Lunedì, 25 Febbraio 2013 00:00

Elezioni: come rane in una pentola di acqua

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Immaginate una pentola piena d’acqua e dentro una rana che nuota tranquillamente..”. All’inizio la bestiola non si lamenta, anzi, ci sta bene, forse è persino appagata da quel caldo soffuso che la pervade. Ecco però che il caldo si fa più cocente, l’acqua comincia a scottare, sempre di più e la rana non lo sopporta più quella vampata di calore che l’avvolge e pian piano la soffoca. Con tutte le sue forze prova a saltare fuori dalla pentola ma il caldo le ha dissipato tutte le energie, ha “corroso” tutta la sua potenza al salto, alla fuga da quella prigione assassina.

Così la rana finisce bollita senza quasi essersene accorta, se non troppo tardi, quando ormai non può fare più nulla per sfuggire a quella lenta morte. Questa, in breve, è l’incipit della favola tratta da “La ranocchia che finì cotta senza accorgersene. E altre lezioni di vita”, di Olivier Clerc, scrittore e filosofo, nato nel 1961 a Ginevra. Ovviamente non si tratta solo di una macabra e crudele fiaba per bambini, ma di una metafora. Una metafora quasi agghiacciante o grottesca che ci riguarda: noi tutti, chi più chi meno, siamo come quelle ranocchie, prigionieri senza rendercene conto di pentole che pian piano ci soffocano e ci cuociono a fuoco lento.

Secondo Clerc noi dobbiamo prendere consapevolezza della nostra realtà, con la partecipazione, il senso critico, la libertà di pensiero e di coscienza. Dobbiamo renderci conto in ogni momento, che quella deve essere l’occasione buona per saltare fuori dalla pentola e vedere – anziché solo guardare – ciò che ci circonda, provare a comprenderne le dinamiche, le storture, le ingiustizie ed esserne attivamente parte per cambiare ciò che non va, “libertà è partecipazione” cantava il grande Gaber. Bisogna stare fuori, non dentro le pentole per poter esserci nella nostra realtà, per contribuire al suo miglioramento, per denunciarne le ingiustizie, per lottare per ciò che ci è di diritto, per non rimanere passivi a farci cuocere da esso come sta facendo.

Il nostro contesto, sociale, politico, ambientale peggiora a poco a poco, a volte in maniera subdola e impercettibile e noi non ce ne accorgiamo se non quando quello scenario in cui ci ritroviamo rinchiusi si fa evidentemente terribile e drammatico. Siamo rimasti a galleggiare, poi ad annaspare, poi a cercar invano di saltar fuori da quella pentola che diventava sempre più insopportabile. Ma troppo tardi. La nostra pentola, la nostra società ha avuto modo di diventare corrosiva e di rovinarci. Stavamo galleggiando tranquillamente mentre qualcuno per più di vent’anni ha attentato alla democrazia, ha contraffatto le leggi in nome della sua immunità personale. Siamo rimasti ciechi e sordi dentro le nostre pentole d’oro ma pericolosissime, mentre assistevamo ignari e indifferenti, come spettatori distratti di un film che non ci riguarda, alla bieca degenerazione verso una società spettacolo, una società sempre più basata sull’apparenza e non sull’essenza, una società che vuole solo comprarti o venderti tutto quello che riesce a inventare. Che vuole comprarti anima, corpo e cervello e tu aspetti solo di esser sedotto dal potere mediatico e non solo che mentre ti alletta ti svuota, totalmente. Siamo rimasti impassibili di fronte allo sfacelo della scuola e dell’università pubblica – che di pubblico adesso ha ben poco, considerate le rette e le tasse che non tutti, anzi ormai pochi, possono permettersi – martoriate da tagli sempre più pesanti.

Ancora non annaspavamo mentre numerose e intercambiabili “mani di forbice” accettavano (nel senso di usar l’accetta) i fondi alla ricerca, condannando un paese a rimanere allo stato di “santa asinità”, per usare il termine di Giordano Bruno. Destinandolo a rimanere nella minorità mentale, per dirla con Kant, impedendogli di fare una crescita di qualità e di eccellenza, grazie a ciò che più dovrebbe arricchirlo, l’istruzione, la ricerca, lo studio.

Continuavamo a sguazzare nell’acqua calda – forse non ci sembrava ancora bollente – mentre la nostra “pentola” stava diventando sempre di più un unico blocco di cemento, senza uno spiraglio di verde, senza più alberi sotto cui riposarsi, senza più animali liberi di scorrazzare all’aria aperta, nei loro habitat. E ancora sembriamo non accorgerci della spietatezza che usiamo contro di loro, quando li rinchiudiamo in gabbie millimetriche, stile lager e li abbuffiamo fin quasi a farli scoppiare, per la nostra voracità insaziabile, così come non ci rendiamo conto di quanto stiamo violentando la nostra terra, abbrutendola e torturandola costruendovi ovunque, facendo opere inutili che oltre a deturpare il suolo o a renderlo sempre più potenzialmente pericoloso togliamo un sacco di soldi che potrebbero essere investiti in opere di maggior utilità.

Non abbiamo lottato nemmeno molto in nome dell’amore. Quell’amore, che dovrebbe esser la cosa più bella e sana di questo mondo, che unisce coppie di fatto o coppie omosessuali, a cui il diritto più ovvio e scontato, come quello di potersi amare “legalmente” viene negato. La pentola però ha cominciato a scottare quando ci siamo resi conto delle bugie con cui per troppo tempo ci hanno preso in giro; quando ci siamo accorti che moltissimi di coloro che dovrebbero essere la nostra guida, rubano e fanno accordi con le associazioni mafiose, che controllano i giornali, le televisioni, censurano pensieri o addirittura persone, considerate diverse e prive di diritti. L’acqua ha cominciato a bruciare quando hanno distrutto ciò che ci sembrava più sacro: il lavoro.

E adesso molte ranocchie agonizzano, qualcuna annaspa, qualcuna è come morta, privata di uno dei diritti imprescindibili. E queste ranocchie con tutte le forze cercano di saltar fuori da quel pentolone pieno di acqua bollente che le sta torturando, gli sta strappando le energie ma non la voglia di lottare e di uscire da quella gabbia. Però se queste ranocchie non vengono aiutare saranno destinate a soccombere dentro la pentola. Perciò noi, tutti noi cittadini, oggi possiamo dare un piccolo aiuto a quelle rane, a tutti i noi che se ancora non sono agonizzanti stanno annaspando, in cerca di quel fuori, di quel futuro, che possa liberarci.

Per questo sono importanti le elezioni, perché con il voto noi rane usciamo fuori dal pentolone e ci esprimiamo, ci rendiamo visibili e presenti, partecipiamo, saltiamo fuori e facciamo vedere che ci siamo. Che esistiamo. Oggi, con il nostro voto, facciamo sì che il nostro gracchiare possa diventare una voce, forte e decisa, per dire che non vogliamo più rimanere immersi fino al collo dentro una pentola di acqua bollente, ma vogliamo una società che smetta di soffocarci, di ucciderci lentamente, brutalmente o impercettibilmente. Chi ancora oggi rimarrà a casa, forse rimarrà per sempre una ranocchietta che si lascia cuocere a fuoco lento.

Rimane addormentato sul fondo della pentola, giace mente intorno il mondo si agita, mentre intorno il mondo la chiama, perché anche lei balzi fuori e risponda, e chieda, e parli, e gridi. Oggi e domani abbiamo l’occasione preziosa e imperdibile per smettere di annaspare, almeno con la speranza. Con la speranza che da lunedì qualcosa possa cambiare.

Chiara Del Corona

Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.

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