La definizione di “problematicità” degli orsi, con l’indice di livelli progressivi da A (“si rende visibile agli umani”) a C (“aggredisce gli umani”), è tutta incentrata sul comportamento degli animali come percepiti dall’uomo, ma non tiene in alcun modo in considerazione il comportamento degli umani di rimando. Perciò, Daniza risultava paradossalmente “problematica” in quanto confidente con gli umani e aggressiva; benché gli avvistamenti in aree antropizzate, anche prima dell’episodio cruciale di questa estate, fossero stati sempre nel suo areale, nel Parco dell’Adamello-Brenta; benché la vittima della presunta aggressione si fosse di fatto comportata come un predatore nei confronti dei cuccioli dell’orsa. Gli orsi sono “problematici” anche perché ci sono stabilimenti umani immersi nella natura montana, il che non è sbagliato finché con quella natura si sa convivere; gli orsi sono “problematici” anche perché c’è chi va nei loro boschi senza sapere come comportarsi. Invece di dire che se c’è l’orso non si può coltivare, se c’è l’orso non si può allevare, sempre pronti a imbracciare il fucile, dovremmo piuttosto iniziare a pensare a coltivare ed allevare tenendo conto dell’orso.
Così, dopo ormai un mese di inseguimenti, mercoledì sera la cattura è riuscita. Daniza è stata però uccisa, apparentemente dal sedativo somministratole per telenarcosi, dalla quale non si è più risvegliata; è stata comunque disposta un'autopsia che accerterà le cause della morte, mentre il Corpo Forestale ha aperto un fascicolo d'indagine sull'accaduto.
La telenarcosi, che per legge deve essere preparata ed effettuata da un medico veterinario, consiste nell'inoculazione di un anestetico colpendo l'animale da distanza con un dardo-siringa; la quantità di narcotico viene spesso stimata ad occhio sul momento, in base alla taglia dell'animale da sedare. Nel caso di Daniza, è perciò possibile supporre un errore di dosaggio; altre ipotesi parlano di reazione allergica al sedativo. Tuttavia, l’orsa era già stata catturata altre volte in passato, per sostituirle il collare di monitoraggio: una volta con telenarcosi e due con trappole a tubo (ne erano state disposte anche per quest’ultima caccia), che prevedono in ogni caso la narcotizzazione dell’animale entro brevissimo tempo dalla chiusura della trappola; è quindi da escludere che Daniza fosse allergica al sedativo, così come si sarebbe potuta presumere una certa conoscenza pregressa di quale fosse il dosaggio più adatto a lei. D’altronde, gli stessi veterinari di AlpVet, che si occupano tra l’altro di consulenza faunistica con particolare attenzione all’arco alpino, hanno rilevato come la legge non tenga conto della possibilità che a telenarcotizzare un animale selvatico sia un professionista specializzato in bestiame domestico, quindi impreparato a valutare correttamente la situazione.
Certo è che l'esito torna comodo alle parti in causa: l'animale considerato minaccioso è stato eliminato, accontentando il facile coro, non privo di consenso popolare, di allevatori e agricoltori che lamentano i danni degli orsi; mentre l'incidente dato da errore umano ripara tutte le istituzioni più o meno coinvolte, dalla Provincia di Trento al Ministero dell'Ambiente, da eventuali responsabilità – delle quali "rispondere" in primis al fronte di organizzazioni ambientaliste e animaliste, anch’esse grandi trascinatrici dell’opinione pubblica, inferocite per l'accaduto.
La telenarcosi è invece andata a buon fine su uno dei due cuccioli, al quale è stato così applicato un collare di monitoraggio; mentre non si è riusciti a catturare l’altro, che è ancora ricercato. La prospettiva è quella di lasciarli liberi, monitorandoli attentamente e contando sulle loro capacità di sopravvivenza senza la madre; mentre, se ospitati anche brevemente in cattività in una struttura specializzata, non sarebbe stato poi più possibile reinserirli in natura. Questo sarebbe stato il destino dei due piccoli anche qualora Daniza fosse sopravvissuta alla cattura, visto che per spostarla in un’altra area si prevedeva di separarla dai cuccioli: un progetto nato già male, giustamente criticato da più parti, e finito malissimo.
A coronamento dell’amareggiante conclusione della vicenda, ci sono i commenti pacificatori di chi osserva che l’orsa non apparteneva ad una specie a rischio d’estinzione, che la sua morte non è stata quindi una grande sciagura; dall’altro lato, non è mancata la proposta di imbalsamare Daniza ed esporla in museo a Trento, a perenne «simbolo della negligenza umana e dell’atavico contrasto tra uomo e natura».
Appena pochi giorni fa, ho avuto il piacere di visitare il Museo di Storia Naturale di Bolzano. Con un’esposizione intuitiva e fruibile per adulti e bambini, c’è una sala dedicata al gradito ritorno dell’orso, con tanto di istruzioni chiare e semplici su cosa fare e cosa non fare in caso di incontro; poco più avanti, un pannello spiega come l’Alto Adige sarebbe inabitabile (per gli umani, sì) senza i boschi. Un visitatore attento coglie senza difficoltà l’importanza degli orsi per i boschi e, quindi, per il Sudtirolo e per noi. Con tutte le dovute distinzioni tra Alto Adige e Trentino (non a caso province autonome separante anche istituzionalmente), si parla in buona parte degli stessi boschi e, se non degli stessi umani, di umani molto simili (non me ne vogliano trentini e sudtirolesi); si parla di qualcosa che vale indipendentemente dai confini provinciali o dall’indirizzo del museo: gli orsi non sono sacrificabili.
E la vera sciagura di questa storia, che proprio per questo dovrà essere raccontata e non solo nei musei, è la sua emblematicità della gestione del patrimonio naturalistico in Italia.