Il titolo dell’evento, “Cosmic Breakthrough”, fa esplicito riferimento allo Special Breakthrough Prize in Fundamental Physics di cui Jocelyn Bell Burnell è stata recentemente insignita. Per l’ammontare di tre milioni di dollari, i Breakthrough prizes sono i più ricchi riconoscimenti di ambito scientifico; istituiti nel 2012 da un gruppo di giganti dell’imprenditoria (tra cui Anne Wojcicki, Mark Zuckerberg, Jack Ma) in non celata sfida ai più canonici Nobel, i Breakthrough vogliono evidentemente incarnare il “nuovo” in ogni loro aspetto, dal processo di selezione di candidati online e aperto al pubblico, al finanziamento che celebra l’impresa privata, alla scelta dei vincitori da parte dei vincitori di edizioni precedenti.
Bell ha deciso di destinare il premio al finanziamento di borse di studio per studenti provenienti da minoranze e situazioni svantaggiate, nella convinzione che la diversificazione di provenienza e storia personale di coloro che animano la ricerca scientifica ne arricchisca insostituibilmente i risultati. Lei stessa attribuisce la sua scoperta anche alla particolarità del suo punto di vista “estraneo” all’ambiente di Cambridge.
Tra i pannelli di Luzzati per un allestimento de Il matrimonio segreto di Cimarosa, l’astrofisica ha tratteggiato vividamente la storia della scoperta, alternando con semplicità aneddoti e spiegazioni tecniche, con il narrare scandito e paziente di chi ci tiene a farsi capire proprio da tutti. Susan Jocelyn Bell Burnell (nata Bell) nasce nel 1943 nell’Irlanda del Nord; il padre, architetto, ha partecipato alla costruzione del planetario di Armagh e la avvicina all’astronomia. Laureata in fisica a Glasgow e dal 1965 dottoranda a Cambridge, Bell intreccia la sua storia e la sua carriera alla geografia del Regno Unito e agli stereotipi che contrappongono al nord “selvaggio” il sud “civilizzato”, rievocando il suo senso di inadeguatezza da «ragazza di campagna» rispetto all’ambiente di Cambridge.
È il periodo degli albori dell’interferometria, la combinazione delle antenne di più radiotelescopi di modo da farle funzionare come un’unica antenna virtuale più grande, che rende possibile un’inedita sensibilità nella rilevazione della componente radio delle emissioni elettromagnetiche dei corpi celesti, delle quali solo una piccola frazione si trova nello spettro della luce visibile. Negli anni del dottorato, Bell contribuisce manualmente alla costruzione dell’Interplanetary Scintillation Array, un radiotelescopio interferometrico che con migliaia di antenne dipolo su una superficie di 4 (oggi 9) ettari scandaglia circa 30° di cielo una volta a settimana; altamente sensibile, è progettato per misurare le fluttuazioni ad alta frequenza (scintillazione) di sorgenti radio caratteristiche delle quasar (“quasi-stellar-radio-sources”), i cui segnali arrivano alla Terra ora più brillanti ora più deboli, disomogeneamente disturbati dal vento solare che spazza lo spazio interplanetario.
È durante l’analisi dei metri e metri di segnali tracciati su carta, i rotoli archiviati in scatole da scarpe suddivisi per porzioni di cielo, che Bell nel 1967 nota un’anomalia: un segnale che si ripresenta sempre nella stessa porzione di cielo e alla stessa ora siderale (la rotazione relativa della volta celeste si compie in 23 ore e 56 minuti e risulta quindi sfasata rispetto al giorno terrestre di 24 ore, che tiene invece conto anche della rivoluzione della Terra intorno al Sole). Ingrandendo, cioè accelerando lo scorrimento del rullo di carta sotto il tracciatore, si distingue chiaramente un’alternanza netta tra segnali e silenzio, diversa da una scintillazione, ad intervalli regolari di circa 1 secondo e 1/3. Ancora non può immaginarlo, ma ha appena scoperto la prima pulsar, che sarà successivamente chiamata PSR B1919+21.
Per Antony Hewish, supervisore di Bell, si tratta inizialmente di un disturbo di origine antropica o di un problema della strumentazione, ma la puntualità di orario siderale spinge Bell ad insistere sulla rilevanza dell’anomalia; decisivo è allora il riscontro su un altro radiotelescopio, che riceve il segnale cinque minuti più tardi di quanto calcolato. Bell sottolinea come, se l’errore di calcolo fosse stato maggiore, il segnale sarebbe arrivato dopo che il gruppo di ricerca aveva già abbandonato gli strumenti dando per fallita la prova, e la storia sarebbe andata diversamente.
Si pone allora la questione di immaginare la sorgente del segnale: deve trattarsi di un oggetto piccolo, data la brevità del periodo delle pulsazioni; ma allo stesso tempo deve trattarsi di un oggetto molto grande, in grado di emettere una pulsazione continua senza che il segnale si indebolisca. Questo apparente paradosso si sarebbe risolto ripensando i possibili significati di “piccolo” e “grande” – il primo in termini di dimensioni, il secondo in termini di massa. Inizia perciò ad emergere la portata della scoperta. Sotto la spinta della volontà di pubblicarla, una ricerca febbrile e a tratti avventurosa – tra ore trascorse sui rotoli di tracciati e strumentazioni riscaldate alitandovi sopra per contrastare il malfunzionamento dovuto al freddo invernale – porta all’individuazione di tre nuove sorgenti di segnale.
Nel conseguente articolo del 19681, Hewish e Bell descrivono la sorgente come non più larga di circa 5000 chilometri; ipotizzano inoltre che l’estrema regolarità delle pulsazioni sia più imputabile al comportamento di un’intera stella che a disturbi locali nell’atmosfera stellare, notando la compatibilità con il modello di emissioni radiali delle stelle di neutroni, ipotizzate fin dagli anni ‘30 ma osservate per la prima volta con la scoperta delle pulsar. Il nome pulsar viene suggerito da un giornalista del Daily Telegraph, Antony Michaelis, come contrazione di “pulsating radio star”, sul modello di quasar; ma Bell ricorda anche atteggiamenti della stampa meno costruttivi, maggiore interesse per il suo aspetto fisico, il suo abbigliamento, la sua vita sentimentale, per farle foto in pose improbabili che per gli aspetti scientifici.
Completato il dottorato, Jocelyn Bell passerà ad occuparsi di astronomia a raggi gamma e successivamente a raggi X, proseguendo una vita di ricerca e di insegnamento che tutt’oggi la vede professoressa di astrofisica ad Oxford e fellow del Mansfield College; arriverà a presiedere la Royal Astronomical Society dal 2002 al 2004 e l’associazione per la promozione dello studio della fisica Institute of Physics dal 2008 al 2010.
Hewish riceverà il Nobel per la fisica nel 1974 insieme a Martin Ryle per lo sviluppo dell’interferometria ed il ruolo di questa nella scoperta delle pulsar; trascurata dal riconoscimento, Jocelyn Bell attribuirà la cosa all’essere stata una semplice dottoranda ai tempi della scoperta – e forse anche al suo genere. Negli anni successivi, sottolineerà l’importanza di comprendere (e perciò coltivare) il lavoro di gruppo nel progresso scientifico e denuncerà il disallineamento tra lo straordinario progresso nelle conoscenze astronomiche e l’arretratezza del poco spazio occupato dalle donne nel settore.
Le pulsar sono stelle di neutroni – non stelle in senso proprio, bensì oggetti che si formano alla “morte” di stelle giganti, di massa almeno 10 volte quella del Sole, che hanno esaurito il proprio combustibile: il loro nucleo collassa su se stesso, tipicamente in un’esplosione detta supernova, comprimendo i suoi protoni ed elettroni gli uni contro gli altri e generando così neutroni. A seconda della massa del nucleo a seguito del collasso, questo può proseguire dando origine ad un buco nero, oppure arrestarsi nella forma di un corpo piccolo (il diametro misura fino ad una ventina di chilometri) ma di massa fino a circa tre volte quella del Sole, quindi densissimo – eccettuati i buchi neri, le stelle di neutroni sono i più densi oggetti noti nell’universo.
La specificità delle pulsar è data dalla rotazione su se stesse e dall’emissione di un fascio di radiazione elettromagnetica lungo il loro asse magnetico, che non coincide con quello di rotazione. Così, dal punto di vista di un osservatore esterno, la radiazione emessa dai poli magnetici sarà visibile ogni volta che la rotazione della pulsar orienta il fascio verso l’osservatore: una pulsazione ad intervalli regolari, come accade con la luce di un faro (qui una bella animazione video). Le pulsar sono le stelle di neutroni più facilmente osservate.
Le pulsar si originano da stelle che ruotavano su stesse e ne mantengono il momento angolare ma, avendo dimensioni molto minori, la loro velocità di rotazione risulta molto maggiore, mentre la loro inerzia è tanto grande quanto la loro massa – sono note circa 2700 pulsar (di cui una ventina visibili otticamente); la maggior parte ha una rotazione “lenta”, di circa un giro al secondo, ma alcune ruotano oltre 700 volte al secondo. Si ritiene che la rotazione del campo magnetico della pulsar generi un forte campo elettrico che, a sua volta, accelera particelle cariche che così emettono luce, in un fascio stabile e brillante paragonabile a un laser.
Le condizioni fisiche estreme delle pulsar ne fanno oggetti particolarmente interessanti da studiare: Bell invita ad immaginarne la densità figurandosi l’intera popolazione umana compressa all’interno di un ditale da cucito; mentre la regolarità delle loro pulsazioni (il periodo di una tipica pulsar è aumentato di circa 1 secondo dai tempi dei dinosauri) permette di misurarne la distanza con straordinaria accuratezza e ne fa eccellenti orologi – un cambiamento nel periodo di una pulsar indica un evento nello spazio vicino. La gravità è tale da piegare la luce di 20°-30° e virarne lo spettro al rosso; un oggetto che precipitasse sulla superficie di una pulsar cadrebbe a una velocità pari a metà di quella della luce; un corpo umano sarebbe lacerato dalla differenza di gravità tra capo e piedi (distruzione mareale). Le caratteristiche delle pulsar le rendono inoltre particolarmente adatte allo studio delle onde gravitazionali e alla sperimentazione delle teorie di Einstein.
Bell non cela l’entusiasmo e la difficoltà di capacitarsi di questi eccezionali aspetti. La conferenza non può che chiudersi con un’attestazione di amore per la ricerca – per la cautela e il senso di responsabilità che esigono una seconda osservazione, una ripetizione, ma anche per il fatto che per sua natura la ricerca scientifica ben difficilmente è improduttiva: anche la conoscenza di aver seguito un metodo sbagliato è utile. «Se vedete un’anomalia, seguitela; non si sa mai dove porterà.»
Immagini: Jocelyn Bell nel 1967, foto di Roger Haworth ripresa liberamente da commons.wikimedia.org; combinazione di immagini ottiche e a raggi X della Nebulosa Granchio ripresa liberamente da hubblesite.org