Mercoledì, 12 Luglio 2017 00:00

Alla vigilia di una renziana svolta populista

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Dal monetarismo di destra neoliberale al neopopulismo europeo di destra: la metamorfosi in gestazione di Matteo Renzi. Alla quale va reagito in modo serio e adeguato

Non mi pare che si stia prestando attenzione adeguata ai passaggi in corso negli orientamenti e nei comportamenti di Matteo Renzi: pesantemente attardati come siamo dal tentativo di fare di Pisapia la figura che miracolosamente ci condurrà alle prossime elezioni a un risultato a due cifre, quindi attardati da uno sforzo teso a fargli emettere qualche sillaba di sinistra sulle questioni che interessano le classi popolari, e di conseguenza condizionati dalla necessità di una periodica elencazione di obiettivi socio-economici immediati a copertura di un ritardo sempre più grave in sede di creazione di un programma formale di partito.

Abbiamo addirittura consentito, di fatto, al tentativo di Pisapia, dopo averci provato con D’Alema e con Sinistra Italiana, di togliere dal novero delle forze di sinistra che dovrebbero in qualche modo coalizzarsi le figure di Anna Falcone e di Tomaso Montanari, cioè dei protagonisti decisivi, assieme a D’Alema, dell’unica grande battaglia politica-politica vinta dalla sinistra in questi trentacinque anni.

Siamo stati catturati dalla logorrea caotica del personaggio Renzi, dai suoi scivoloni in tema di migranti, dalle sue punzecchiature alla Commissione Europea e alla trazione tedesca della medesima, dalla sua decisione, considerandola sostanzialmente falsa (errore), di fare andare il PD alle elezioni senza alleati, compresi i poveri Alfano e Verdini, concludendo che si trattasse della follia autolesionista di un megalomane.

Ora però le intenzioni di Renzi, a cui fanno da contorno le dichiarazioni di pieno appoggio del non logorroico né caotico né megalomane Del Rio e il cauto allineamento di Gentiloni, si stanno chiarendo, e sono politiche di tutto rispetto. Ora il PD si sta avviando a una propria gestione centrale ferrea avviata allo scatenamento di una battaglia campale. Persino Franceschini è stato oggetto di una minaccia di marginalizzazione se non si allinea. Si tratta, in poche parole, della ridislocazione programmatica sostanzialmente organica del PD nel campo della destra populista europea, e per questo della più che probabile apertura di un conflitto che sarà sempre più duro con le istituzioni europee di comando e con il loro burattinaio tedesco.

L’epoca del fiscal compact tramonta definitivamente, in questa prospettiva, semplicemente perché ha fatto il suo vero risultato di fondo, che non è mai stato quello del rimettere in ordine i conti dell’Italia, dato che l’evoluzione italiana in fanalino di coda della ripresina europea non poteva non comportare la prosecuzione della crescita del debito pubblico: bensì è stato il massacro su scala totale delle condizioni di vita e di lavoro delle classi popolari (ivi necessariamente compresa parte larga e crescente di quelle medie, fatto questo invece non voluto). Niente di strano, e di cui a sinistra ci si sarebbe dovuti accorgere a tempo debito, non cinque minuti fa: sempre (sottolineato), cioè da secoli, nel capitalismo, monetarismo (politica economica di scuola neoclassica) e libero scambio hanno massacrato le classi popolari. Sicché ora dal punto di vista di un Renzi logorato dal fiscal compact e dagli assalti alle condizioni di vita e di lavoro popolari si tratta di trasformare queste classi in una forza politica elettoralmente dirompente dal lato del PD, altrimenti il suo rilancio è impossibile: e ciò non può avvenire altrimenti che trasformandolo in partito populista, al tempo stesso fruendo dei vantaggi di credibilità che gli vengono, unico in Europa, dal fatto di essere anche forza di governo.

Un po’ Renzi ha recentemente tentato l’obiettivo di un recupero di consenso popolare con mance di varia natura; ma si è trattato di robetta incapace di smuovere alcunché, se non altro per ragioni di bilancio. Inoltre, attenzione, da tempo ormai soltanto un’attivazione tutta politica di popolo risulta suscettibile di una modificazione degli orientamenti popolari: e dunque Renzi si sta collocando su questo terreno. N

on è una novità: accadde la stessa cosa nel contesto della crisi seguita alla prima guerra mondiale: alla fine vinse il partito populista di estrema destra guidato da Benito Mussolini, ex socialista radicale. Attenzione: evitare in ogni caso di parlare di rigurgito fascista: se siamo alla vigilia di una possibile attivazione popolare a guida PD, siamo quindi alla vigilia di un grande fatto di democrazia, al quale non verrà più allegato, ritengo, il regalo agli avversari di una svolta antidemocratica in sede istituzionale. Le destre populiste più o meno estreme di tutta Europa hanno appreso il carattere autolesivo, prima o poi, di questo tipo di svolta.

Se esse sono in un momento di bassa raccolta di forze, è perché la Brexit ha mostrato il rischio di un collasso dell’Unione Europea e, soprattutto, del collasso dell’euro, quindi del valore di risparmi, pensioni, ecc.; inoltre sono in un momento di bassa perché alcune hanno antenati fascisti o comprendono gruppi fascisti (vedi Francia e Germania). Ma continua a valere che tra le ragioni del proprio consenso sociale e della possibilità di riprendere la propria crescita ci sta che sono diventate più democratiche del complesso delle forze politiche liberali, quasi tutte quelle socialdemocratiche comprese, conquistate da oltre venticinque anni dal neoliberismo e dal monetarismo, cioè da politiche violentemente antisociali e come tali anche antidemocratiche, al più, nella loro prospettiva, da moderare. Veniamo al dunque.

Titola Il Sole 24 Ore di domenica scorsa in prima pagina La sfida di Renzi alla Ue: deficit al 2,9% per 5 anni. E titola La Stampa di ieri un’intervista a Del Rio Le regole Ue frenano la crescita. Come sottotitolo, inoltre, leggiamo che ha ragione Renzi a voler cambiare il fiscal compact (messo dall’Italia, rammento, unica in Europa, per iniziativa dell’infame governo Monti-Fornero, addirittura in Costituzione). Allora: Renzi ha messo lì quella che è, sottolineo, la conditio sine qua non di una ripresa della situazione economica italiana suscettibile di effetti di crescita adeguati e di rilanci dell’occupazione. Il calcolo che Renzi sempre domenica scorsa ha pprospettato è che il livello del deficit ossia dell’indebitamento corrente dell’Italia al 2,9% comporterebbe la disposizione di 30 miliardi l’anno di euro, grazie ai quali sarebbe appunto possibile un’accelerazione significativa della crescita ecc.

Lo slogan di oggi è torniamo ai parametri di Maastricht (tra cui il deficit non oltre il 3% del PIL). Teoricamente si tratta del recupero (antimonetarista) della posizione keynesiana che vuole che l’uscita da situazioni di pesante crisi economica possa essere accelerata creando debito da usare sia in spesa sociale che in investimenti.

Come è noto, nel 1933 gli Stati Uniti di Roosevelt, l’Italia fascista, la Germania appena diventata nazista cominciarono a uscire dalla Grande Crisi grazie prima di tutto a questa linea di condotta. Non sono in grado in questo momento di verificare il calcolo di Renzi ma è intuitivo che si tratta di una cifra di tutta consistenza. Al discorso di Renzi si accompagnano anche, ovviamente, intenti non condivisibili, appunto di destra populista, ma ci torno tra un po’.

Domanda: risulta chiaro che tutto questo se verrà attuato con determinazione ci spiazza come Articolo 1, che non basterà ironizzare sulla caratteriologia renziana, che non basterà criticarne le posizioni socio-economiche precedenti o quelle recentissime in tema di migranti? Risulta chiaro che non potremmo reagire credibilmente a quel che potrebbe accadere all’Unione Europea in termini di accentuazione della sua crisi collocando su Renzi la responsabilità invece tutta tedesca di ciò? Risulta chiaro che non potremmo reagire credibilmente a quel che accadrà al libero scambio mondiale di merci e al libero investimento planetario di capitali non accorgendoci che è bene che vada avanti il passaggio dal libero scambio ai trattati bilaterali, perché gestibili questi ultimi da parte degli stati e dunque perché affrontabili dalle popolazioni, a differenza delle regolazioni neoliberiste mondiali a guida Organizzazione Mondiale del Commercio, che rispondono alle richieste di entità sovrane e incontrollabili in quanto di livello planetario, come una certa quantità di multinazionali e di istituzioni finanziarie? Saremmo in grado di buttare alle ortiche ogni superstizione liberale sui valori propulsivi del libero scambio, se non altro tenendo conto dei suoi giganteschi disastri sociali, ambientali, climatici? La posizione assunta da Renzi annulla le ragioni del nostro contrasto al personaggio e al suo PD normalizzato? Per niente.

Ci obbliga, tuttavia, non solo a comprendere a fondo la realtà che viene sviluppandosi ma anche a una serie di cose, che abbiamo a oggi irragionevolmente rinviato alle calende greche. La prima, di costituirci in partito di sinistra (non di centro-sinistra, che non significa niente). La seconda, di farlo democratico e partecipato da militanti, forme associative di vario tipo, ecc. La terza, di non continuare ad affidare in esclusiva a un gruppo di parlamentari la sua conduzione: l’esperienza di questi mesi ha mostrato che non funziona in generale e meno che mai in risposta alle richieste di democrazia. La quarta, di mettere alla sua testa anche delle donne, siamo su questo terreno quasi al livello dello Stato Islamico; anzi sarebbe meglio che ricalcassimo i movimenti rivoluzionari del popolo curdo, che collocano al vertice delle proprie istituzioni una donna e un uomo. La quinta, di smetterla con i comizi alla nostra base e con le sue adunate, di aiutarla davvero a strutturarsi, di rifornirla di mezzi di spesa, soprattutto di ascoltarla davvero quando, come a Milano, vi pone dei problemi. La sesta, di stendere un programma di partito. La settima, di collocare assieme a questo programma un ragionamento sui mezzi non solo politici ma anche economici necessari a realizzarlo, quindi su come intervenire sulle eventuali rotture renziane delle imposizioni monetariste e violentemente antisociali di Commissione Europea, Eurogruppo, governo della Germania. L’ottava, di capire che con ogni probabilità l’unica via ormai per salvare l’Unione Europea e l’euro sta nel mettere in crisi l’Unione Europea attuale, antidemocratica, antisociale e persino antieconomica. La nona, di definire la nostra identità di fondo come orientata al socialismo. La decima, di tenere presente che c’è un solo modo per evitare alle prossime elezioni due liste di sinistra, una delle quali composta da Sinistra Italiana, Rifondazione Comunista e Possibile: cioè chiedere a Pisapia di cessare di darci ordini e veti.

Attenzione: altrimenti finiremo in modo ridicolo. La posizione assunta da Renzi annulla le ragioni del nostro contrasto al personaggio e al suo PD normalizzato? Per niente. La sua svolta organicamente populista comprenderà comportamenti inaccettabili nei confronti dei migranti (tutta la paccottiglia di Minniti va in questa direzione). L’idea renziana di riforma fiscale guarda a tagli orizzontali del prelievo, ciò che comporterà ulteriori abbattimenti delle prestazioni gratuite o semigratuite dello stato sociale, già al collasso, mentre noi siamo per un’imposizione progressiva, dato che lo stato sociale vogliamo recuperarlo e svilupparlo. La politica renziana sulla scuola e sull’università è inaccettabile, queste istituzioni debbono tornare a essere sociali anziché la caricatura dell’impresa capitalistica, l’accesso all’università dev’essere garantito a tutte le ragazze e a tutti i ragazzi che lo vogliano. Se la svolta renziana avrà successo l’occupazione si riprenderà, ma questa ripresa sarà usata per mantenere quanta più precarietà possibile, mentre noi siamo per l’annullamento di tutti gli elementi di precarietà contenuti nel nostro sistema. Se ho trascurato qualcosa di decisivo chiedo scusa.

Ci illudiamo che Renzi prenda botte dal lato europeo e perda? La Commissione Europea ha già reagito: leggiamo su La Stampa sempre di lunedì alla sua seconda pagina che si tratta da Matteo solo fumo negli occhi e che il problema dell’Italia è l’eccessivo debito pubblico. Dato che siamo in Italia tutto è possibile dal lato politico, essendo la qualità della politica quasi tutta precipitata al di sotto dello zero assoluto.

Tuttavia Renzi ha già dato prove a iosa di molta determinazione e di un’attitudine al combattimento anche quando non è necessario. E stavolta gli è ultranecessario: se non realizzerà gli obiettivi finanziari e quindi economici e sociali che ha dichiarato sparirà dalla politica, e questo senz’altro lo sa.

Immagine liberamente tratta da i.l43.cdn-news30.it

Ultima modifica il Martedì, 11 Luglio 2017 17:58
Luigi Vinci

Protagonista della sinistra italiana, vivendo attivamente le esperienze della Federazione Giovanile Comunista, del PCI e poi di Avanguardia Operaia, Democrazia Proletaria, Rifondazione Comunista. Eletto deputato in parlamento e nel parlamento europeo, in passato presidente e membro di varie commissioni legate a questioni economiche e di politica internazionale.

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