Lunedì, 20 Aprile 2015 00:00

Cosa vuol dire difendere gli olivi?

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Da alcuni giorni, il caso degli olivi del Salento (un misterioso morbo che li affligge, la brutalità delle misure previste, l’apparente contrapposizione tra popolo che vuole bene agli alberi e poteri ciechi pronti a radere al suolo il paesaggio) ha raggiunto un’esposizione mediatica nazionale, anche a seguito dell’interessamento – purtroppo incline al complottismo – di alcuni personaggi dello spettacolo.

È però almeno dal 2013 (ma si parla di segnalazioni già nel 2008) che nel Salento, inizialmente in una zona circoscritta della provincia di Lecce, gli olivi hanno iniziato ad ammalarsi: disseccamento delle foglie e delle estremità dei rami, marcescenza del tronco, sfaldatura della corteccia, fino alla morte della pianta nel giro di pochi anni; il morbo è stato chiamato complesso (in quanto non vi era certezza che vi fosse un’unica causa) del disseccamento rapido dell’olivo (CoDiRO). Da allora la malattia, non trattata, ha iniziato a diffondersi. La European Plant Protection Organization ha avviato immediatamente le indagini per identificare il male, in collaborazione con l’Ufficio Fitosanitario Regionale, l’Istituto di Virologia Generale del CNR e numerosi ricercatori dell’Università di Bari. Le ricerche, oltre ad alcuni funghi portati dalle larve di falena leopardo che scavano nel tronco, hanno rilevato nei tessuti vascolari degli olivi malati la presenza del batterio Xylella fastidiosa, per la prima volta in Europa.

X. fastidiosa è stata identificata nel 1987 (Wells et al.) come causa del morbo di Pierce (dal nome del patologo vegetale che lo investigò nel 1892), noto fin dalla fine dell’800 per aver colpito i vigneti californiani con gli stessi sintomi degli olivi salentini: disseccamento e marcescenza della pianta a partire dalle estremità dei rami e dal tronco. La proliferazione del batterio porta infatti alla formazione nei vasi linfatici dello xilema (che trasportano acqua e sali minerali soluti dalle radici alle foglie) di una sostanza gelatinosa che li ostruisce portandoli alla necrosi; la pianta muore così “di sete” in non più di cinque anni. Nel caso dei vitigni californiani, il vettore del batterio erano alcune cicaline che “pungono” le piante per suggerne la linfa grezza; la malattia era perciò endemica degli areali delle cicale e, benché ci se ne fosse interessati solo quando aveva iniziato a colpire colture di importanza produttiva come i vigneti, già conosciuta per aggredire gli oleandri, tipici della California. Il batterio può infatti attaccare molte altre piante: aranci, peschi, prugni, olivi. Non si sono trovate cure dirette; anche gli insetticidi, messi in campo in tempi più recenti in seguito alla comparsa del morbo in varie parti del mondo, si sono dimostrati poco efficaci, in quanto le uova delle cicaline sono molto resistenti. La ricerca globale sta investigando varie tecniche per combattere X. fastidiosa: dai virus batteriofagi, cioè che distruggono il batterio per riprodursi, alla N-acetilsteina, che riduce l’adesione delle formazioni batteriche di gel ostruttore alle pareti dei vasi linfatici delle piante colpite.

Com’è arrivata X. fastidiosa nel Salento? Probabilmente insieme a qualche merce d’oltremare; il profilo genetico del ceppo individuato negli olivi salentini appartiene alla sottospecie pauca, originaria del Costa Rica: sarebbe arrivata con una pianta di caffè proveniente da quel paese, che ne esporta anche in Francia e Olanda (dove sono state intercettate altre piante di caffè infette). Le piante centroamericane sono molto usate come ornamentali nelle masserie salentine. Nel Salento, principale vettore del batterio è considerata la sputacchina media Philaenus spumarius; si ritiene inoltre che una concausa dell’ammalarsi degli olivi sia l’impoverimento dell’humus a seguito dell’eccessivo sfruttamento agronomico del suolo. A confermare il ruolo causale di X. fastidiosa manca però ancora l’esito del test di patogenicità.

Tuttavia, la situazione pugliese, definita “fuori controllo” dal Corpo Forestale, vede una vera e propria emergenza e la necessità di agire immediatamente. Le piante ammalate sono oggi circa il 10% degli olivi salentini (circa 11 milioni nella provincia di Lecce); il focolaio è concentrato nella zona Gallipoli-Nardò, all’interno della quale è però distribuito a macchia di leopardo – anche per questo i coltivatori locali commentano in maniera contrastante il fenomeno, dal negarlo ad accusare grandi morie di alberi. Se la malattia si propagasse all’area di Andria-Cerignola-Bitonto e da lì nel resto della penisola, raggiungerebbe le proporzioni di una catastrofe. Il Governo italiano discute, principalmente con Francia e Spagna (vicini stati produttori nonché importatori ed esportatori sia di barbatelle di olivo e prodotti olivicoli, sia di altri prodotti minacciati, come quelli vinicoli), della (ri)definizione dell’area di contenimento in Puglia, della portata dell’estirpamento delle piante malate, delle misure nei confronti di altre piante ad alto fusto che potrebbero essere vettrici del batterio, come gli agrumenti. La presenza della X. fastidiosa è infatti già stata confermata anche in piante quali verbena odorosa, oleandro, ciliegio, mandorlo, mirto e rosmarino.

Nel frattempo, il Governo ha stanziato un fondo di 14 milioni a sostegno delle aziende produttive pugliesi colpite dal morbo e dalle misure di contenimento; sono inoltre previsti co-finanziamenti europei per attuare l’estirpazione e le attività di bonifica nel complesso. Non sono invece previsti aiuti economici per la compensazione dei danni da parte dell’Unione Europea – per incassare i quali, secondo le voci più o meno complottiste che sono girate in questi giorni, il nostro Governo avrebbe proceduto all’abbattimento degli olivi così da gonfiare l’emergenza. I provvedimenti attualmente in atto consistono nei primi sradicamenti di piante malate (in un piano complessivo di estirpamento nelle zone di quarantena, più in una fascia “cuscinetto” circostante), la distruzione della legna, il blocco dell’esportazione delle barbatelle da vigna provenienti dalla provincia di Lecce; si prevedono inoltre misure agronomiche quali potature regolari, falciature, arature negli oliveti per eliminare le larve di sputacchina. Oltre a queste azioni, il controverso piano di Giuseppe Silletti, commissario straordinario per l’emergenza Xylella, prevede azioni di controllo degli insetti vettori e potenziali vettori attraverso largo impiego di insetticidi sistemici, i cui effetti sulla rete ecologica locale e sulla salute anche umana potrebbero però essere molto pesanti – forse sbilanciati, considerato che il contenimento degli insetti vettori è un’utile azione complementare ma non può essere la soluzione decisiva, trattandosi di arginare la diffusione di numerose specie di insetto che si spostano molto e si sono dimostrate molto adattabili. 

D’altra parte, all’Università di Bari gli stanziamenti per la ricerca di cure o tecniche di contenimento del morbo scarseggiano.

L’abbattimento del 10% infetto degli olivi colpirebbe indubbiamente il paesaggio salentino, oltre a intaccare la produttività agricola della regione (non sono stati neanche disposti indennizzi per i proprietari che subiscono l’espianto); e si comprende senza difficoltà la sofferenza (estetica, culturale, identitaria) dell’assistere allo sradicamento di maestosi alberi secolari. Né aiuta il rimbalzare su tutti i media di messaggi confusi, tra i “santoni” improvvisati che propongono la propria soluzione empirica e gli immancabili complottisti che, nello schierarsi “con gli ulivi”, accusano trame contorte e contradditorie, parlando di recentissimi batteri sintetizzati in laboratorio (ma il morbo di Pierce è noto da fine ‘800) ed evocando lo spettro della famigerata Monsanto interessata a ricoprire il Salento di propri olivi OGM (ma nessuno produce olivi OGM poiché sarebbe inefficiente, mentre si possono ottenere piante con caratteristiche specifiche attraverso innesti e ibridazioni; del resto in Italia vige il divieto di coltivazioni OGM a scopo produttivo).

Un intervento drastico quale l’abbattimento degli alberi nelle zone interessate, stroncando la diffusione del morbo finché è ancora circoscritta, garantirebbe però la difesa del patrimonio di oliveti e della sua produttività. Lo stesso parere tecnico-scientifico dell’EFSA, Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, prescrive l’impedimento di qualsiasi contaminazione al di fuori delle zone già colpite.

Contrari alle misure di contenimento, oltre ad alcuni coltivatori e agli attivisti di comitati locali, sono anche i responsabili dei parchi naturali: i trattamenti generali previsti eccederebbero i limiti di legge riferiti alle aree protette. E questo sembra proprio il tocco di stile dell’ennesima baruffa ambientale all’italiana, che dalla trascuratezza omertosa passa tardivamente ad un confuso stato di emergenza, in cui la ricerca continua a non trovare né spazio né risorse; ribadendo così le contraddizioni insite ai nostri stessi strumenti di tutela del patrimonio ambientale, paesaggistico, agricolo.

Immagine liberamente ripresa da www.quotidiano.net

Ultima modifica il Domenica, 19 Aprile 2015 22:20
Silvia D'Amato Avanzi

Studia scienze naturali all'Università di Pisa, dove ha militato nel sindacato studentesco e nel Partito della Rifondazione Comunista. Oltre che con la politica, sottrae tempo allo studio leggendo, scribacchiando, scarabocchiando, pasticciando, fotografando insetti, mangiando e bevendo.

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