L'Osservatorio sarà operativo fino al 31 dicembre 2017 e potrà essere nuovamente rinnovato, se a quella data non saranno ancora finiti i lavori del tunnel a doppia canna di sette chilometri e della stazione ferroviaria sotterranea ai Macelli.
Per capire le funzioni dell'Osservatorio, basta pensare che è stato questo organismo tecnico, all'epoca presieduto da Pietro Rubellini (dirigente dell'ufficio ambiente del Comun), ad ampliare in via cautelativa l'area di potenziale monitoraggio degli edifici che potrebbero essere danneggiati dallo scavo del tunnel: non 277, come stimava il general contractor Nodavia, ma oltre 2.000. In seguito l'Osservatorio è stato diretto da Giacomo Parenti, dirigente di Palazzo Vecchio e braccio destro del sindaco Matteo Renzi, che dopo il lungo stop di questi mesi continuerà a presiederlo.
Il ritorno in azione dell'Osservatorio ambientale è un'ulteriore riprova della volontà politica del governo e degli enti locali interessati ad andare avanti con la grande opera. Anche i sindacati confederali hanno chiesto al prefetto Luigi Varratta un suo intervento perché i lavori possano riprendere al più presto: “Riteniamo che debba essere tutelata l'occupazione – spiegano le categorie degli edili e dei trasporti - e il patrimonio di professionalità di operai, tecnici e impiegati indispensabile per la realizzazione dell'opera. La volontà di Cgil, Cisl e Uil è quella “di poter riprendere a regime i lavori, una volta accertate le responsabilità giudiziarie dei soggetti coinvolti”.
Qualcosa però non torna, visto che subito dopo l'apertura ufficiale dell'inchiesta il procuratore Giuseppe Quattrocchi aveva puntualizzato un dato di fatto: “L'indagine della procura di Firenze non ha nessuna influenza sull'attività delle maestranze nei cantieri Tav in città: quelli che lavoravano prima, continuano a lavorare ancora oggi. E' stata solo sequestrata la fresa meccanica, la cosiddetta talpa Monna Lisa, che comunque non era ancora entrata in funzione”.
In realtà lo stop nei cantieri Tav appare legato al quadro complessivo delle indagini. Alle accuse di inaffidabilità finanziaria e organizzativa mosse della magistratura nei confronti di Nodavia e del subappaltatore Seli responsabile della maxi trivella, si stanno aggiungendo giorno dopo giorno nuovi particolari. Si sapeva già che Monna Lisa era stata montata male e con guarnizioni scadenti, che l'avrebbero portata a perdere continuamente olio lubrificante durante i lavori del tunnel. Ora le intercettazioni hanno rivelato che le analisi sulle terre di scarto sarebbero state falsificate, per nascondere la non biodegradabilità degli additivi usati per ammorbidire il terreno durante gli scavi.
Un fattore decisivo quest'ultimo, per ottenere l'ok ministeriale alla valutazione di impatto ambientale, e il via libera al piano di utilizzo delle terre scavate che dovrebbero essere portate nell'ex miniera Enel a Santa Barbara di Cavriglia. Del resto nel decreto di sequestro di Monna Lisa, oltre che degli inadatti materiali (non) ignifughi destinati al rivestimento delle gallerie, tutto questo viene scritto nero su bianco: “Gli indagati hanno chiarissima la percezione della natura di rifiuto degli scarti che la fresa andrà a produrre”. Quindi si attivano per parare il colpo. Utilizzando le inattendibili analisi della Sali che della fresa è la proprietaria, il geologo Gualtiero Bellomo della commissione Via del ministero dell'ambiente “attesta la natura innocua degli scarti, e apre la strada alla loro declassificazione da rifiuti a 'sottoprodotto'”. Quando poi entra in vigore il decreto 161/12 del governo Monti, il peraltro discusso “Regolamento su terre e rocce da scavo” che non le classifica più come rifiuti (lo restano invece i fanghi di perforazione), il geologo Bellomo secondo i pm “si mostra disponibile ad assicurare, grazie al suo ruolo ministeriale, una corsia preferenziale e senza intoppi al piano di gestione delle terre di scavo, presentato dal general contractor Nodavia”.
Immagine tratta da gruppodinterventogiuridicoweb.wordpress.com