecipazione al mercato del lavoro e l’aumento del tempo libero potevano essere inquadrati come conseguenze benefiche della prosperità di massa, dall’analisi di Eberstadt ciò risulta impossibile. Infatti a una caduta verticale nei redditi da lavoro si accompagna un sistematico aumento dell’età di ritiro dal lavoro. E gli Stati Uniti non fanno che guidare la classifica dei paesi occidentali con minor partecipazione al mercato del lavoro, mettendosi alle spalle anche paesi stigmatizzati come la Grecia.

Ovviamente la scelta dell’autore di concentrarsi sulla forza-lavoro maschile è ponderata e rivolta a mettere in risalto l’effetto sostituzione avvenuto sotto la pressione dell’innovazione tecnologica con lo sviluppo di tecnologie “labor saving” e della globalizzazione. Inoltre, nell’ottica di lungo periodo adottata da Eberstadt si tiene conto anche dell’ingresso del lavoro femminile nel mercato, non mancando però di sottolineare come anche questo segmento sia ormai entrato in piena fase di stallo da parecchi anni (almeno dagli anni Novanta). 

Spostando il focus sul tempo di permanenza nella condizione di inattività risulta un incremento notevole nell’ultimo ventennio. Infatti, se nel 1994 i giovani che risultavano esclusi dal mercato del lavoro per tutto l’anno erano il 50%, nel 2014 tale tasso ammontava al 68%. Per quanto riguarda invece l’utilizzo del tempo libero, i cosiddetti Neet, restano invischiati per lo più nell’alternanza tra lavoro sociale e fuga dal mondo reale. Laddove gli “scoraggiati” arrivano ormai a superare i disoccupati, l’arrendevolezza diventa una trappola che pregiudica la vita. Ecco quindi subentrare la fuga dal reale e l’aumento del tempo dedicato a svaghi passivi e la diminuzione del tempo in cui si è socialmente attivi. Un blog attento a queste tematiche che, non a caso, parla del lavoro di Eberstadt così descrive questi fenomeni: “Si potrebbe ipotizzare che l’assenza di ruolo e dell’inserimento sociale che questo comporta ‘cattura’ la mente, disattivandola, e induce alla fuga compensativa nei molti dispositivi edonici a basso prezzo che il mercato offre. Il ‘vuoto’ si riempie di nulla” (tempofertile.blogspot.it).

L’associazione tra criminalità ed esclusione dal mercato del lavoro si rivela poi sempre più stretta. La risposta politica a tale problema sociale diventa estremamente repressiva, con la costruzione di un gigantesco sistema carcerario che comprende un quarto della popolazione carceraria mondiale. Il numero di persone passate per il sistema giudiziario americano, in vorticoso aumento dai 16 milioni del 2004, ai 20 milioni del 2010, fino ai 23 milioni del 2016, conferma l’essenza di una crisi economica divenuta una vera e propria crisi sociale che mina alla base le stesse condizioni di coesistenza civile fino ad oggi conosciute.

Ultima modifica il Mercoledì, 16 Novembre 2016 15:39
Alex Marsaglia

Nato a Torino il 2 maggio 1989. Laureato in Scienze Politiche con una tesi sulla storica rivista del Partito Comunista Italiano “Rinascita” e appassionato di storia del marxismo. Idealmente vicino al marxismo eterodosso e al gramscianesimo.

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