Le piazze e le strade della cittadina in riva al Salso sono state invase da una marea festante di cittadini, attivisti, associazioni, sigle sindacali e partiti, con in testa il locale comitato nato, ormai nel 2015, per dire no all’offshore ibleo e più in generale allo sfruttamento petrolifero. È il secondo corteo dopo quello avvenuto il 9 gennaio del 2016 per ribadire con fermezza la volontà di un intero territorio ad autodeterminarsi.
Come si legge dalla pagina del Comitato NoTriv Licata, la volontà di resistere a questa seconda fase del Progetto Eni nasce dall’esigenza di salvaguardare nuovamente sia il paesaggio in generale con tutto quello che ad esso è connesso (dalla tutela archeologica sottomarina, al turismo, al monitoraggio del rischio sismico presente nel canale di Sicilia), passando per la questione che riguarda più direttamente la salute, e dulcis in fundo la salvaguardia economica di uno di quei settori che ha rappresentato e rappresenta per certi versi traino per una intera comunità: la pesca. Una battaglia di tutte e tutti, contro un oleodotto che al netto di valutazioni tecniche, non può essere considerato fattore di sviluppo per la città e le comunità che ruotano attorno ad essa.
La vertenza, ormai di risalto nazionale, poiché terreno di scontro e continui rimbalzi tra i “contrattisti” gialloverdi, tra promesse mancate e modelli di sviluppo, almeno in partenza, totalmente differenti, vede quindi nella Sicilia uno snodo fondamentale. Ripartire dai territori, dove ad un no corrispondono, solo e soltanto, migliaia (3500 per la precisione) di sì. Investimenti su infrastrutture, prevenzione del rischio idrogeologico, lavoro sanità e cultura; non esistono altre ricette per ripartire. Del resto, la corsa all’oro nero, come molti etichettano movimenti e ambientalisti, è un retaggio novecentesco.
Immagine di Davide Mauro (dettaglio) ripresa liberamente da wikipedia.org