Giovedì, 17 Aprile 2014 00:00

Quando ad allarmismo si unisce malafede

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Sebbene la circolare a riguardo del Ministero della Salute risalga al 04.04.2014 (DGPREV.III/P/I.4.c.a.9) la notizia di una nuova epidemia di Ebolavirus in Africa equatoriale ha iniziato a diffondersi solo una settimana dopo nel nostro Paese1 determinando, come in realtà prevedibile, una bella ondata di isterismo. Tra cui, in mezzo a tante fonti più o meno informate, spicca una lettera aperta di una Madre Italiana (le maiuscole sono sue) disponibile a questo indirizzo. Come si può vedere dall’indirizzo, già a partire dal nome la testata libera che pubblica questa lettera si configura come un progetto di alta cultura, ma non è questo, almeno per ora, l’obiettivo di questa nota. L’Ebolavirus è responsabile di una patologia grave quanto incurabile, con un’alta incidenza di mortalità, ed è legittimo essere preoccupati della sua diffusione. Tuttavia vorrei portare alcune riflessioni a supporto dell’ipotesi dell’OMS – dopo aver rapidamente riepilogato il decorso dell’epidemia finora.

L’epidemia è iniziata in Guinea nel febbraio 2014; da allora si è rapidamente espansa fino alla capitale della Guinea, Conakry, un importante centro economico, al cui livello sono rapidamente aumentati i casi, e da cui si suppone l’epidemia abbia coinvolto anche la Liberia. Singoli casi di febbre emorragica sono stati segnalati per la Sierra Leone e per il Mali, anche se per ora si sospetta soltanto del virus, mentre il caso di una bambina di 12 anni in Ghana, morta anch’essa per febbre emorragica, citato nella lettera di cui sopra, si è rivelato non essere riconducibile ad Ebolavirus2. Al 10.04.2014 (statistiche più recenti che sia riuscito a trovare) i casi accertati in Guinea sono 157 (110 morti) e in Liberia 22 (14 morti). Il ceppo responsabile dell’epidemia sembra essere il ceppo Zaire, quello che presenta la mortalità più alta (in media dell’83%, con picchi del 100%). Sembrerebbe quindi che le preoccupazioni siano giustificate, quindi? In realtà non particolarmente, per due motivi, uno contingente all’epidemia in corso, uno a carattere più generale.

Le caratteristiche dell’Ebolavirus, e in particolare la sua elevata mortalità, sono spesso state citate come esempio di un virus troppo funzionante per avere realmente successo: di fatto, i focolai di ebola si diffondono molto difficilmente proprio a causa dell’estrema virulenza e mortalità del virus: le persone non hanno materialmente il tempo di diffondere il patogeno. Consideriamo alcuni elementi:

1) Il periodo di incubazione varia da 2 a 21 giorni, ma si aggira di norma tra 5 e 10 giorni.

2) La trasmissione degli Ebolavirus avviene principalmente per contatto con i fluidi corporei di individui infetti, secondariamente per via epidermica o attraverso le mucose. Non è nota trasmissione aerea se non per il ceppo Reston, che potrebbe non essere un Ebolavirus in senso stretto e comunque non sembra in grado di sviluppare un’infezione nell’essere umano; anche la trasmissione attraverso saliva in aerosol è abbastanza controversa.

3) Nelle prime fasi l’ebola non sembra essere particolarmente contagioso.

Questo significa che è plausibile contrarre l’ebola praticamente solo per contatto diretto con un individuo in cui la malattia è già ad uno stadio avanzato: di fatto, la malattia diventa contagiosa in concomitanza con la comparsa di sintomi fortemente debilitanti, il che significa che

a) Siamo in grado di renderci conto che quella persona ha qualcosa di piuttosto grave, il che è di per sé un buon motivo per non entrare in contatto con i suoi fluidi corporei.

b) La persona stessa sta troppo male per effettuare grandi spostamenti e diffondere il patogeno.

Nella lettera citata (e linkata) in precedenza il Ministero della Salute viene accusato di sottovalutare il problema, limitando la profilassi a controlli sui (peraltro scarsissimi) voli che dalla Guinea e dalla Liberia giungono in Italia (l’OMS sottolinea che lo stato europeo più a rischio è la Francia, proprio perché meglio collegata). Secondo l’autrice, un pericolo altrettanto – se non più – grave deriverebbe dagli sbarchi clandestini in sud Italia (“servizio taxi efficientissimo”), carichi di migranti che non aspettano altro che portare anche in Europa questa terribile malattia. Ora, quello che vorrei dire, senza per ora entrare nel merito dei toni della lettera, che trovo inaccettabili anche da parte di una persona molto spaventata, è che il Ministero della Salute ha ottimi motivi per non considerare alla stessa stregua gli sbarchi clandestini ed i voli di linea, anche se i primi tendono istintivamente a preoccuparci di più, anche grazie alla propaganda da parte di alcune parti politiche.

1) L’Africa è molto grande; dalla Guinea al Marocco ci sono oltre 2400 km, dalla Guinea alla Libia e alla Tunisia (dove di norma si imbarcano i migranti che arrivano sulle nostre coste come clandestini) oltre 3000. Per percorrere un tragitto di questa portata un migrante irregolare ci mette di norma mesi, se non anni, anche perché non è solo lo Stretto di Sicilia ad essere percorso con mezzi di fortuna, ma un’area di terra enorme che per gran parte è desertica.

2) Un buon numero di Stati africani ha già chiuso le frontiere nei confronti degli Stati in cui si sono verificati casi di ebola, riducendo comunque drasticamente la probabilità che una persona infetta possa persino iniziare il viaggio.

Queste semplici riflessioni, unite all’eziologia della malattia, ridimensionano notevolmente la supposta pericolosità degli sbarchi clandestini. Di fatto, mentre comunque la probabilità che la malattia riesca a diffondersi attraverso i voli di linea è estremamente bassa (di fatto, l’OMS non raccomanda restrizioni a viaggi e rotte commerciali verso e da Guinea e Liberia), la probabilità che questo si verifichi attraverso gli sbarchi clandestini è praticamente nulla.

La seconda riflessione riguarda l’OMS e le sue raccomandazioni. Esiste un principio molto poco operativo ma cui è sempre meglio rifarsi nel dubbio, e l’OMS è abituata a lavorarci: si tratta del principio di precauzione, una semplice regola di buonsenso che impone, nel dubbio, di mettersi nella situazione il meno rischiosa possibile. L’OMS ha come regola principale, nel suo operato, appunto il principio di precauzione, per cui asserire che stia consapevolmente sottovalutando la portata del problema è semplicemente insostenibile. Se la preoccupazione dell’OMS è limitata, tenendo conto che si tratta della massima autorità mondiale ed il suo lavoro è per l’appunto quello di monitorare fonti di rischio sanitario, non vedo perché suscitare allarmismi. È anche opportuno ricordare che dal 2007 si contano cinque epidemie di ebola, questa compresa, tre delle quali piuttosto diffuse, nessuna delle quali sembra aver avuto caratteristiche differenti da quanto riscontrato in precedenza.

Da un lato la preoccupazione per una malattia grave è comprensibile; dall’altro l’isterismo e l’allarmismo rischiano di creare un clima da caccia alle streghe non dissimile da quello condannato da Manzoni riguardo la peste del 1630: non a caso l’autrice della lettera tra le innumeri espressioni infelici utilizza “ungere la popolazione” al posto di “contagiare”. In questo caso le streghe sarebbero i migranti – e non ci vuole molto a rendersi conto che qualsiasi persona di colore può essere etichettata come proveniente “da quei posti”, e che questa epidemia permette di trovare un motivo apparentemente razionale per giustificare una già diffusa e – questa sì – virale tendenza alla xenofobia. Dietro il paravento dell’ebola fanno capolino una serie di luoghi comuni razzisti e disinformati, e l’argomentazione apparentemente razionale si rivela fondarsi sul solito, viscerale e sgradevole “prima gli Italiani” (con la I maiuscola, mi raccomando). I popoli che realmente sono sottoposti alla minaccia di una malattia gravissima non sono nemmeno degni di un pensiero; sono comunque inferiori, non hanno la nostra cultura, non hanno le nostre strutture sanitarie, e quindi non hanno i nostri diritti. È come se la contingenza si fosse trasformata in una legge di natura che ne ha marcato il destino di sconfitti dal mondo. Noi avalliamo questa condanna e respingiamoli, ebbri di egoismo, di autogiustificazione e di indifferenza.

È questo il virus contagioso e letale che mi fa davvero paura.

1 http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/04/11/news/ebola-l-allerta-del-ministero-della-salute-1.160690 

2 http://www.reuters.com/article/2014/04/07/us-ghana-ebola-idUSBREA350OX20140407

Immagine tratta da: www.discoveryphoto.it

Ultima modifica il Sabato, 08 Agosto 2015 12:44
Joachim Langeneck

Joachim Langeneck, dottorando in biologia presso l'Università di Pisa, nasce a Torino il 29/11/1989. La sua ricerca si concentra principalmente sullo studio di processi evolutivi negli invertebrati marini, con sporadiche incursioni nell'ambito dell'etica della scienza, in particolare a livello divulgativo.

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