Davvero si dà per scontato che, dopo aver passato qualche ora ad aiutare gli altri, qualsiasi manigoldo sicuramente si trasformerà in una pecorella? Sembra un'ipotesi un po' troppo ottimistica! E comunque è necessario partire dal presupposto che, parafrasando Tolstoj, "ogni delinquente è delinquente a modo suo". Quindi è altresì indispensabile non sperare che tutti reagiscano allo stesso modo al periodo di volontariato. Perché mai una persona convinta di essere stata beccata alla guida in stato di ebbrezza non come conseguenza di un suo personalissimo errore, ma a causa della polizia cattiva, dovrebbe avere la folgorazione dopo un periodo passato al servizio degli svantaggiati? Anzi, si può verificare la situazione opposta: la persona può vivere il periodo di volontariato come un castigo ingiusto e una perdita di tempo, quindi arrivare alla sospirata libertà vedendo esacerbati quei lati del carattere e quelle abitudini che ne avevano resa necessaria la messa in prova.
Anche il contesto in cui la persona si trova ad operare merita alcune considerazioni: non si tratta di un ambiente che nasce come centro di rieducazione o come tribunale, ma come ente preposto ad offrire determinati servizi. Quindi avere una persona in più per un periodo stabilito da terzi può causare dei malumori da parte di chi dirige i lavori, e si troverà per questo a dover gestire una persona senza alcuna esperienza e/o attitudine, ma magari anche di pessimo umore per il solo fatto di trovarsi in un determinato ambiente.
Quindi occorre trattare ogni situazione come un evento a sé stante, e soprattutto far gestire la questione a chi se ne intende. Assolutamente è sbagliato invece condannare tutti coloro che commettono una qualsivoglia azione sbagliata al volontariato, come proporrebbe l'opinione pubblica. Infatti, non soltanto occuparsi di chi soffre non è la panacea per tutti i mali, ma addirittura si rischierebbe di creare un danno a coloro che beneficerebbero del suddetto aiuto. Provate voi ad avere come assistente una persona ignara delle più semplici regole per accudire ad esempio un non vedente! Si rischia di dover assistere l'assistente...
Infatti, se da un punto di vista prettamente ideologico è corretto e addirittura lodevole cercare di recuperare coloro che hanno commesso un illecito mettendoli davanti alle brutture della vita, bisogna vigilare perché la cura non sia peggiore del male. In nessun caso si dovrebbe mandare la persona allo sbaraglio da sola, a svolgere mansioni per le quali non ha il background necessario. Non si sta parlando di un lavoratore, non scordiamocelo, e non sempre i beneficiari sono in grado di difendersi da eventuali mancanze. E, in ogni caso, non è giusto che chi ha già le proprie difficoltà sia costretto a improvvisarsi tutor, pena anche il rischio della vita.
Al solito, la messa alla prova, introdotta in Italia già da qualche anno per i reati di minore entità, è un provvedimento tecnicamente sacrosanto, poiché permette di investire del tempo per mettersi in gioco in situazioni alla cui esistenza addirittura si stentava a credere, ma che (al solito) va saputo calare nelle diverse realtà. È necessario tenere conto non soltanto di quello che una persona ha fatto, fattore che già viene preso in considerazione, ma anche di chi è la persona, e del contesto in cui è avvenuto il fatto. Infatti, una cosa è chi ingenuamente ha abusato di una birra o di uno spritz ad una festa e si è trovato oltre il limite di guardia magari per poco. Diverso il caso per una persona per la quale determinati comportamenti sono una regola di vita.
Quindi, senza cedere a generalizzazioni e pregiudizi, chi organizza fattivamente la messa alla prova ha il dovere di riflettere bene su chi si trova davanti, e interrogarsi sulle garanzie di affidabilità date dalla singola persona. Infatti questo aiuterebbe il destinatario finale dell'aiuto a fidarsi di chi si trova davanti ogni giorno, anche senza necessità di conoscere troppi dettagli biografici. Se invece la percezione è di una tendenza all'accoglienza indiscriminata c'è il rischio che la persona da curare sia propensa ad innalzare un muro, spinta dal desiderio (magari ingiustificato) di proteggersi da qualcosa o qualcuno percepito come non completamente affidabile.
Certo, una strada potrebbe essere quella di dare tempo al tempo, ovvero lasciare che tutti possano imparare il mestiere, grazie agli insegnamenti di coloro che da più tempo (e per libera scelta!) operano nel settore. Ma purtroppo spesso non è possibile: ci si trova a dover utilizzare persone che faranno parte dello staff per periodi così limitati che non c'è assolutamente tempo per fare affiancamento, anche perché bisogna tener dietro alle emergenze che ogni giorno affollano l'agenda di chi opera in determinati settori.
E quindi? Bisogna fare un po' di Tetris, cercando di far incontrare la persona con la strada che più le si confà, tenendo conto dei diversi fattori: storia del singolo, caratteristiche dell'aiutando, capacità di chi si troverà a operare, ma anche tempistiche della messa alla prova. Inoltre è il caso di fare una riflessione a più ampio raggio, guardando casomai anche al futuro: se si ha speranza (e magari sentore) che finito l'obbligo la persona possa continuare il suo impegno, magari è il caso di investirci un po' di tempo ed energie in più e dargli qualche nozione più approfondita. Diverso è il caso di chi graviterà in una certa orbita per periodi molto limitati!
Insomma, sembra facile dire di una persona "mandatela a fare volontariato!", ma i fattori di cui tenere conto sono molteplici, dal momento che il volontariato non si svolge in un non ben specificato spazio (e tempo!), ma si inquadra in una realtà concreta, schiava peraltro di esigenze ben precise, cui non si può derogare per nessun motivo.
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