Lunedì, 19 Marzo 2018 00:00

La trappola retorica della libertà di parola

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Perché è importante non parlare coi fascisti: La trappola retorica della libertà di parola

In un precedente articolo abbiamo dato una prima nostra opinione sui meccanismi di legittimazione della presenza fascista nel dibattito pubblico. Soggetti che hanno ruoli di guida culturale della società (giornalisti, docenti, dirigenti scolastici, sindaci ecc.), con le motivazioni più varie, hanno ritenuto appropriato consentire a individui che espressamente si richiamano al fascismo storico di esprimere pubblicamente le loro deliranti idee.

Una delle motivazioni più comunemente utilizzate, più o meno strumentalmente, per legittimare la partecipazione di questi soggetti al dibattito politico è il richiamo a una presunta assoluta libertà di espressione che, per come viene posta, apparterrebbe privatamente ed individualmente ad ogni singolo e sarebbe illimitabile nei contenuti e nelle forme, anche quando l’uso che ne viene fatto mira espressamente a contrastare libertà a disposizione di altri.

L’idea che esistano fenomeni che hanno dimensioni etiche assolute, che possono essere scritti con le maiuscole, che non devono essere misurati con il contesto storico e sociale in cui si sviluppano, l’idea, nello specifico, che esista una Libertà Di Espressione (con tutte le maiuscole) bene assoluto, intangibile, implicitamente Giusto (anche in questo caso con la maiuscola) indipendentemente dall’uso che ne viene fatto è caratteristica dei frame interpretativi della destra.

Che la libertà di espressione non sia bene comune appartenente ad una collettività ma proprietà privata di ogni singolo individuo che ne dispone a suo piacere è, pure questa volta, un argomento caratteristico della destra: ai liberali piace la proprietà privata dei diritti, oltre a quella dei beni.

Il presupposto di queste argomentazioni, tipicamente idealistiche, è che non esistano e non potranno mai esistere meccanismi di valutazione delle azioni declinati in senso storico o sociale. Esistono valori singolarmente ed autonomamente determinati e ontologicamente connotati in senso etico, caratterizzati in senso assoluto nel loro essere Buoni o Cattivi, Giusti o Sbagliati e agibili in maniera incontestabile da chiunque li possegga.

Inutile dire che, nella pratica, le ontologie le fa chi comanda, e quindi i soggetti che rivendicano questa Libertà di Espressione Assoluta quando gli è utile sono i primi a metterla da parte quando non gli è più di servizio.

Diversamente, per una lettura più materialistica (e quindi di sinistra) del fenomeno: se i valori, e le azioni degli uomini che questi determinano, vengono inseriti nel contesto storico e sociale in cui si sviluppano, allora ognuno di questi valori e gesti conseguenti assume diverse sfumature di significato, causate dalla contaminazione con il contesto in cui avvengono, e divengono forzatamente patrimonio della collettività, e non solo del singolo agente.

Guardando la questione con queste lenti, la libertà di espressione (con delle più modeste minuscole) è una tra le molte regole che società strutturate di persone si danno per favorire la positiva convivenza di soggettività diverse. La libertà di espressione è parte di un complesso sistema di usi e regole (figlio della complessa storia di quelle comunità, e non di qualche intangibile principio immanente di Giustizia) che tiene solo se rispettato nella sua interezza.

L’esercizio da parte di un singolo di una libertà che la società gli accorda non può andare nella direzione di comprimere altre libertà che appartengono ai restanti membri della comunità. Se l’esercizio di una libertà che la società riconosce è finalizzato a pregiudicare libertà riconosciute ad altri, allora l’agire in quella direzione mette il soggetto automaticamente fuori dalla comunità.

L’azione del diritto di espressione, se finalizzata, anche in potenza, alla limitazione di libertà altrui è di per se un gesto ostile e antisociale, ed è assolutamente necessario, se la società tiene alla sua sopravvivenza, attivare qualsiasi strumento di autotutela, compreso prevedere la limitazione di quel diritto, quando utilizzato fuori dalle regole di convivenza.

È del tutto evidente che azioni di autotutela che la società minacciata mette in atto nei confronti di chi utilizza un diritto per sottrarre diritti ad altri, se passano per l’interruzione dell’agibilità di quel diritto a quei soggetti che ne abusano, aprono delle contraddizioni che possono essere complicate da gestire nel breve periodo. Non è un caso che le Sentinelle in Piedi utilizzino il trucco di rivendicare la loro Libertà di Espressione quando mettono in scena le loro manifestazioni omofobe: Se il mio diritto di parola è assolutamente intoccabile, allora posso usarlo anche come strumento per mettere in discussione i diritti di altri. Se mi viene impedito di manifestare le mie idee, allora sono gli altri ad agire fuori dalle regole della società, non io.

Per uscire preventivamente dalle contraddizioni generate dalla limitazione del diritto di parola vale, a mio avviso, un banalissimo test di reciprocità: i soggetti a cui vengono concesse, dalle regole di convivenza della società in cui vivono, delle libertà, riconoscono pienamente le regole di quella comunità e di conseguenza le libertà che altri membri di quella comunità godono? Se la risposta è no, allora quei soggetti sono fuori dalla comunità, e a loro non si applica alcuna tutela.

Le regole che tengono insieme soggettività diverse all’interno di una comunità di persone devono essere accettate tutte, non possono essere rispettate selettivamente. Compito dei membri di quella comunità, specialmente quelli che hanno ruoli di orientamento della collettività, è saper interpretare con anticipo quando si innescano dinamiche di conflitto tra membri interni alla comunità e soggetti che agiscono per indebolirne le regole di convivenza, attivarsi per prevenire azioni distruttive e, contemporaneamente, fornire ai soggetti più culturalmente fragili gli strumenti per decifrare i fenomeni in atto.

 

Immagine ripresa liberamente da www.coalizionecivica.it

Ultima modifica il Lunedì, 19 Marzo 2018 12:47
Leonardo Croatto

Delegato sindacale CGIL dal primo contratto di lavoro, rimasto tale anche durante i periodi di precariato a vario titolo, alla faccia di chi dice che il sindacato non è per giovani e per precari. Ora funzionario sindacale per la FLC CGIL. Sono stato in minoranza di qualsiasi cosa durante tutta la mia storia politica.

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