Domenica, 21 Giugno 2015 00:00

Umanità oltre il mare

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Umanità oltre il mare

Compresi che i monti, i mari, i fiumi chiamati confini naturali, si sono formati antecedentemente all’uomo, per un complesso di processi fisici e chimici, e non per dividere i popoli.
B. Vanzetti, “Una vita Proletaria”


La fortezza Europa trema, la fortezza Europa scricchiola sotto le urla di esseri umani in cerca di speranza. Questo è il “responso” che viene dal mare da quel maledetto canale largo 145 Km. Il canale di Sicilia al centro del mondo ormai da tempo immemore, corpi “spiaggiati”, esseri umani ridotti allo stato animalesco pur di brandire la minima speranza di un futuro degno. La retorica di chi tende a fare da “elemosinante” oppure quella becera dei “aiutiamoli a casa loro”, due visioni indegne, due visioni che obliterano completamente un concetto ben preciso: dignità.

La dignità si è detto; spesso l’essere umano è spinto da questo desiderio per sentirsi partecipe di una comunità, per questi tempi moderni purtroppo tutto ciò non è più scontato. Le immagini giunteci da Ventimiglia fanno impressione e sicuramente tendono a far piombare le nostre coscienze in un medioevo senza fine. Nel tanto decantato occidente civilizzato, è mai possibile che animali dottai di intelligenza e coscienza siano sradicati dalla nuda roccia o malmenati per far comodo solo a chi tende a mantenere l’equilibrio dello status quo, preservando i propri interessi?

La domanda è banalissima come banalissima dovrebbe essere la risposta; tuttavia di banale non c’è più nulla, tutto è sorpresa una terribile sorpresa. Il fallimento di Schengen, il fallimento di un?Europa patria dei diritti e dello “stato sociale”, il modello americano trasportato e completamente rideclinato in salsa Europa.
Del resto se uno stato dell’Unione pensa di realizzare celermente un muro al confine con la Serbia (l’Ungheria), le domande che sorgono spontanee sono moltissime, così come la concezione d’Europa partorita già con il Manifesto di Ventotene. Muri, barriere invalicabili; che differenza c’è d’altronde tra i poveri fratelli ancorati agli scogli “italo-francesi” e il trattamento che la polizia americana riserva a chi tenta di attraversare il confine con il Messico? Denominato anche muro di Tijuana o muro della vergogna, fu costruito per impedire agli immigranti illegali, in particolar modo messicani e centroamericani, di oltrepassare il confine statunitense. La sua costruzione ebbe inizio nel 1994, secondo l'ottica di un triplice progetto antimmigrazione: il progetto "Gatekeeper", in California, il progetto "Hold-the-Line" in Texas ed il progetto "Safeguard" in Arizona. La stessa America che mette una barriera al naturalissimo passaggio “umano” mentre apre una grande “galleria” commerciale e globalizzata col Centro-America firmando trattati (Nafta ndr) deleteri per gli stessi popoli tenuti ad assoluta e debita distanza: controversie, enormi controsensi. Se la nostra società si è quindi “americanizzata” è bene giungere all’incipit della discussione.

No voglio scadere nelle banalità; è facile dire anche noi siamo stati immigrati ( e lo siamo ancora, ricordatelo a tutti i fascistoidi d’Italia, da Matteo Salvini in giù ) ma è la storia con la sua inesorabile precisione a ricordarcelo. Proprio in questi giorni ho avuto modo di avere fra le mani il libro delle memorie di Bartolomeo Vanzetti, “Non Piangete la mia morte”. La lucida testimonianza, tra lettere e una sorta di autobiografia dell’anarco-comunista piemontese scappato dalla terra natia a soli 20 anni nel 1908, per cercare fortuna nelle lontane Americhe (secondo il cliché primo-novecentesco ). Tra le righe di quest’opera è veramente riassumibile i timori di chi oggi come allora scappa. Fugge dal proprio nido natio perché le convergenze sociali impongono una tale scelta, perché la voglia della sopra citata dignità è più forte del rischio di soffrire di stenti o dormire in immondezzai in catapecchie più simili a stalle che ad altro. Nelle sue parole risuona la voglia della ricerca ostinata di un avvenire migliore, conclusasi purtroppo con l’ingiustizia più totale: la sua condanna alla sedia elettrica con il compagno di lotta, Nicola Sacco nel 1927.

Martiri, eroi della libertà anche per molti borghesotti moderni. Ecco, qual è la differenza tra i due ragazzi venuti dalla Penisola e coloro che giungono nel nostro paese sfidando il mare? Siamo sicuri che loro siano contenti di giungere sulle coste italiane ed essere trattati come bestie da circo? Stiamo perdendo la nostra umanità, quella che da sempre ha caratterizzato l’Europa. Il 20 giugno è stata la giornata internazionale del rifugiato: tema caldo, tema di umanità. Forse l’odio ha ormai invaso le nostre coscienze, forse tutto ciò resta poco rimediabile, molti “paladini” della giustizia infatti continuano a pensare che la vera soluzione sia la fantomatica frase: prima agli italiani.
Personalmente penso che prima degli italiani, prima dei senegalesi, prima dei tedeschi o prima dei tunisini venga solo una nazionalità: quella umana.

Ultima modifica il Sabato, 20 Giugno 2015 22:02
Andrea Incorvaia

Nato a Locri (RC), il 28 Febbraio 1988, attualmente vivo per studio a Pisa. Sono un allievo specializzando presso la scuola di specializzazione in beni archeologici dell’Università di Pisa, dopo essermi laureato in Archeologia nel 2012. I miei interessi spaziano dall’ambito culturale (beni storico-archeologici soprattutto), alla tutela e alla salvaguardia del paesaggio. Svolgo attività politica nella città che mi ospita e faccio parte di un sindacato studentesco universitario.

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