Sabato, 30 Dicembre 2017 00:00

Vivere per lavorare. Non il contrario

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Vivere per lavorare. Non il contrario.

La disumanizzazione imposta dal capitale ha trasformato il lavoratore in un oggetto al cospetto perenne delle esigenze del mercato. Fateci caso: per strada, al bar, al ristorante, persino quando siete malati o in vacanza... Dovete essere sempre rintracciabili.

Sconfitti i grandi ideali socialisti, distrutta l’organizzazione dei lavoratori, resa precaria la vita affettiva, e non solo il posto di lavoro, di migliaia di esseri umani, cosa potrà mai rimanere della classe lavoratrice? Poco. Qualche disperato sciopero, qualche agitazione sindacale, tantissime faccine che fanno “grrr” sotto i post di qualche fabbrica a rischio chiusura. Le bandiere dei sindacati, gli striscioni dei lavoratori della Coop, i soliti fischietti in bocca a quattro gatti, una manciata di lavoratori arrabbiati per le condizioni di lavoro e i salari, mentre intorno la città fa shopping natalizio. Questa è la vera situazione attuale. Non esistono persone che hanno una vita privata, interessi, tempo libero per poter dedicarsi alla cura di sé o alla famiglia. Queste cose nella nostra società sempre più indirizzata verso il single in carriera, appaiono anacronistiche e inopportune.

Fondamentale produrre, importante far crescer la posizione dell’azienda nel mondo del mercato libero. Un mondo di merda, anzi peggio! Dopotutto dal letame nascono i fiori, ma da questi geni del lavoro perenne, dello sfruttamento fino all’ultima goccia di vitalità del dipendente, cosa potrà mai nascere? Solo una pessima società. Come da tempo è diventata la nostra. Metterla in discussione è impossibile. Ti danno del populista, dell’analfabeta funzionale, tutte balle nate per reprimere ogni opposizione, ogni protesta e metterle tutte nel calderone del complottismo. A ben vedere qualcuno ha provato a metter in discussione tutto questo modo di intendere il rapporto padronato-dipendenti, cito per l’ennesima volta un libro fondamentale come: ”23 cose che non ti hanno mai detto sul capitalismo”. Il suo autore, Ha Joon Chang, è un docente di economia dello sviluppo dell’università di Cambridge e collabora colle Nazioni Unite e la Banca Mondiale, non l’ultimo dei pirla, direi! Ebbene costui, nel suo libro, mostra come si possa modificare il nostro sistema liberista per un’economia più attenta all’essere umano senza distruggere la produzione. Perché questo è il dilemma del nostro secolo: possono coesistere benessere del lavoratore e profitti per l’azienda? Moltissimi vi risponderanno di no. Tra questi anche alcuni giornali o partiti che passano per progressisti e di sinistra.

Dopotutto se limitiamo al massimo le critiche al sistema economico, lasciando poco spazio a studi ed esperimenti su nuovi modelli di sviluppo, cosa potranno fare le masse? Abbassare il capo e seguire ciecamente gli ordini. Così sarà più facile e semplice far passare l’idea che le otto ore di lavoro sono obsolete e sorpassate. Avranno pensato questo i saggi tedeschi che si sono riuniti, nella loro madrepatria, per riscrivere e rivedere il loro statuto dei lavoratori. Secondo quanto riportato dall’ Huffington Post, Repubblica, Corriere della sera, a fine novembre, in Germania si è pensato che, nell’era del lavoro digitale, otto ore sono limitative. Perché non è più come i vecchi tempi in cui alle diciassette e trenta si chiudeva l’ufficio e il lavoratore aveva una vita davanti a sé. Tempo per vivere la propria esistenza, socializzare, passar tempo colla famiglia. Questo non è più possibile. Il lavoratore moderno deve essere sempre disponibile, efficiente, a disposizione dell’azienda. Anche se è a casa malato, o in vacanza. D’altronde l’a.d. di Netflix è stato chiaro: “il nostro vero nemico è il sonno, non la concorrenza“. Per sottolineare la pessima abitudine da parte di qualche essere umano di dormire, invece che stare sempre sveglio e produrre. Non sappiamo ancora se questa ipotesi passerà e diventerà legge, speriamo di no. Rimane allarmante quanto poco siano considerati i dipendenti e le loro vite, al di là di qualche bella frase che narra libertà di scelta e di orari, i quali saranno smentiti dalla realtà dei fatti.

Incute disagio che ormai par possibile ogni cosa nel mondo del lavoro, ogni richiesta padronale riceve consensi o delicati dubbi dall’opinione pubblica piegata ai voleri del liberal-capitalismo. Proprio per questo l’esperimento avvenuto in Svezia, sempre questo anno che sta per concludersi, è degno di attenzione. Troverete notizie di esso su alcuni articoli di Repubblica o il Corriere della Sera, i quali ci spiegano come la riduzione dell’orario di lavoro da otto a sei ore, non sia quel disastro tanto temuto dai padroni e dai loro lacchè. L’esperimento consisteva nel seguire due case di riposo: in una le lavoratrici avrebbero fatto turni di sei ore e nell’altra le classiche otto ore. Alla fine è risultato che le prime si ammalavano meno, non chiedevano permessi, era migliorato il rapporto coi pazienti e loro si sentivano più felici. D’altronde in Svezia questa discussione sulle sei ore è in atto da molto tempo. Ha avuto corsi e ricorsi, quasi sempre dovuti al colore politico dei governi in quel determinato tempo. Vi sono però realtà importanti come la Toyota di Gotterborg dove da tredici anni si lavora sei ore, invece che otto, e il risultato è : buona produzione e ottimo stato di salute dei lavoratori. Tutto questo perché ad essi viene lasciato lo spazio per vivere la propria vita, occuparsi di sé stessi, dei loro interessi e passar più tempo colla famiglia.

Un lavoratore che conduce una vita gioiosa è un uomo realizzato e non potrà che essere maggiormente efficace anche sul posto di lavoro. Nello stabilimento della Toyota di Gotterborg è calato il numero di turn over dei lavoratori, aumentata la produzione, il fatto che questo duri da tredici anni dovrebbe farci riflettere e tanto. L’anno nuovo dovrebbe essere l’anno in cui i lavoratori decidano di prendere la propria vita nelle loro mani, strapparla al delirio di onnipotenza della dittatura del libero mercato, battersi perché le alternative al liberismo vengano applicate. Perché la vita è fuori dall’azienda.

Immagine tratta liberamente da www.cinemarivisited.com

Ultima modifica il Venerdì, 29 Dicembre 2017 22:38
Davide Viganò

Davide Viganò nasce a Monza il 24/07/1976: appassionato di cinema, letteratura, musica, collabora con alcune riviste on line, come per esempio: La Brigata Lolli. Ha all’attivo qualche collaborazione con scrittori indipendenti, e dei racconti pubblicati in raccolte di giovani e agguerriti narratori.

Rosso in una terra natia segnata da assolute tragedie come la Lega, comunista convinto. Senza nostalgie, ma ancor meno svendita di ideali e simboli. Sposato con Valentina, vive a Firenze da due anni

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