In quella primavera l’Italia era sconvolta dalla bufera politica legata all’inchiesta Mani Pulite (il 29 aprile fu negata l’autorizzazione a procedere per Craxi, con il seguente episodio del lancio delle monetine all’Hotel Raphael), quindi quasi nessuno fece caso alla notizia, ritenuta molto marginale, che il CERN di Ginevra aveva reso pubblico e accessibile il codice sorgente della “ragnatela digitale”. L’infrastruttura digitale fu pensata inizialmente per scopi accademici, nella seconda metà degli anni ’80, quando fu accantonata dai militari; sarebbe servita per condividere facilmente le informazioni e i risultati di ricerca da ogni parte del Mondo. Così nel 1991 l’inventore del Web, Tim Berners-Lee, pubblicò il primo sito internet. L’inizio di tutto!
Oggi può fare specie pensare che mentre l’Universo comunista crollava, il Muro di Berlino veniva abbattuto e qualcuno pensava alla “Fine della Storia”1, un nuovo capitolo muoveva i primi passi nell’ombra e senza suscitare clamore! Però, pensandoci bene, anche il passaggio tra il Medioevo e l’età Moderna viene fatto risalire a due eventi molto diversi tra loro: la scoperta dell’America (1492) e l’invenzione della stampa di Gutenberg (1456). Un evento geopolitico evidente e senza precedenti e uno che ha visto ricadere le sue conseguenze nel corso dei decenni e dei secoli successivi. Ecco, diciamo che la nascita di Internet, in un futuro, potrebbe essere paragonabile alla rivoluzione dei caratteri mobili.
In ogni caso i creatori della rete capirono velocemente le enormi potenzialità della loro invenzione e, appunto, nel 1993 resero pubblici a tutti i codici! Internet era nato, era pubblico, era di tutti! Subito alcune aziende e alcuni imprenditori fiutarono l’affare e si buttarono nella mischia per sviluppare sistemi di visualizzazione del web: dal primo sistema Step OS (sì, c’entra Steve Jobs!) si arrivò al primo browser Netscape, per poi allargarsi a macchia d’olio con Internet Explorer e tutti gli altri. I siti internet si moltiplicarono in maniera esponenziale: dai circa 25mila del 1995 ai 250mila dell’anno dopo, per arrivare al primo milione nel 1999. Tanti? Beh, nel 2012 erano attivi 350 milionidi siti, nel 2014 si è sfondato il muro del miliardo e oggi si corre veloci verso il secondo! (Qui le statistiche live della rete)
Una rete tentacolare, in cui è praticamente impossibile districarsi senza un aiuto. Ecco il perché sono nati e sono tuttora fondamentali i motori di ricerca2! Fin dai primi momenti fu chiaro che sarebbe servito un servizio di indicizzazione e di ricerca per trovare qualsiasi cosa in quel mare di informazioni e così nacquero questi siti appositi. Ad esempio Google, senza dubbio il più famoso e più importante, è stato fondato nel 1996.
Poi sono arrivati i social networks. Prima come semplici chatroom in cui passare tempo parlando virtualmente con persone più o meno lontane, poi come piattaforme dedicate a una precisa attività online: scrivere su blog, leggere cosa fanno altri, sentenziare velocemente pensieri, condividere foto e via così. Infine come vere e proprie propaggini del nostro io, un modo per essere presenti nella vita virtuale, considerata sempre più importante rispetto a quella reale.
Torniamo per un attimo indietro, all’epoca dei pionieri di internet. Qualcuno si ricorda del suono del modem che si connette? Tutti quei salti mortali che dovevamo fare per avere a disposizione qualche minuto di connessione, quel dualismo tra internet e linea telefonica. I telefonini senza internet? Sembra impossibile da pensare oggi, vero? In realtà, per quanto si possa negarlo, la nostra vita è stata letteralmente ribaltata dalla rete in ogni suo aspetto. Non voglio fare un articolo smielato sul come si stava meglio senza internet o su come la tecnologia abbia rovinato o peggiorato le nostre vite. No, vorrei, al contrario, sottolineare due aspetti fondamentali che oggi, dopo i primi venticinque anni di era digitale, stanno venendo fuori in maniera prepotente: la nostra estrema fragilità individuale nei confronti della iperconnessione della comunità globale e la grande questione della sensibilità dei dati che condividiamo sulla rete.
Quando parlo di fragilità intendo dire che, per quanto ci piaccia rivolgerci con aggettivi più o meno negativi alla rete, non stiamo parlando di un essere pensante, ma solo uno strumento inventato dall’uomo per l’uomo. Quindi ogni risvolto, positivo o negativo, legato alla rete nasce giocoforza dalla natura umana! Per quanto possiamo girare intorno all’argomento non vedo come si possa incolpare internet per, ad esempio, le fake news o per le “shitstorm”, cioè le violente discussioni che nascono sul web tra persone, che si sentono protette dalla distanza, dal loro schermo, se non proprio dall’anonimato.
Attenzione: non sto dicendo che questi fenomeni non siano da combattere! Sto semmai sostenendo che puntare il dito contro la rete voglia dire indicare il dito senza curarsi della Luna! Il principio, messo ultimamente in discussione negli USA3, della net neutrality parte proprio da questa semplice considerazione: la rete dovrebbe essere di tutti, pubblica e, come tale, uno strumento al servizio dell’uomo e dell’umanità. Se l’uomo si comporta con cattiveria, perfidia e crudeltà, ne farà un uso malvagio, senza che questo ci debba portare a concludere che la rete sia qualcosa di intrinsecamente cattivo.
Sul secondo aspetto invece ci sarebbe moltissimo da dire. Partiamo dal principio su cui le aziende della “web economy” fanno soldi: “Denaro in cambio dei dati”. Dove chiaramente i dati sono i nostri! Se vogliamo dirla bene, l’evoluzione del web dal 1993 a oggi è passata principalmente da questo ribaltamento di ruoli, prima noi utenti eravamo solo passivi di fronte all’enorme mole di informazioni che potevamo trovare sulla rete, oggi invece siamo diventati noi le informazioni che vengono cercate sulla rete!
Il primo quarto di secolo di World Wide Web è stato dominato dall’idea che l’uomo avesse inventato uno strumento di condivisione di massa, un’enorme intelligenza diffusa e condivisa alla portata di tutti. Oggi, invece, ci stiamo rendendo conto che (come al solito), dietro alla grande invenzione si è nascosto il mostro del capitalismo predatorio, quel mostro che divora anche le buone idee e le butta nel tritacarne per ricavarne solo profitti e ricavi. Pensiamo solamente alla gogna mediatica a cui sono stati sottoposti Julian Assange e altri membri di Wikileaks: il principio della completa trasparenza e della totale condivisione dovrebbe stare alla base della rete, quando, al contrario, è stato messo in un cassetto e chiuso a chiave nel nome di vecchi paradigmi quali “sicurezza dello Stato” o “segreto nazionale”.
Il Mondo del domani sarà, che lo si voglia o meno, un Mondo sempre più connesso, per questo è importante che lo sviluppo della tecnologia della rete vada di pari passo con uno sviluppo di una filosofia sociale di internet. Altrimenti lo strumento del web sarà, com’è oggi, solo un comodo congegno per fare soldi, per trovare informazioni o per sorvegliare i popoli. E si allontanerà sempre più da quella sua missione iniziale, quella visione utopica di condivisione totale, nata nei laboratori del CERN e resa pubblica proprio quel 30 Aprile del 1993! C’è una grande distanza tra l’utopia del primo internet e la distopia in cui sembriamo essere destinati a vivere, ma non dobbiamo disperare perché, ricordiamolo sempre, le rivoluzioni epocali necessitano tempo e siamo solo all’inizio di questa nuova era della rete!