Venerdì, 04 Maggio 2018 00:00

1 maggio: festa "de panza" o festa "di sostanza"? Una riflessione all'indomani delle feste laiche.

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1 maggio: festa "de panza" o festa "di sostanza"?

Anche quest'anno è passato il primo maggio, e prima ancora era passato il 25 aprile. Ogni anno si è visto il solito "copione": il concerto di Roma, le manifestazioni dei sindacati, le riflessioni sui diritti del lavoro... E fin qua giusto e sacrosanto avere una giornata dedicata alla riflessione su determinati temi.

Casomai sarebbe auspicabile che un certo tipo di pensieri non fossero relegati in singole giornate. Viene però spontanea una domanda, forse ancora più valida per il 25 aprile: il significato di queste due giornate è chiaro, se non a tutti, almeno alla maggioranza di coloro che festeggiano? Ovviamente non sto parlando solamente dell'aspetto storico della ricorrenza, ma soprattutto di quello ideologico. Infatti, se tutti saranno in grado di rispondere che trattasi rispettivamente della "Festa della Liberazione" e di quella "del lavoro", l'obiettivo non è fare un'interrogazione di storia: sapere l'antefatto è condizione sicuramente necessaria, ma forse non sufficiente.

È ovvio che non possiamo accettare ignoranza sui fatti che hanno portato al 25 aprile o al primo maggio, poiché si tratta di due capisaldi della storia italiana. Ma dobbiamo ancor più fare attenzione che, pur cantando Bella Ciao o L'Inno dei Lavoratori, si rischi di considerare i due appuntamenti delle semplici occasioni per godersi una giornata senza lavorare. Giustamente, a parere mio, ci si indigna per quei luoghi dove non si celebrano in alcun modo queste ricorrenze, ma altresì dobbiamo notare dove le celebrazioni non sono "all'altezza della situazione" o sembrano un rito da celebrare in automatico, secondo una liturgia stabilita decenni orsono e tramandata di padre in figlio, senza cambiare una virgola anche nel caso in cui se ne senta la necessità.  

Non si può affermare solamente "si è sempre fatto così": ovviamente i cambiamenti devono avvenire con cognizione di causa, non per puro spirito di "rottamazione". Bella ciao ha il suo significato, è figlia del suo tempo, ed è giusto che continui a essere cantata. Ma la cosa fondamentale, aldilà dei simboli, è essere capaci di andare al di là della bandiera, e soprattutto di attualizzarla, rendendosi conto che non dobbiamo tenerci strette le conquiste "del tempo che fu": l'antifascismo è ancora un valore, i diritti dei lavoratori sono ancora un valore. La Storia non va avanti a compartimenti stagni, non è assolutamente vero che i tempi bui sono spariti per sempre "una mattina" quando il Partigiano "ha trovato l'invasor".

A maggior ragione non possiamo accettare di sentire frasi come "il lavoro non c'è: perché festeggiamo il primo maggio?". È proprio per la situazione desolante in cui viviamo che è fondamentale fermarsi a riflettere su tutto ciò che abbiamo fatto (e non fatto) riguardo al tema del lavoro, oggi forse ancora più di ieri.  Ma dobbiamo trovare i modi, i tempi e le sedi giuste: personalmente credo che il Concertone romano non possa svolgere alcun ruolo, se non quello di estremo tentativo per avvicinare i giovani a una realtà che continuano a sentire distante. Un'ipotesi potrebbe essere farlo diventare itinerante e trasformarlo in un mezzo per accendere i riflettori su una situazione calda del mondo del lavoro: ma a quel punto la musica dovrebbe "abbassare il volume" e diventare solo il contraltare delle questioni che di volta in volta si vogliono far emergere.

Più sensate sono le celebrazioni istituzionali, come l'omaggio ai caduti della Resistenza o le manifestazioni dei sindacati. Certo non sono divertenti, ma non è questo il senso di queste ricorrenze. I giovani non apprezzano? peggio per loro! Ma anche queste azioni non devono e non possono essere ripetute sempre uguali e puntuali negli stessi tempi e luoghi, altrimenti l'effetto "messa laica" è dietro l'angolo.

In conclusione: hanno ancora senso il 25 aprile e il primo maggio? Certo che sì! E no, il senso non è né la scampagnata di primavera né il ponte a lavoro. Queste giornate devono necessariamente continuare (tornare?) ad essere un'occasione di riflessione sulla Storia, e sul presente, preferibilmente non appannaggio dei soliti noti, ma condotta anche a beneficio di tutti coloro che non sono usi a questi pensieri. Ma soprattutto bisogna lavorare perché non vengano concepite come due "macchie rosse" sul calendario, ma come appuntamenti strettamente correlati a quanto precede e segue. Proprio perché il lavoro non c'è o se c'è è sfruttato in mille maniere, è importante far tesoro del primo maggio, e lavorare perché si possa dire, l'anno seguente, "guardate quanti obiettivi abbiamo raggiunto".

Le due date dovrebbero essere un'occasione per fare il punto sulla situazione rispettivamente sull'antifascismo e sul lavoro: ci si dovrebbe sedere ideologicamente intorno ad un tavolo per analizzare quanto è stato fatto nei 365 giorni precedenti e fare un piano di lavoro per il periodo a venire. In conclusione, non dobbiamo aver paura di sembrare "reperti storici" se gridiamo a gran voce: "Ora e sempre 25 aprile! Ora e sempre 1 maggio!" perché queste date sono degne non soltanto di essere segnate in rosso in agenda, ma di espandersi a macchia d'olio su tutte le altre pagine, per portare il loro influsso.

 

Immagine ripresa liberamente da pxhere.com

Ultima modifica il Giovedì, 03 Maggio 2018 17:48
Elena Papucci

Nata a Firenze il 17 novembre 1983 ha quasi sempre vissuto a Lastra a Signa (dopo una breve parentesi sandonninese). Ha studiato Lingue e Letterature Straniere presso l'Università di Firenze. Attualmente, da circa 5 anni, lavora presso il comitato regionale dell'Arci.

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