Sabato, 08 Luglio 2017 00:00

I docenti universitari e lo sciopero degli esami

Scritto da
Vota questo articolo
(3 Voti)

Di Leonardo Croatto e Diletta Gasparo

Sono 5444 le firme dei docenti e dei ricercatori universitari che hanno deciso di aderire allo sciopero indetto per la prossima sessione di esami autunnali, durante la quale si asterranno dal far sostenere agli studenti gli esami di profitto durante il primo appello della sessione in questione. La rivendicazione parte dal mancato riconoscimento, per il quinquennio 2011 – 2016, degli scatti stipendiali per docenti e ricercatori il cui rapporto di lavoro è normato dalla legge e non da un Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro.
Una modalità di protesta nuova, che tra piattaforme che lasciano alquanto a desiderare (almeno nell’opinione di chi scrive), isterismi degli studenti e sberleffi, sta seminando perplessità. Ma proviamo ad andare con ordine.

Intanto la scelta delle modalità di mobilitazione: un appello è stato fatto girare tra docenti e ricercatori, sono state raccolte oltre 5000 firme e lo sciopero si terrà a meno che non venga riconosciuto uno sblocco degli scatti a partire dal 1 gennaio 2015 (qui la piattaforma). Agli occhi forse più ingenui questo sciopero appare alquanto bizzarro: non si individua, come avviene normalmente, un arco temporale nel quale ci si astiene da qualsiasi attività il lavoro comporti ma si decide piuttosto di astenersi esclusivamente dallo svolgere gli esami di profitto (tra l’altro, senza particolari disagi dal momento in cui nelle università in cui per la sessione autunnale è previsto un solo appello, questo verrà recuperato entro 14 giorni dalla conclusione dello sciopero). Sembra quasi che gli obiettivi da colpire individuati siano esclusivamente gli studenti, come cioè se i docenti li interpretassero come semplici fruitori di un servizio erogato dall’università e l’interruzione di questo servizio causasse un danno al loro datore di lavoro. Esattamente come si comporterebbe il dipendente di una qualsiasi azienda di servizi.
Se questi docenti decidono, legittimamente, di scioperare per rivendicare il rispetto dei loro diritti ed una condizione lavorativa migliore, perché non decidono di astenersi da tutte quelle attività che comporta il loro lavoro? Perché non sono previsti blocco delle lezioni, boicottaggi degli organismi di ateneo, quelle azioni che potrebbero davvero fermare il sistema universitario e dare, veramente, visibilità alla loro rivendicazione? Visto che i docenti non hanno obbligo di orario, segnaleranno la loro assenza dal lavoro per la giornata dell’esame, rinunciando al salario di quella giornata, o si limiteranno a non fare esami, dedicando quella giornata ad altre attività lavorative?

Seconda questione, ancora più rilevante: la piattaforma di rivendicazione. Come è possibile leggere nella lettera firmata da docenti e ricercatori, l’unica rivendicazione portata avanti è quella dello sblocco degli scatti stipendiali. Non un riferimento allo smantellamento dell’università pubblica e degli enti pubblici di ricerca, non un riferimento al taglio di fondi per la didattica, per la ricerca, per il diritto allo studio, non un riferimento al dilagante precariato (anche e soprattutto tra le figure più vicine a docenti e ricercatori di ruolo: gli assegnisti di ricerca), non un riferimento al blocco della contrattazione per il personale tecnico ed amministrativo, non un riferimento alle condizioni contrattuali dei lettori e dei collaboratori esperti linguistici, non un riferimento all’esternalizzazione dei servizi e alle condizioni di chi lavora negli appalti. Questa mancanza di attenzione verso il resto del vasto e complesso mondo di chi vive l’università (inclusi gli studenti, che dell’università non sono clienti!), come hanno fatto notare in molti che hanno deciso di non aderire alla mobilitazione, rischia di andare a acuire quella percezione dei docenti universitari quali lavoratori, nel complesso, privilegiati e sempre più autoreferenziali. Lo stallo contrattuale riguarda, più o meno dal 2009, praticamente tutti i lavoratori del pubblico impiego: una rivendicazione ristretta e corporativa come quella portata avanti da i docenti universitari e dai ricercatori firmatari di questo documento rischia di aumentare l’astio nei confronti di una categoria che gode comunque di condizioni migliori degli altri lavoratori dell’università e che è sempre stata percepita (e si è sempre percepita?) come soggetto altro rispetto al resto del personale.

A questo proposito, una domanda sorge spontanea: come mai nel 2008, durante la maggiore (e ultima) mobilitazione universitaria degli ultimi anni, nonostante i metodi di protesta e rivendicazioni fantasiosi (le lezioni in piazza ce le ricordiamo tutti) i docenti non misero in campo lo strumento dello sciopero? Eppure le riforme Gelmini e Tremonti all’epoca costituirono l’attacco più forte sferrato all’università pubblica degli ultimi anni: blocco del turn over e degli scatti salariali, apertura dei consigli di ateneo ai privati e conseguente accelerazione del processo di privatizzazione dell’università pubblica.

Queste annotazioni non vogliono togliere legittimità alla rivendicazione dei docenti e dei ricercatori: non hanno senso gli attacchi di coloro che non riconoscono legittimità all’azione o minacciano ripercussioni per il disagio che subiranno. Il punto è un altro: oramai gli attacchi sferrati al sistema universitario nel suo complesso sono molteplici e colpiscono da più parti. Abbiamo sì blocchi degli stipendi, ma anche offerta formativa sempre peggiore, servizi dati in appalto (e conseguente peggioramento delle condizioni di lavoro), fondi per la ricerca ridicoli e continua precarizzazione dei ricercatori e dei docenti.

Ultima modifica il Venerdì, 07 Luglio 2017 17:49
Beccai

Il profilo per gli articoli scritti a più voci, dai collaboratori del sito o da semplici amici e compagni che ci accompagnano lungo la nostra esperienza.

Devi effettuare il login per inviare commenti

Free Joomla! template by L.THEME

Questo sito NON utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti.