Preoccupante il risorgere prepotente di una destra, che a dire il vero a Roma non è mai morta, quella di Giorgia Meloni, che proseguirà, alla luce del proprio risultato, nel tentativo di dare una trazione lepenista al centrodestra che sarà. Mani mangiate fino ai gomiti, ed oltre, per il candidato ex civico di destra, il ricchissimo palazzinaro Marchini, il quale dall'appoggio di Forza Italia ha avuto tutto da perdere e nulla da guadagnare (ha ottenuto, nei fatti, i medesimi consensi conquistati, nel 2013, da solo). Ben al di sotto delle aspettative la candidatura di Sinistra Italiana-SEL, quella di Stefano Fassina, che, pur confermando la presenza di uno zoccolo duro, non riesce a sfondare nemmeno in una città attraversata da una crisi strutturale del PD locale.
Discorso diverso a Milano. Nel capoluogo lombardo un centrodestra unito (dai neofascisti a Corrado Passera), riesce, con la candidatura dal sorriso gentile del manager Parisi, a dare filo da torcere ad centrosinistra in affanno, affidatosi al volto moderato di Beppe Sala: mietitore di successi con Expo ma poco incline, con ogni evidenza, a scaldare il popolo del centrosinistra milanese.
Di scarsa forza entrambe le liste di sinistra, tanto quella fuori dalla coalizione e capeggiata dal decano del consiglio comunale Basilio Rizzo (sotto il 4%) quanto “Sinistra x Milano”, sigla sotto la quale si è riunita la parte, consistente, di SEL rimasta nel centrosinistra. Della non ricandidatura di Giuliano Pisapia, dalle parti degli arancioni, si discuterà, comunque, per secoli.
In un contesto di voto polarizzato ai grillini poco è servito la sostituzione, in corsa, del candidato, con uno più bello, giovane e magro (una pagina veramente squallida).
A Torino poche sorprese. Il candidato della “ditta” e sindaco uscente, l'ipermoderato Piero Fassino, pur perdendo molto della forza tradizionale del PD (e dei suoi predecessori) in città, si ferma ad un dignitoso 40% che lo porterà al ballottaggio con la solita carneade pentastellata.
Asfaltato, come da tradizione, il centrodestra: questa volta diviso tra Lega e Forza Italia. I due candidati d'area si fermano, rispettivamente, all'8 ed al 5 per cento (da segnalare un altro 5% del candidato di “Area popolare”). Deludente, e ben al di sotto di quanto avevano pronosticato i sondaggi, la prestazione della coalizione di sinistra guidata dall'ex sindacalista Fiom Giorgio Airaudo, incapace di raggiungere il 4% (contro l'otto o dieci ipotizzato dalle rilevazioni pre-elettorali). Un dato, quello di Airaudo, preoccupante per la sinistra e che, nella capitale operaia d'Italia ed a livello nazionale, dovrebbe portare a profonde riflessioni nella, nostra, rive gauche.
Segnali positivi a sinistra arrivano da Cagliari, con la riconferma, questa volta al primo turno, dell'uscente Massimo Zedda di SEL. Buona anche la prestazione di lista per il partito di Fratoianni (7%). Indietro il centrodestra (al 32%). Sotto il 10% il partito del comico genovese.
Dati meno buoni giungono dalla punta nordorientale d'Italia. A Trieste il centrodestra (più destra che centro nel capoluogo friulano) ritorna pericolosamente avanti con il già sindaco Dipiazza che stacca di oltre dieci punti il primo cittadino uscente, del PD, Cosolini. Quasi al 20% il Movimento Cinque Stelle. Totalmente ininfluente la sinistra, spaccatasi su tre liste (una dentro la coalizione e due, solitariamente, anche tra loro, fuori). Un risultato del tutto negativo per un'area politica che, in città, poteva contare su una discreta forza, anche all'interno del consiglio comunale.
Bologna, che fu rossa, non consegna grandissime sorprese. Il sindaco uscente del PD, Virginio Merola, non riesce ad affermarsi al primo turno (affermazione avvenuta, sia pur di poco, la scorsa volta) e se la dovrà vedere al ballottaggio con la candidata della Lega Nord (che conferma dunque una propria forza reale nella città che una volta ospitava “la federazione comunista più grande del mondo occidentale”). Da segnalare il consenso (10%) dell'ex leghista, ritintosi civico, Manes Bernardini. Ad un buon 7% la sinistra staccatasi, non senza una pesante scissione interna, dalla coalizione e rappresentata da Federico Martelloni (sotto il 3% la lista di ex Sel rimasti nel centrosinistra). 16% per il più fedele, in senso probabilmente anche religioso, tra i pentastellati, Bugani.
Situazione del tutto anomala quella di Napoli. L'uscente sindaco di sinistra - ma allergico a discipline di partito e posizionamenti in seconda fila e per questo autonomo - Luigi De Magistris, conferma un forte consenso personale (lo dimostra anche il dato delle due liste a lui direttamente riconducili) che lo porta, con il 42% dei voti, ad avere quasi la somma dei consensi ottenuti da Gianni Lettieri (Forza Italia e già avversario dell'ex pm nel 2011) e Valeria Valente del PD, partito che, per la seconda volta consecutiva, manca il ballottaggio in una città, una regione ed una provincia storicamente governate dal PDS prima e dai DS poi. Buona l'affermazione della lista “Napoli in comune – a sinistra” (poco sopra il 5%).
Questa primissima analisi/carrellata di dati fornisce alcuni elementi che andranno necessariamente integrati con quelli provenienti dai comuni capoluogo di dimensione minore. In primo luogo la sinistra (a sinistra del PD), indipendentemente dalla propria collocazione elettorale (dentro o fuori la coalizione) sembra arrancare e si posiziona sicuramente lontano da quelle che sono, non soltanto le proprie aspirazioni, ma le necessità concrete, ma ancora inconsapevoli, di larga parte del mondo del lavoro dipendente e dei pensionati. Quando si divide su linee di frattura che trasformano le singole competizioni elettorali in una guerra tra il bene ed il male, diventa pressoché ininfluente. Conquista, invece, importanti risultati dove - vuoi il caso, vuoi la bravura - viene da esperienze di governo da essa direttamente condotte (le due, diversissime, esperienze di Cagliari e Napoli).
Un ultimissimo elemento di riflessione, per tutti, ma in particolar modo per chi auspica di rappresentare e guidare la maggioranza della società, merita il dato sull'affluenza. Oramai stabilmente, il 50% (delle volte più, delle volte meno) dell'elettorato sceglie di stare a casa.
Andrebbero gridate a gran forza, di fronte all'oramai consueto dispiacere di facciata proposto dagli opinionisti delle classi dirigenti, le ragioni vere di tale disaffezione. In primo luogo lo svilupparsi di partiti deideologizzati (e dunque portatori dell'ideologia dominate), di tanti “buoni” o “cattivi” amministratori tutti inesorabilmente simili (e tutti portatori delle medesime parole d'ordine, noiosissime per altro, su “periferie”, “giovani” od altri luoghi comuni) ha portato ad una inutilità, spesso fattuale, del compiere una scelta elettorale.
Secondariamente, il nascere, con la sciagurata elezione diretta dei sindaci, di una competizione basata su singole persone (e sulla loro “bellezza”, “bravura”, o sulle loro “competenze”, vere o presunte, svuotate da ogni visione ideale e dunque, fintamente, neutre) ha prodotto il fatto che, qualora nessuno dei “bellocci” che si confrontano, ha la simpatia dell'elettore, quello stesso elettore rimane a casa. Inoltre, l'elezione diretta dei massimi vertici esecutivi dei comuni, e poi delle regioni, ha marginalizzato, in una spasmodica rincorsa o al centro o, di contro, all'esagerazione populista, qualsiasi idea forte di società (non soltanto a sinistra).
Sono elementi, molto parziali, di riflessione, ma che, forse, sarebbe il caso diventassero componente di una battaglia, e di una proposta politica, che non è detto risultino perdenti.