Sabato, 18 Ottobre 2014 00:00

La buona scuola di Renzi e il trucco delle riforme

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Se un'abilità va riconosciuta a Matteo Renzi, e di riflesso al suo personale dipendente attualmente collocato in posti di governo, è quella di riuscire a dirottare qualsiasi confronto politico lontano dalle complesse questioni tecniche di merito e verso il più facilmente gestibile contesto della propaganda. 

La sua capacità di distrazione, di prestidigitazione concettuale, è talmente elevata che fino ad ora nessuno è riuscito a resistere alle sugestioni che ha costruito; il paese, cittadini e corpi intermedi di rappresentanza, si è lasciato intrappolare in lunghe e inutili discussioni sul nulla mentre il governo portava avanti la sua agenda di ultradestra a colpi di leggi delega e voti di fiducia (o entrambi contemporaneamente). 

L'annunciata "riforma della scuola", che per adesso è identificabile con il lungo documento in technicolor, il sito web per la “consultazione popolare”, lo slogan “la buona scuola” e qualche annuncio sparato a caso dalla Ministra, merita essere esaminata separando i contenuti tecnici (quasi assenti) dalla forma comunicativa (sulla quale è stato speso evidentemente molto lavoro) e analizzare questa seconda parte, per dare forma visibile alle armi di distrazione di massa usate da Matteo Renzi e dal suo staff, per smascherarne i trucchi. 

L'uso strumentale della parola "Riforma" e la narrazione di destra

Per il vocabolario Treccani "riforma" è la modificazione sostanziale di uno stato di cose rispondente a varie necessità ma soprattutto a esigenze di rinnovamento e di adeguamento ai tempi.  

È evidente che la parola "riforma", per se, non ha nessuna connotazione positiva o negativa. Qualsiasi atto di governo che abbia una qualche rilevanza è una riforma, secondo la definizione del vocabolario Treccani. Il governo Mussolini è stato sicuramente un governo riformatore: anche le leggi razziali erano una riforma. 

Come è accaduto, quindi, che la parola riforma, nella retorica politica, abbia assunto un significto intrinsecamente positivo, indipendentemente dai contenuti? "Governo delle riforme" è praticamente una tautologia: è compito specifico di un governo tenere il paese al passo coi tempi, aggiornare le tecnologie amministrative, migliorare i processi burocratici, coodificare i mutamenti sociali e le richieste di nuovi diritti e tutto il resto del mansionario, ma da nessuna parte è scritto che basti fare qualcosa, qualsiasi cosa a caso, per far bene. Molte delle riforme che abbiamo visto negli ultimi decenni sono state un disastro, ma pur sempre riforme. 

La neutralità della parola "riforma" è saltata quando il termine è entrato a far parte dello strumentario della narrazione politica di destra, quella che si caratterizza per il "noi contro loro". In maniera un po' futurista, la parola Riforma caratterizza chi fa in aperto antagonismo con chi non fa, chi agisce contro chi sta fermo, chi porta la modernità contro chi conserva l'esistente. 

Il tema del "noi contro loro" è caratteristico della destra (anzi, la definisce), ma Matteo Renzi, che è comunicatore molto piu' raffinato di un Salvini qualsiasi, sa che il trucco di costruire una comunità di simili di cui ci si candida ad essere difensore è più efficiente se i valori su cui si costruisce questa comunità sono il più possibile universali.  

per capirsi, mentre "padani" contro "terroni" definisce uno spazio limitato con confini invalicabili e una popolazione che, ragionevolmente, non puo' espandersi (infatti Salvini questa cosa l'ha capita, e ci ha provato a rompere il confine), candidarsi a rappresentare la comunità di chi vuole cambiare contro chi vuole che niente cambi è una scelta molto più efficiente, in termini elettorali. Chiunque si sente parte della comunità di chi vuole cambiare (anche i più ottusi conservatori) e odia quelli che si oppongono alla modernità e al cambiamento.  

Riforma è uno strumento retorico, non ha alcun bisogno di un contenuto tecnico. la Riforma è strumento di propaganda, è aggregatore di soggetti che si identificano con la volontà di cambiamento e che, conseguentemente, riconoscono il Riformatore come naturale capobranco. Che la Riforma sia efficace, sia un disastro oppure che non esista affatto è del tutto irrilevante.  

La partecipazione diretta come arma contro la democrazia rappresentativa

Se il definirsi riformatori è uno strumento propagandistico non proprio nuovissimo e recentemente molto abusato, i moderni sviluppi nel campo dell'ITC hanno consentito il recupero a basso costo di meccanismi di consolidamento del consenso già usati in passato, ma con enormi costi e grandi sforzi organizzativi. 

La consultazione di massa tramite Internet assomiglia molto alla versione 2.0 del plebiscitarismo bonapartista. In questo caso non si tratta di dare legittimazione ad un tiranno già impostosi con la forza (per quello c'è il 40% alle europee per un presidente del consiglio non eletto), ma di dare legittimità popolare a decisioni che sono state prese da pochi e in privato.  

Ovviamente le migliaia di opinioni raccolte non servono a nulla. Le domande del questionario sono velleitarie, sono dei desiderata del tutto sconnessi da qualsiasi dimostrazione di realizzabilità. Le risposte che derivano da un questionario on-line fatto in questo modo sono un polverone di singoli pareri scoordinati e non avranno alcun impatto sull'impianto della legge. Lo scopo della consultazione non è quello di aggiungere o modificare i contenuti della "riforma",  ma quello di creare in chi risponde un illusorio senso di partecipazione che conferisce maggiore legittimità alla "riforma" e rende odioso chi manifesta il proprio dissenso (perché dissente da una decisione che è percepita come presa dalla comunità).  

Il trucco della consultazione su internet è già stato usato, durante questo governo, dal ministro Madia per la "riforma" del pubblico impiego. Nella realtà, l'esito della consultazione è stato quello di dare legittimazione al taglio dei distacchi sindacali, provvedimento di vago odore fascista che il governo ha preferito non prendere in autonomia.  

Il reale scopo della consultazione popolare 2.0 in questo 2014 è lo stesso del 1802, del 1852 e di tutte le successive fino alle primarie per la scelta del segretario del PD o le consultazioni su internet del Movimento 5 Stelle. La legittimazione di scelte autoritarie 

La consultazione di massa, il grande percorso partecipativo che dà ai cittadini il potere di non scegliere un bel nulla ma di sentirsi personalmente responsabile delle scelte fatte da altri, ha un secondo importante significato: cancella nell'immaginario collettivo il senso della organizzazione e della mediazione delle idee. A che serve una struttura organizzata che riassume le istanze di molti e le trasforma in un progetto organico, a che servono sindacati, partiti e associazioni se ci si può relazionare direttamente ed autonomamente col riformatore e influenzarne le scelte? Perché dare potere di rappresentanza ad un soggetto che costruisce partecipazione, confronto e mediazione di posizioni diverse quando ogni singolo può autorappresentarsi direttamente senza alcuna composizione con altri, senza l'intermediazione di alcuno,  direttamente al decisore? 

Sostanza contro apparenza, cercare l'arrosto sotto il fumo della propaganda 

Siccome conosco personalmente alcuni membri dello staff che collabora con il ministro Giannini e, seppur da posizioni politiche diametralmente opposte, ne ammiro la preparazione intellettuale e l'onestà, voglio pensare che siano rimasti invischiati in questa melassa propagandistica loro malgrado, che abbiano costruito il grande inganno della partecipazione alla riforma senza capirne esattamente il senso. 

Per questo mi piacerebbe sfidare gli autori, il ministro ed il suo gruppo di lavoro, a riscrivere la loro proposta per la scuola abbandonando la retorica e la propaganda. Vorrei sfidarli a dimostrare che una riforma della scuola esiste davvero e che i contestatori sono in malafede. 

Le regole del gioco. La proposta deve essere articolata su cinque punti: 

1. Quali sono gli obiettivi, espressi in numeri - Quante assunzioni, quanto l'aumento previsto nel numero di diplomati annui, quali nuove materie e in quali scuole, quante nuove scuole, quale riduzione percentuale dei drop-out, quali e quanti nuovi strumenti per i laboratori, ecc. 

2. Quali strumenti tecnico - operativi vengono proposti per raggiungere gli obiettivi del punto 1 - Quali risorse umane, quali nuove tecnologie, quali infrastrutture, quali riorganizzazioni di processi burocratico-amministrativi ecc.  

3. Su quale base scientifica è stata costruita la riforma. Quali analisi, quali dati, quali pareri specialistici, quali simulazioni, quali esempi già operativi, quali modelli dimostrano che con gli strumenti del punto 2. si ottengono gli obiettivi del punto 1. 

4. Quanto costa la riforma. Qual è la stima dei costi totali e dove vengono recuperati i fondi per dotarsi degli strumenti previsti al punto 2. 

5. Come si misurano i risultati. In quanto tempo la riforma andrà a regime, quando verranno effettuate misurazioni intermedie e con quali modalità, quali bechmark sono previsti per verificare i progressi nel raggiungimento degli obiettivi previsti al punto 1. 

(sarebbe gradito anche un punto ulteriore: 6. Quali conseguenze politiche avrà il fallimento parziale o totale della riforma, ma si sa che le dimissioni in questo paese non sono un'opzione neanche in caso di reati gravissimi, figuriamoci per scarsi risultati sul lavoro).

Questo schema sarebbe sicuramente meno interessante dal punto di vista comunicativo, ma se ogni "riforma" fosse presentata in questo modo ci risparmieremmo tanti inutili dibattiti sul nulla e si potrebbe discutere della sostanza, quando c'è. 

Infine, un invito agli elettori, specialmente quelli che hanno votato PD pensando di dare un voto a sinistra: smettetela di credere alle chiacchiere, cercate i fatti. Non è colpa vostra se ci avete creduto, Matteo Renzi è un ottimo venditore di se stesso, ora però è il momento di rompere l'incantesimo, di rompere l'illusione, di smettere di credere alla favola.

Foto ripresa liberamente da ilmanifesto.info

Ultima modifica il Sabato, 18 Ottobre 2014 07:35
Leonardo Croatto

Delegato sindacale CGIL dal primo contratto di lavoro, rimasto tale anche durante i periodi di precariato a vario titolo, alla faccia di chi dice che il sindacato non è per giovani e per precari. Ora funzionario sindacale per la FLC CGIL. Sono stato in minoranza di qualsiasi cosa durante tutta la mia storia politica.

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